venerdì 28 dicembre 2012

UN ARTICOLO SU STRATAGEMMI




Maddalena Giovannelli fa parte della redazione di www.stratagemmi.it, rivista di teatro sia online sia cartacea. L'estate scorsa mi ha chiesto di scrivere qualcosa sulla mia drammaturgia. Per me è stata un'occasione molto importante e coinvolgente. Ero a Otranto e ho scritto di getto l'articolo, ripercorrendo trent'anni di avventure teatrali in provincia e con Lupusagnus e il Teatro dei Passeri. 

Mi sono reso conto che è giunto il momento di capire e di motivare le mie scelte drammaturgiche. Perché determinati argomenti? Perché l'umorismo nero? Perché la mancanza di didascalie? Perché l'affezione per rime e filastrocche? E molte altre cose. Non mi sento un ritardatario o un superficiale. Fa parte del mio metodo di lavoro, sempre stato impulsivo e perfino avventato. Ho scritto tanto, tantissimo, sia per adulti sia per ragazzi. Ora per continuare a scrivere sento il bisogno di definire un metodo.

Prendo come punto di riferimento il dio greco Pan. Divinità anomala. Pan è dio, uomo e bestia. L'unico dio che può morire. E infatti una leggenda racconta che al tempo di Tiberio (42 ac-37 dc), il pilota di una nave egiziana sente gridare "Thamuz Panmegas thetneke" (Thamuz, il grande Pan è morto!). La Chiesa fa di Pan il diavolo, Satana. Sia per le sue fattezze sia e soprattutto per le sue libertà sessuali. Pan che terrorizza (timor panico) e che suona il flauto. Pan emarginato sia dagli dei sia dagli uomini, Pan che vive a stretto contatto con la natura (Pan come tutto). 
Insomma, ci sono gli elementi per avviare un'indagine sulla mia drammaturgia, quella che è stata e quella che sarà: il senso panico della vita, la morte, l'arte, la difficoltà di comunicazione, la solitudine, la violenza, l'emarginazione, l'irrisione dei valori civili...

Sto raccogliendo materiale per il mio saggio e sto in contemporanea scrivendo un'opera riflettendo su come voglio che sia, un'opera di teatro. Quindi, per il momento accantono la prosa. Ho scelto di scrivere un sequel di "Mamma mammazza" con il titolo provvisorio di "La casa dei gatti".
Con la madre, che si chiama Emma, vivono i gatti che hanno mangiato Piero. Alcuni maschi e una femmina, legata alla luna, al sogno, alla ricerca di una vita diversa. Emma attende con ansia e timore il ritorno di Chiara. Si trova in conflitto: vuole accoglierla a braccia aperte e nello stesso tempo ucciderla. Poi non so. Vado cauto. Per me, è un'opera importante. Quella che segna una via nuova. Se ci riesco. Non tutto mi è chiaro. Forse non sono in grado di fare ciò che in modo confuso mi prefiggo.
Ci tento.
Ecco il link per scaricare l'articolo in pdf:


martedì 25 dicembre 2012

THE SAGAN SERIES

Una traduzione approssimativa:


"La Terra, un piccolo punto blu. Guardatelo a lungo. Poi cercate di convincervi che Dio ha creato l’intero universo per una sola delle dieci milioni di specie che abitano quel granello di polvere. Siamo portati a proiettare la nostra natura su tutta la natura. Darwin: “L’uomo, nella sua arroganza, si crede meritevole di una creazione divina. Credo sia più giusto e più umile considerarlo discendente dagli animali”. Siamo gli ultimi arrivati. Viviamo nei sobborghi dell’universo. Siamo emersi dai microbi e dal letame. Le scimmie sono nostre cugine. Non sappiamo controllare i nostri pensieri e sentimenti. Addirittura, stiamo rovinando il mondo. Siamo un pericolo per noi stessi. Noi stessi abbiamo costruito la trappola che ci si apre sotto i piedi. Ci troviamo in caduta libera. Se bastano miti e rituali per farci attraversare una notte che sembra infinita, come non simpatizzare con l’altro e capirlo? Vogliamo sentire di essere qui per uno scopo. Anche se, superate le illusioni, pare che non ci sia alcuno scopo evidente. Solo la saggezza e il coraggio rendono significativa la vita. Siamo i custodi del significato della vita. Vogliamo un genitore che si prenda cura di noi, ci perdoni e ci salvi. Meglio, però, conoscere che ignorare. Meglio affrontare la dura verità che raccontarsi una favola rassicurante. La scienza è stata un viaggio nell’ignoto. Una lezione di umiltà a ogni tappa. Le nostre percezioni istintive possono sbagliarsi. Le nostre preferenze non contano. Non godiamo di un trattamento privilegiato. Se è una finalità cosmica che cerchiamo, allora troviamoci un obiettivo degno."

WIKI:
Carl Sagan (New York9 novembre 1934 – Seattle20 dicembre 1996) è stato un astronomodivulgatore scientifico e autore di fantascienza statunitense. È stato uno dei più famosi astronomi e astrochimici del XX secolo. Lo si ricorda inoltre come grande divulgatore scientifico, come scrittore di fantascienza e come epistemologo in qualità di maggiore esponente dello scetticismo scientifico. Nel corso della sua vita Sagan pubblicò più di 600 tra articoli scientifici e articoli di divulgazione scientifica, e fu autore, co-autore o editore di più di 20 libri. Nelle sue opere ha frequentemente appoggiato l'analisi scettica, l'umanesimo secolare e il metodo scientifico. È stato uno dei fondatori del Progetto SETI per la ricerca delle intelligenze extraterrestri.

Su YOUTUBE anche gli altri video della serie.

ANTONIO ALLA SCENOGRAFIA

Antonio Di Bari al lavoro su uno dei fondali di "La città dei bambini pirati". Questa riproduzione di "Gli Archeologi" di De Chirico riveste un paravento che rappresenta la "casa" delle ragazze, il loro rifugio dalla 
chiassosa e distruttiva invadenza dei maschi.

