lunedì 8 settembre 2014

ACCADEMIA OMKARA

Una serata ancora estiva, a Varallo Pombia. A un capo della via chiusa al traffico, disseminata di bancarelle, è stato steso un tappeto rosso sull’asfalto. A fianco, il gazebo dell’associazione “Omkara”. Gerardo Destino suona le tabla, i tamburi indiani di ceramica che al centro hanno un cerchio di pasta nera composta di manganese, riso bollito e succo di tamarindo, grazie alla quale si ottiene una sonorità particolarmente armonica.

Monica Gallarate, con Ketty Parachini, Elena Caligara e Myla, che viene dalle Filippine, con Antonella Ravani, ritornano dalla parata che ha attraversato il paese. I bambini si tolgono le scarpe e fanno cerchio sul tappeto. Monica assume pose, i bambini la imitano. Racconta storie mai sentite, di personaggi strani (uno ha la faccia da elefante!), animali, frutti, fatti strabilianti. I bambini non sanno che sono l’equivalente orientale dei miti mediterranei, e che le storie si intersecano tra di loro per facilitare la comprensione del mondo e per dare agli uomini una religione complessa, articolata e contraddittoria come le altre. Una religione colorata e vivace, nella quale la danza ha un’importanza fondamentale: l’ha inventata uno degli dei più potenti! Monica racconta e i bambini ascoltano e si atteggiano, alzano le braccia e saltellano come lei. Nomi strani: Ganesh, Shiva… Ma i bambini non si fanno domande, e i genitori meno di loro. Il piacere è immediato e tutti sono rapiti dai colori, dai ritmi riguardosi e suggestivi, dalle movenze evocative. Come stare in un acquario.
Quando nella stanza l’aria è stantia, si prova sollievo nell’aprire le finestre. Fuori ci sono i colori, i suoni, i movimenti. Nella stanza una routine che può diventare asfissiante. I bambini dovrebbero sapere che la loro vita può svolgersi anche fuori dalla stanza in cui di solito li recludono: una cultura, una religione, una mentalità, un etnocentrismo, un’ignoranza, un’occasione persa, una piccineria, una meschinità, una prospettiva corta, un respiro affannoso, un odio, una mancanza di libertà.
Villaggio globale? Forse se n’è intravista la possibilità e a molti è bastata un’occhiata per spaventarsi. Convinti della propria esclusiva verità. Convinti che gli altri siano pericolosi, violenti, portatori di malattie, stupidi, lazzaroni, incapaci, falsi. Convinti che il paese-quartiere sia l’ombelico del mondo. Che la società non sia un’opportunità, ma un campo di battaglia. Che l’opinione personale valga una guerra. E che il dio reinventato a proprio uso e  consumo sia l’unico esistente, il più potente. E che sia lui stesso a ordinare: odia, disprezza, combatti.

Danze indiane, suoni esotici, colori squillanti nel grigiore dei centri urbani. Per qualche tempo, l’illusione che la gente possa aprirsi ad altre visioni. Che davvero voglia comprensione, tolleranza, pace e giustizia.