Il laboratorio di ceramica che gestisce a Ghemme:



PICCOLI NEL GRANDE, GRANDI NEL PICCOLO

giovedì 20 dicembre 2012

AUGURI


UNA LEZIONE AL TEATRO SOCIALE DI COMO

Stefano De Luca è a Buenos Aires con l'Arlecchino. Tiene un corso al Teatro Sociale di Como e mi chiede di sostituirlo all'incontro di mercoledì. Volentieri. Eccomi a Como. In onore alla crisi, un video mapping da togliere il fiato. Entro in teatro. Ci trovo sette allievi al sesto anno di corsi settimanali. Mi presento, presento il programma. Loro hanno le copie di "Peggio per chi resta", un mio piccolo atto unico che avevo scritto per i ragazzi da utilizzare per il saggio finale. Ma io ho portato i libretti di "Death watch". Si dividono in tre gruppi (tre, tre, uno). Hanno mezz'ora di tempo per leggere due pagine del monologo e prepararne la lettura. Poi si esibiscono. La materia è ardua, un racconto duro e drammatico. Non manca quindi un'interpretazione sanguigna. C'è poi un duo: voce sofferta e voce dura e neutra (una prigione che richiama il campo di concentramento). Il terzo gruppo presenta una voce maschile lenta e scandita, che crea suspence; a seguire, una voce femminile spiazzante, il registro dell'ironia; infine, una voce femminile drammatica. Mi complimento, in poco tempo sono emerse idee molto interessanti. Ogni gruppo ha elaborato anche, a grandi linee, un progetto di messa in scena, che si è rivelato uguale per tutti: luce bianca fredda, gli elementi di arredo citati nel testo, sbarre sullo sfondo.


Faccio notare come tutti si sono limitati a leggere da fermi. A nessuno è venuto in mente di legare la lettura al movimento. 

Mostro il video dei Passeri ed espongo le linee guida della regia: luci colorate, nessun arredo di scena, solo un tappeto di pvc con la griglia di tre celle, movimento incessante dei tre attori che interpretano l'unico personaggio, Zaccheo.
Invito a lavorare per altri dieci minuti sui movimenti. Ed eccoci alla parte più ostica. Ho l'impressione che abbiano approfondito la dizione, l'espressività della voce, l'immedesimazione del personaggio...  secondo un teatro che vede la scena come uno specchio della realtà. Il palcoscenico salotto. Sul quale si cammina, ci si siede, si corre, ci si accascia, ci si stende... come nella realtà. Non sanno bene che cosa fare, dato che inseguono la consolidata strategia di "dare corpo al personaggio". Ma un detenuto nella cella della morte... quali movimenti può fare? Hanno visto nel video che i Passeri percorrono la griglia, si agitano, lottano, fanno strani movimenti... Hanno visto che funziona, ma non ne colgono la logica. Non sono movimenti che corrispondono alle parole. Non sono onomatopeici.

L'attore non si muove nel realismo di un ambiente riconoscibile. Non recita una fotocopia della realtà. Dico loro che a me dell'immedesimazione non interessa granché. L'attore si muove non nel senso che si sposta, si siede, si rapporta, esce e entra... Si muove nella musica e nella luce, nella parola e nello spazio, nella relazione interpersonale e in quella oggettuale. E non parla come un ipotetico personaggio (non sarà mai lui, non potrà mai non essere se stesso, e quindi o recita se stesso o scimmiotta).

Ponetevi il problema del pubblico, dico per concludere. Non annoiatelo mai. Dategli un prodotto comprensibile, interessante, emozionante, spiazzante, divertente. Dategli ritmo, colore e movimento, suoni e musiche. Non dategli una fotocopia scialba della vivida realtà. Ma questo è un discorso troppo lungo, e ci salutiamo.


lunedì 17 dicembre 2012

DEATH WATCH 2









"Death watch". Le prime prove mirano a far acquisire ai ragazzi lo spazio di lavoro: tre celle anguste, nelle quali ognuno è anche l'altro, ognuno è detenuto e anche guardia e aguzzino di altri detenuti, nelle quali non si è soli: si convive con insetti e silenzi, psicosi e ricordi, allucinazioni e continua ricerca di risorse per sopravvivere. Gilberto, Giovanni e Nicola (Alba fa in pratica da vice regista, annota e dà contributi) si trovano di fronte a una prova nuova e impegnativa. Per il "Teatro dei Passeri", l'opera rappresenta un punto di inizio e di non ritorno. Stiamo affrontando la dizione, per dare dignità espressiva al parlato. Vorrei trovare un'insegnante di street dance per curare alcuni momenti, con figure popping o comunque hip hop. La regia non si focalizza sull'interpretazione di tipo realistico, ma su una ricerca di espressione di stati d'animo e situazioni attraverso il movimento, l'interazione coreografica, la sintonia fisica con la musica e l'utilizzo della voce nel modo più ampio possibile (corale, quasi cantato, alternarsi di registri...). Lorenzo, che sarà supportato da Carlo alla chitarra, sta componendo le musiche al computer, con il superamento della melodia e la ricerca di corrispondenze al ritmo interiore, e con ricorso a effetti sonori.
Insomma, per noi dilettanti, un affacciarsi al teatro con l'ambizione di voler raccontare qualcosa di nuovo, che sia d'impatto e tolga il fiato, e che emozioni a livello profondo, nella zona in cui l'estetica e l'empatia s'incontrano con l'intelligenza e lasciano una traccia forte.

sabato 15 dicembre 2012

CHRISTMAS ADVENTURES

La neve ha dissuaso molti dal portare i piccoli alla lettura dei Pettirossi in biblioteca, ma l'incontro è stato comunque piacevole ed emozionante. I Pettirossi, gruppo di bambini lettori nato nell'ambito di Nati per leggere, si sono esibiti in tre letture animate (musiche, effetti sonori e movimenti). Testi di Aquilino. "Un Natale di streghe puzzose", "Un Natale bestiale", "La Befana vola ancora". Applausi!


Nuovo appuntamento in primavera, quando i Pettirossi porteranno le letture alla scuola materna.

giovedì 13 dicembre 2012

I SEGRETI DELLO SCRITTORE


Si ritiene che lo scrittore sia sempre soddisfatto (gli artisti sono narcisisti, no?), quando le persone intorno a lui parlano delle sue opere in termini elogiativi, o perlomeno con interesse sincero. Di solito, rimarcano le qualità più immediate e popolari: l’intreccio, i personaggi, l’atmosfera, la scrittura precisa evocativa comunicativa eccetera. Eppure, a volte, lo scrittore sente un nodo in gola, manifesta una ritrosia ingiustificata, vorrebbe scappare via, s’ingarbuglia con le parole che riteneva adeguate e invece sono solo suoni, bolle di sapone che esplodono in aria. Intanto, nel segreto dell’intimità suscettibile e nevrotica, quasi una foglia di mimosa pudica, si chiede che cosa ci stia a fare in un luogo di parole estranee, di pensieri alieni, di progetti incondivisibili, di energie spese per il mercato, l’impresa, il successo. E fissa la propria mano, una carne di vene in rilievo, di dita inquiete, di pelle molle che denuncia l’età, di rughe la cui profondità raccontano il senso della vita… Ma, soprattutto, gli viene a galla, come un detrito di mare, briciola di relitto di naufragio, la sua verità. E vorrebbe gridare: non gridate, per favore, quello che sembra; cercate invece la verità, che è semplice. Sempre semplice, la verità. Gridate, per favore, la ricerca di purezza, non una parola in più; l’equilibrio delle parti; il dolce compromesso della comunicazione; la misura delle cose, la misura delle cose. Gridate l’empito di umanità in un personaggio in apparenza burattinesco, una mascherina che cela invece un dramma sconfinato. Gridate l’esigenza di dire cose grandi, anche nel piccolo. Gridate la necessità di scrivere per i deboli, che altra scrittura non esiste. Gridate l’ingiustizia, che è pane quotidiano. Nell’avventura, nell’horror, nella comedy… cercate l’uomo, cercate la donna, il bambino, la bambina, cercate la vita, la sua tragedia. E se invece parlate di target best seller altri inglesismi che allo scrittore non competono, allora tenetevi i vostri grandi successi, e prosperate. Lo scrittore è raro che prosperi. Di solito, sopravvive.

venerdì 7 dicembre 2012

L'INCONTRO CON L'AUTORE

Questa volta, senza prendere auto o treno. A piedi fino in biblioteca, dove giungono le due classi Quarte della scuola elementare "Maraschi". Gli incontri fanno parte del progetto "Il mangialibri". I ragazzi parlano di libri con me, tornano poi in biblioteca per iscriversi e prendere libri in prestito; infine, chi vuole può partecipare al concorso, preparando la rielaborazione di un libro letto (finale diverso, episodio nuovo...). Da febbraio può recarsi in biblioteca per scrivere il vproprio brano al computer; in questo modo ci si assicura che la scrittura sia davvero del bambino, senza correzioni e interventi più o meno pesanti degli adulti. A conclusione, la premiazione.
Quando gli alunni sono bene preparati dalle maestre (e in questo caso lo erano) è un piacere parlare con loro di come si fa un libro, dallo spunto iniziale all'ultima correzione; di quello che fa la casa editrice (editor, stampa, distribuzione, promozione...); del valore della lettura e della scrittura; e di tante altre cose.
Niente è mai noioso, per un bambino, se lo si racconta con passione, simpatia, rispetto per il piccolo ascoltatore. I bambini sono avidi di conoscenze, sono curiosi, ribollono di sogni e progetti, amano raccontare le proprie esperienze.
A questi incontri, quindi, io parlo, ma tocca anche a me ascoltare; se all'inizio sono io che rispondo alle domande, poi tocca a me farne e ricevere le risposte in un gioco interattivo che getta un ponte solido tra lo scrittore e l'alunno, tra l'adulto e il bambino.
Il tempo passa in fretta, ma è più che sufficiente per lasciare un ricordo piacevole e prezioso.

giovedì 6 dicembre 2012

PASSEROTTI 6


Esercizi. Camminiamo tacco-punta, elastici, su il ginocchio, lo tira un filo in avanti, come un altro filo tira la testa in alto, le braccia remano… Ostacoli: mani in tasca, passo strascicato, braccia rigide, testa bassa, busto a bandiera, piede piatto, distrazione, gioco… Cerchio: ripetere la mia frase a un compagno a scelta, che deve poi ripeterla al contrario (di tonalità velocità, intensità…). Quindi, a specchio: frase più gesto. E adesso la prova. Abbiamo pronti venti minuti che presenteremo alle mamme e ai papà mercoledì 19, in modo da offrire agli attori un primo assaggio di impatto con il pubblico.

Entriamo nella fase più difficile e delicata. Finora i bambini (nove e dieci anni) si sono limitati a imitare. Il rischio dell’imitazione è che ha durata breve e non risulta convincente. Si tratta ora di attingere alla consapevolezza. I piccoli attori dovrebbero introiettare le indicazioni ricevute e sviluppare una piena coscienza di sé, del proprio corpo, del modo di relazionarsi. In questa fase, sfera psicologica ed espressiva si toccano e interferiscono.

Se un bambino tende a recitare voltando le spalle al pubblico in modo a volte ostentato, forse rivela un atteggiamento provocatorio e una certa difficoltà a relazionarsi in modo sereno con gli adulti. La bambina che struscia i piedi e ha difficoltà a mantenere una postura corretta, forse manifesta resistenza al coinvolgimento emotivo. Quello che approfitta di ogni occasione per combinare uno scherzo o per mettersi a giocare, forse vuole solo essere colto sul fatto e rimproverato. E chi cammina in modo disarmonico, sta facendo i conti con la crescita improvvisa ed eccessiva, fuori controllo. E poi la voce: di tonalità alta, una sirena che attiri l’attenzione; tenuta dentro, ritrosia e timidezza nei rapporti. Per tutti vale la ricerca di un “equilibrio di attenzione”. C’è chi la cerca disturbando, fingendo di essere distratto e interrompendo un’azione, o ridendo e facendo un dispetto; e chi la cerca, al contrario, affossandosi sulla sedia, in silenzio, costringendo gli altri a dargli un richiamo.

Insomma, muoversi nello spazio, manipolare l’emissione della voce, stabilire contatti e relazioni con i compagni, porsi sul confine tra realtà e immaginazione, mettere sotto controllo mani gambe busto testa sguardo… sono tutti elementi deflagranti, che cozzano contro abitudini vecchie, immagini di sé, tipologie caratteriali, difese, inibizioni… Il teatro è micidiale, costringe a prendere in esame aspetti di sé che erano stati accantonati. Costringe ad affrontarli e a risolverli, quando si presentano in modo conflittuale. E così, nel gioco della finzione, sulla ribalta c’è la realtà dell’Io in un coinvolgimento forte con gli altri. Se il bambino è collaborativo, avrà non solo applausi, ma preziosi momenti di crescita. 

mercoledì 5 dicembre 2012

MESSALINA DI BRUGHIERA

Mi manda un'email Lampi Di Stampa, l'editrice on demand che ha pubblicato "Death watch. Pane e lacrime" in quanto vincitore del Premio Gerundo. Mi offre una promozione per la pubblicazione di un altro libro. Colgo l'occasione, visito l'archivio e ne tiro fuori "Messalina di brughiera", un romanzo breve (154 pagine) che avevo scritto per rilassarmi e per mettermi alla prova con qualcosa di più commerciale. Ho pensato di rivolgermi alle lettrici (molte mie opere di teatro sono sulle donne) e ne è scaturita una storia influenzata dalla serie di Albino Guidi. Qui, però, non ci sono gli dei dell'Olimpo, ma alcune divinità celtiche. Chiedo a Gianna Cannaos, l'amica che ha curato le scenografie di spettacoli con bambini, di realizzare un'immagine per la copertina. Ecco la presentazione sul retro di copertina:

"Lina si lascia alle spalle il marito, accusato di un reato ignobile, ma soprattutto le certezze. Si ritira in una casetta di campagna dove l’attendono l’inaspettato e l’incomprensibile. Si può amare un dio? Un dio come Beleno, forte e protettivo? Si può, ma non per sempre. Il vero amore si presenta sulle note del “Don Giovanni” di Mozart. “C’erano cose… cose che non stavano né in cielo né in terra, e che avevano origini sia nel cielo sia nella terra. Io, così umana, come potevo prendere in mano la situazione? La mia volontà cozzava contro forze soprannaturali.”

Lina Donati, una signora di Milano, va a vivere in provincia, in una cascina malmessa che il suo vicino di casa, il misterioso Beleno, rimette a nuovo. Viene aggredita da un corvo, che si trasforma in... Nemain, spirito guerresco, il cui nome significa frenesia e furia. Chi sono Beleno, Nemain, Efrenia e Tirubio? Quale mistero unisce le quattro case? Chi trama alle spalle di Lina? E Lupo, l'affascinante regista, tornerà a farsi vivo?

Tempo fa, ho leggiucchiato l'articolo di una giornalista che invitava i colleghi a non recensire i libri pubblicati a pagamento. Meglio una piccola casa editrice, scriveva, che una on demand o ad acquisto di copie. Grazie, signora. Lei continui pure a recensire i libri dei premi letterari, delle grandi case editrici, magari scritti da calciatori o cantanti, delle redazioni che stanno diventando un "fai da te", tanto dell'autore vero nessuno ha più bisogno: tutti sanno scrivere, tutti sanno fare i saccenti. Da parte mia, continuerò a pubblicare con chi mi pare, dato che non vado alla conquista di folle oceaniche di lettori (non scrivo per le folle), ma di libri nuovi da scrivere, per cui mi si rende necessario archiviare i vecchi o su carta o in forma digitale. Nessuno mi recensisce, ma a me sa quanto me ne importa?

Aquilino, "Messalina di brughiera", Lampi Di Stampa, a breve disponibile online e nelle librerie.

domenica 2 dicembre 2012

AUTUNNO

MALUS PERPETU EVERESTE
CAMELIA SASANQUA

IL FRUTTO DEL PITTOSPORO
ILEX VERTICILLATA

sabato 1 dicembre 2012

PASSEROTTI 5


Delimito lo spazio utilizzabile: quattro metri per tre. Lo chiamiamo palcoscenico. Se uno oltrepassa la linea, facile che un compagno dica: sei caduto giù dal palcoscenico. Tracciare sul pavimento il rettangolo è come dare una casa agli attori. Dà sicurezza. Non più confini indefiniti. Ora se uno deve spostarsi in avanti sa che può farlo fino a un certo punto, e lo stesso sui lati. Camminiamo lungo il perimetro, attenti agli angoli e alla diagonale quando si passa davanti alla porta: strusciamento di punta e via, si cambia direzione. Qualche prima osservazione sulla postura e sulla deambulazione: c’è chi è sempre scomposto, chi strascica i piedi, chi s’irrigidisce, chi vive braccia gambe corpo come elementi estranei, fuori controllo.
Ora ci  si sposta lungo un perimetro o una diagonale o tagliando per il largo o per il lungo. Strade invisibili, che danno un senso all’andare in giro per il palcoscenico. Può apparire rigido, ma serve per impedire che il bambino si muova in modo insensato, ora avanti ora indietro, senza mai sapere quanto andare e dove fermarsi. D’altronde, la zona di recitazione è spiazzante, un’area con pochi punti di riferimento, con l’impiccio del pubblico di fronte al quale non devo girare le spalle, e gli altri impicci dei compagni sparsi qua e là. Una griglia dà senso allo spazio vuoto.
Anche le sedie devono essere disposte secondo un a geometria sensata: a semicerchio, in modo che tutti siano visibili, con un corridoio dietro per uscire o prendere i compagni alle spalle.
Ecco, lo spazio è strutturato.
Ora qualche esercizio di vocalizzazione. Scansione e massimo utilizzo dell’aria inspirata. L’attenzione va ai movimenti di inspirazione ed espirazione. Le voci dei bambini sono di tonalità alta, perfino stridula; di intensità insufficiente, a volte solo un soffio; di velocità incontrollata, per cui le parole vengono sparate senza pausa e senza intonazione. Esercizi per ascoltarsi per ascoltare.
Esercizi per guardarsi in faccia. La tentazione è forte, di dire le battute al vuoto; non al pubblico o al compagno, perché sia il pubblico sia il compagno sono fonti di emozioni. Consapevolezza dello spazio, dello sguardo, della relazione instaurata.
Proviamo la prima parte dello spettacolo, più volte. Ogni prova ha due obiettivi: consolidare quanto acquisito e perfezionare con piccole aggiunte e approfondimenti. Di volta in volta, aumentano le competenze. Per fortuna, il bambino ama la ripetizione. Purché, naturalmente, la situazione sia coinvolgente. Procediamo con buon ritmo. Qualche rimprovero perché, nei momenti di attesa fuori dell’aula, scatta il gioco. Difficile, per loro, comprendere il significato e l’importanza di “concentrazione”. L’intendono come silenzio e disciplina, più che come preparazione mentale e fisica alla performance. E, per fortuna, questo teatro li diverte e li appassiona. Quando toccano la porta e si sentono i versi spaventosi del tirannosauro… l’emozione si rinnova, il gioco è sempre bello. Arrivano i genitori: tutti a casa. Raccomandazione: studiare tutto a memoria!

domenica 25 novembre 2012

TOMMASO BANFI STAGE

Tommaso (Lupusagnus, http://www.lupusagnus.com/chi_siamo.html) arriva puntuale con Nenè, il suo husky. Poco dopo, ecco anche Betti. Andiamo subito dai ragazzi che ci stanno aspettando. Gli spiego il piano di regia per "Death watch": tre interpreti (Gilberto, Giovanni e Nicola), ma un unico personaggio, Zaccheo, il condannato in attesa di esecuzione; due musicisti, uno alla chitarra (Carlo) e uno al computer (Lorenzo): una colonna sonora di melodie, ritmi e rumori ambientali. Sul pavimento sono segnate le tre celle che offrono uno spazio d'azione claustrofobico.
Dapprima, lo spazio.
Tommaso fa prendere coscienza della sua estensione, poi dei suoi confini: la camminata da "belva in gabbia" si fa precisa, segnala le distanze e gli angoli, la consistenza delle pareti. La postura, lo sguardo.
I ragazzi camminano camminano... Nelle tre anguste celle nascono stimoli e improvvisazioni: che cosa succede quando ci si trova a contatto? Il muro che divide si disintegra, i ragazzi che s'incontrano ruotano e si ritrovano l'uno nella cella dell'altro: anche nelle condizioni più coercitive si trovano modi per comunicare.
Spazio e corpo: geometrie di spalle e mani che si toccano, di figurazioni a tre per manifestare che la vittima è una, sempre quella, da millenni; ma si moltiplica in continuazione come in un gioco crudele di specchi: io vittima, ti guardo, tu vittima...
Poi, la voce.
La voce che va vicino e quella che va lontano, la voce che rimane chiusa in cella e quella che raggiunge in linea retta il pubblico. La voce sussurrata e gridata, la voce concitata, la voce che spiega, che racconta, che esprime. La voce e la chiarezza: la velocità, la scansione, l'emissione completa della parola...
Un lavoro intenso e prezioso.
Se ne portano via tante idee per la regia e voglia di fare.
A mezzogiorno tutti a pranzo a casa mia: un vassoio di golosità casalinghe portato via ieri sera dall'Artemisia a Mezzomerico, minestrone, patate e gelatina di cipolle, formaggi e gelatina di ribes, brisé di zucchine, i tortini alle mele di Giovanni, una torta al cioccolato con gelato di soia...
E una bella conversazione. 
Grazie, Tom.



ARTEMISIA, APPLAUSI TUTTI IN PIEDI!


Cinque ore per allestire uno spettacolo sono poche, e non assicurano la perfezione. Siamo i primi a saperlo. Ma siamo anche convinti che molte operazioni di perfezionamento pignolo e sapiente vengono effettuate su messe in scena scipite, banali e prive di emozioni. Allora viva questa Artemisia esplosiva, calda, penetrante, emozionante e commovente! Un'ovazione, la gente tutta in piedi ad applaudire. Alla fine, abbiamo visto gente con le lacrime agli occhi e se questo non è uno degli obiettivi del teatro… Non abbiamo fatto piangere con i meccanismi struggenti e inconsistenti di una telenovela, ma con la verità di un personaggio forte, che non ha mai soffocato i propri sentimenti e le proprie passioni. L’abbiamo fatto con semplicità, senza presunzioni, cercando dentro di noi le rispondenze tra parole e stato d’animo, donando al pubblico la nostra autenticità interiore.
Teatro povero, con effetti speciali più di idee che di tecnologia. Un gioco tra recitazione e musica che va alla ricerca del punto di unione, del ritmo che le fonde e si riverbera nell’animo. Teatro che sorprende, emoziona, affascina, ecco il nostro manifesto.
Se abbiamo occasioni di replicarlo, lo perfezioniamo, certo. Ieri sera comunque è piaciuto molto così e ne siamo contenti. Sono soddisfatto di Laura, davvero appassionata e vera. Soddisfatto dell’esordio di Carlo e Lorenzo; emozionati, ma calati nella parte da autentici professionisti. Soddisfatto delle loro straordinarie musiche originali, un valore che sorprende coloro che ritengono i giovani solo dei perditempo. Un grazie a tutti i partecipanti.

venerdì 23 novembre 2012

PASSEROTTI 4


I primi risultati, scaturiti soprattutto dalla spontaneità del bambino, possono dare una falsa rassicurazione. In realtà, nel bambino non ci sarà una traccia sicura e stabile e la volta successiva non saprà ripetere la performance. Per stabilizzare l’esecuzione, il bambino può procedere in due modi: con la memorizzazione precisa di movimenti e parole, oppure con la comprensione delle regole del palcoscenico, delle proprie risorse e del modo più efficace di sfruttarle.
La prima via è fattibile, il bambino è abituato ad apprendere per ripetizione. La seconda via tuttavia assicura una consapevolezza di sé e un’acquisizione sia di tecnica sia di cultura di più alto valore.
Il metodo più esaustivo? Percorrere le due vie, mostrando al piccolo attore come fare e spiegando il perché. Per l’animatore è faticoso, dato che deve fare da modello per la voce (registro, sonorità, espressività), per l’emozione espressa, per la gestualità, per il movimento. Trovare le parole giuste per spiegare concetti astratti rappresenta a volte una difficoltà, ma le cose fondamentali sono apprese in fretta (no spalle al pubblico, intensità della voce, la valenza dello sguardo, la chiarezza dell’eloquio, la duttilità del corpo…).
Ogni ripetizione consolida e fa scoprire; i bambini arrivano al risultato con i loro tempi personali e la capacità di apprendimento è così diversa sia in qualità sia in tempistica che l’animatore non deve stupirsi se uno sembra già un piccolo attore alla prima prova e un altro ci arriva alla quinta.

Quali difficoltà incontra il bambino che incomincia un corso di teatro?
Anzitutto, deve rivoluzionare la propria visione di sé e le modalità di interazione con l’ambiente e con i compagni. Una bambina riservata, per esempio, si ritrova a dover sbraitare ordini a un compagno sicuro di sé; un bambino abile a muoversi tra telecomandi, joystick e tastiere, vede il proprio spazio d’interazione allargarsi e strutturarsi, costringendolo a una programmazione di movimenti ampi e sensati che di solito non pratica; una bambina con scarsa capacità di concentrazione scopre il vuoto nell’attimo in cui non ricorda la parte o la coreografia e deve quindi apprendere strategie per diventare parte attiva del gruppo e non un intralcio; un bambino iperattivo si rende presto conto che deve inserirsi in un meccanismo nel quale contano precisione, sincronia, interazione ordinata e autocontrollo. E così via.
Prima di cominciare le prove vere e proprie, si svolgono esercizi per stabilire un rapporto consapevole e creativo con lo spazio, il corpo, i compagni. Il luogo del teatro deve diventare un luogo amico, la libertà d’espressione dev’essere assicurata nel rispetto di quella altrui, le dinamiche di gruppo devono essere stimolate in modo che s’instauri fiducia e affiatamento.
Giochi di utilizzo dello spazio e degli oggetti. Le posizioni sul palcoscenico, rispetto ai compagni e al pubblico; la distribuzione sull’area; gli spostamenti; con una sedia che cosa posso fare? Che cosa può diventare?
Molti bambini tendono a fare sempre cucciolata. Si raggruppano, lasciando ampi spazi vuoti. Se devono distanziarsi dai compagni, tentano sempre di accorciare le distanze e di tornare al più presto nella posizione di partenza. Allontanarsi, esprimere qualcosa al pubblico o al partner, tornare… è sempre metafora di un abbandono. Fin da subito, infatti, funzionano molto bene le attività di gruppo: una filastrocca recitata insieme, lo spostamento di tutti, una pantomima… L’interprete singolo vede la conquista e il controllo dello spazio come una proposta di autonomia, per la quale non si sente ancora pronto.
Diventa quindi importante ripetere e ripetere uno schema di spostamenti, operazione che rassicura e migliora la recitazione. Un po’ come il bambino che per la prima volta affronta il traffico sulla bicicletta. Fare da solo è eccitante, ma pericoloso. Eppure è il solo modo per crescere.


lunedì 19 novembre 2012

ARTISTI OGGI


La competizione, la raccomandazione, la monetizzazione, l’immagine, il carrierismo, la speculazione, l’egotismo, la manipolazione e così via, sono aspetti della vita sociale che non risparmiano il mondo dell’arte. Anzi, sempre più la produzione dell’artista è ripulita da ogni residuo romantico e ridefinita nell’ambito di un mercato come qualsiasi altro prodotto. Quando parliamo di compravendita, pensiamo a beni di consumo o d’investimento, ma dobbiamo mettere in elenco anche gli esseri umani e il loro genio.
Senza pudore, individui di soldi e di potere ambiscono a comprare, rendendosene padroni (lo schiavismo ha radici troppo profonde), esseri umani dotati di qualità singolari, siano essi scienziati, atleti o artisti. In modi diversi, è comunque sempre andata così. Il padrone poteva anche chiamarsi mecenate, la sostanza non cambia. Oggi, però, i rapporti non sono più tra persone, ma tra perversioni capitaliste e produzioni intellettuali.
Chi si propone come sponsor di un artista può avere un atteggiamento rispettoso e disinteressato, ma capita di rado. Di solito, chi investe tempo e denari si aspetta un tornaconto. Alcuni si accontentano della solita tabella degli utili: mi sei costato tot, devi rendere almeno il doppio. E così libri, film, quadri… sono un investimento. Va bene.
Altri, però, si crogiolano in un senso di onnipotenza estetica. Se scoprono un artista, se lo finanziano, e se l’artista ha successo, operano una sostituzione patetica, mettendo sé stessi al posto dell’artista. Il ragionamento è semplice: tu sei artista non per merito tuo o per dono di natura, ma perché io ho proiettato in te le mie straordinarie potenzialità espressive, dandoti vita come  ha fatto Frankenstein. Io, che pago, sono il vero artista, tu non sei che il mio mostro personale, la macchina che produce secondo la mia volontà.
Situazione molto pericolosa.
L’artista ha tutto facilitato, ha soldi, notorietà, successo. Ma deve chinare il capo, subire stravaganze, cambiamenti d’umore, umiliazioni; deve soggiacere all’incompetenza e all’arroganza. E soprattutto deve rinunciare al quieto orgoglio di sé fondato sulla libertà interiore.
Arte di salotti, di signori presuntuosi, di signore viziate; arte sottomessa alla prepotenza e all’ignoranza di chi ha dedicato la vita all’accumulo di beni materiali e tratta non solo il mondo, ma anche la vita nelle sue espressioni più ineffabili, come una proprietà sottoposta al suo giudizio e al suo capriccio.
L’arte, oggi, spesso, non è che una scatola vuota.

domenica 18 novembre 2012

ARTEMISIA: LETTURA PANICA

Un primo incontro di conoscenza tra gli interpreti e per tracciare le linee di base; si definisce l'amalgama tra la voce di Laura, la chitarra di Carlo e le musiche originali al computer di Lorenzo. Stamattina la prova con Laura dalle 9.00 alle 10.30 e poi fino a mezzogiorno con i ragazzi per fondere il tutto.
Ecco, la lettura-spettacolo è pronta.
Per la regia ho applicato alcuni principi del "teatro panico" che passo dopo passo sto teorizzando e che si sta rivelando prezioso per dare coerenza e concretezza alla messa in scena.
Anzitutto, ho liberato Laura da ogni velleità di bella espressione, spingendola verso un rapporto ritmico-corporeo con la parola declamata. E' la parcellizzazione del personaggio, considerato non nella sua consistenza monolitica (un carattere durevole nel tempo visto nel suo percorso psicologico), ma nelle diverse situazioni che sono come sfaccettature. Ogni momento drammatico fa personaggio a sé e facilita nello spettatore riconoscimenti e partecipazioni emotive.
Poi, ho legato la voce ora al suono della chitarra ora al brano musicale, ricavandone effetti diversi: la voce come scansione ossessiva corporea, come ritmo rappato, come suggestione quasi jazzistica...
Ho considerato tutte le presenze sul palcoscenico (sempre a vista) come componenti attive e versatili, da utilizzare senza rispettare i canoni. Alla voce femminile ho così unito quelle maschili dei musicisti, che reggono brevi ruoli e leggono poesie d'epoca.
Ho infine preso in considerazione la struttura espressiva generale. All'inizio, il dramma dello stupro, aspro e doloroso; poi la narrazione del periodo felice, di vena brillante e d'invettiva; in chiusura, il patetico del ricongiungimento fisico e affettivo con il padre, che è come lo spegnersi lento di una meteora.
Una lettura-spettacolo di emozioni forti e varie, resa possibile dalla sinergia di tre giovani ricchi di talento e di sensibilità: Lorenzo Crippa, Carlo Fanchini e Laura Fortina.
Il Teatro dei Passeri ha ancora tante cose da dire e da fare.
Grazie, ragazzi.

SABATO 24 NOVEMBRE, Cason di Mezzomerico, ore 16.30.

sabato 17 novembre 2012

L'ATTORE DI DIDEROT

Gli attori del sec. XVIII come li vede Diderot.

"In società, quando non fanno i buffoni, li trovo cortesi, caustici e freddi, un po' esibizionisti, dissipati e dissipatori, interessati, più divertiti dei nostri difetti che colpiti dai nostri mali; sempre imperturbabili di fronte a un caso penoso o al racconto di un triste avvenimento; isolati, vagabondi, agli ordini dei potenti; scarsa moralità, niente amici, quasi nessuno di quei santi e dolci legami che ci accomunano nelle pene e nei piaceri a un altro essere, che a sua volta condivide i nostri. Ho visto spesso un attore ridere fuori di scena, ma non mi ricordo di averne mai visto uno piangere. 
Di quella sensibilità che si attribuiscono e che viene loro attribuita, che uso fanno? La lasciano forse sulla scena, quando ne escono, per riprenderla quando vi rientrano? (...) 
Si è detto che gli attori non hanno nessun carattere perché, recitandoli tutti, perdono quello specifico che la natura ha dato loro, e diventavano falsi allo stesso modo che il medico, il chirurgo e il macellaio diventavano spietati. Credo che si sia scambiata la causa per l'effetto, e che, se sono in grado di recitare tutti i caratteri, è perché, quanto a loro, ne sono del tutto sprovvisti."

Denis Diderot, Paradosso sull'attore, Editori Riuniti, 2007, pag. 117.

giovedì 15 novembre 2012

PASSEROTTI 3

Ci sediamo in cerchio. Per fare teatro, non devono essere consapevoli solo dello spazio e del corpo, ma anche dei partner. Ci dev'essere una coscienza di gruppo e una conoscenza interpersonale che infonda fiducia e sicurezza. Chiedo loro di esprimere opinioni e impressioni sui compagni. Come al solito, c'è la spaccatura tra maschi e femmine. I maschi ridono, hanno sbalzi d'umore, si muovono senza motivo. Delle femmine i maschi dicono: è tranquilla, non so che cosa dire. L'analisi non è certo approfondita, non ne hanno gli strumenti. Ma li costringe a guardarsi in faccia e a ricordarsi gli uni degli altri.
Bene, al lavoro. Consegno le prime sei pagine di copione. Per un'ora leggiamo. La prima volta per orientarsi, la seconda per dare vita alle parole. Ai bambini non posso dire: esprimi perplessità, manifesta insicurezza con una voce incerta e spezzata, usa un registro sprezzante... Non funziona, non capiscono. Devo dare io l'esempio. Leggo ogni frase non solo con la voce, ma con il gesto, il movimento, la mimica facciale. Ecco, ora identificano con chiarezza che cosa c'è sotto le parole. Ripetono con l'atteggiamento appropriato, rendendo espressiva la lettura. Quando all'esempio unisco un quadro dello stato d'animo e della situazione, lo faccio con termini semplici e diretti.
Abbiamo ancora un quarto d'ora e facciamo una prova. Arrivano alcuni genitori e assistono. Non è una grande prova. Sono distratti e stanchi (sulle spalle hanno una giornata intera a scuola), ma soprattutto hanno il copione in mano. Li invito a memorizzare per metà dicembre, così organizziamo una prova "ufficiale".

domenica 11 novembre 2012

PASSEROTTI 2

Entrano svolazzando garruli. Per riportarli nella dimensione teatro, pochi minuti di riscaldamento. A specchio. Mi tocco le parti del corpo e le nomino. In un attimo sono presenti a sé stessi. Approfondisco con il respiro: inspira naso, espira bocca, espira spalle, espira braccia e piegamento... Libertà espressiva: saltelli, smorfie, versi animaleschi... Stop. Lento veloce.
Siamo pronti.
Proviamo quanto costruito la volta scorsa e andiamo avanti. Luca ha tentato di aprire la porta, ma il verso spaventoso di Godzilla lo ha fermato: terrore in sala. Clicco su "Acqua gocciolante" (ho il notebook con casse esterne in cui ho uploadato decine e decine di effetti sonori). Input ad Andrea, per associazione: "E se mi scappa la pipì?". Improvvisano. Poi faccio sentire i latrati furiosi di un cane. Di nuovo paura. Discussione: dietro la porta c'è un cane o un dinosauro? Giada ha paura dei cani: mangiano i bambini. Infatti, si sente il pianto di un neonato, e poi silenzio: l'ha mangiato? Finalmente s'incuriosiscono gli uni degli altri (non si conoscono tra di loro). Si scambiano i nomi, bisticciano... Vengono alla luce i loro caratteri. Un conto alla rovescia crea suspence: che cosa sta per succedere? Una bomba atomica. E poi la sirena della polizia. Hanno dato la colpa a loro? Vengono ad arrestarli? Improvvisamente, trilla il telefono.
La scrittura procede svelta. Le idee sono tante, le gag facili, i momenti di paura si alternano a quelli di trionfo, o di attesa o di sfogo nervoso... Insomma, un sobbollire incessante di nuovi stati d'animo. I cambiamenti repentini di situazioni coinvolgono e offrono spunti interessanti. i bambini si divertono e danno contributi preziosi. Per finire, il gioco del cameriere (memoria e concentrazione): ordinano schifezze al cameriere che deve servire i piatti senza sbagliare.
Ecco i genitori. A giovedì.

sabato 10 novembre 2012

SERATA A PALAZZO BELLINI




 Sala piena, più di sessanta persone. Grazie a tutti i presenti (fa piacere che la gente si muova per la presentazione di un libro). Grazie all'amministrazione e alla biblioteca, al duo jazz Paolo Fabbri-Stefano Bobbio, ai signori Gelmini (e ai loro vini), al ristorante Gaia (e alle sue golosità), ai lettori e alle lettrici, a Sergio Plevani e a quanti altri hanno collaborato, tra i quali Jacopo Colombo del museo civico.


venerdì 9 novembre 2012

I SOLITI INCOMPRESI

Uno scrittore è uno specialista in comunicazione. Passa la vita a cercare cose che valga la pena di raccontare e a porsi la questione: come presento questo? come dico quello?
Sperimenta linguaggi nuovi, amplia il lessico, si cuce addosso una sintassi personale, elabora strutture espressive, s'inventa una semiologia esistenziale... 
Uno scrittore è un corpo sul tavolo autoptico, a volte già da vivo. Ne sezionano i giorni e le notti, le parole e i sogni. Ne analizzano le lettere, gli scarabocchi infantili, i deliri senili. Esaminano al microscopio le sue relazioni sociali, alla ricerca di virus letali. Ne abusano per spacciare teorie estetiche e formule matematiche di esegetica.
Di tutta la fatica per esprimersi e dell'affaccendarsi critico, in vita e in morte, che cosa rimane a uno scrittore?
La consapevolezza attonita di non essere stato capito da nessuno.Forse è solo un vezzo. Forse nemmeno lui riesce a capirsi. Forse la forza dell'intuizione informe è superiore a quella della razionalizzazione definita e definente. Forse. Forse è una condizione comune a tutto il genere umano.

mercoledì 7 novembre 2012

FIABE PER LEONI VENEZIANI


Fiabe per leoni veneziani – sta arrivando from Chagall on Vimeo.


Dieci riletture di fiabe famose.

Il progetto sostiene l’associazione U.I.L.D.M., sezione di Mestre.

Fiabe di:
• Fulvia Degl’Innocenti
• Cristina Marsi
• Francesca Ruggiu Traversi
• Barbara Fiorio
• Deborah Epifani
• M.P. Black
• Claudia Tonin
• Fabiana Redivo
• Aquilino
• Daniele Nicastro
Filastrocche di:
• Roberto Piumini
• Antonia Romagnoli
• Gabriella Sanapo
• Mario De Martino
Illustrazioni di:
• Vincenzo Sanapo

domenica 4 novembre 2012

ARTEMISIA: LA PASSIONE CONTRO LA VIOLENZA


Stamattina dalle 9.30 alle 12.30 ci siamo trovati io, Laura Fortina, Lorenzo Crippa e Carlo Fanchini per provare “Artemisia: la passione contro la violenza”. Il titolo è cambiato, ma l’opera rimane quella pubblicata in “Altri testi per il teatro” (Artemisia: le tinte forti delle passioni), ridotta di un terzo (ho tolto più che altro le descrizioni dei quadri che saranno però esposte insieme alle riproduzioni). In questo modo, risulta più in sintonia con lo spirito dell’iniziativa, contro la violenza sulle donne.
Laura viene introdotta da Lorenzo (musica sua al computer) al quale si sovrappone Carlo (musica sua con chitarra classica). La faccio leggere, ma l’interrompo subito: dimentica la bella lettura elegante, non cercare l’immedesimazione, ma la coerenza con emozioni e sentimenti. Il primo schema prevedeva inserti musicali strategici, ma ora gioco con i due tipi molto diversi di musica.
La elettronica accompagna scene come quella della tortura, risultando molto efficace, dato che richiama echi suoni cavernosi e metallici e stridere di catene ecc.; gli arpeggi fanno un tappeto che impreziosisce la voce e le note singole danno un ritmo pressante.
Metto alla prova i musicisti sulla declamazione. Lorenzo legge le parti maschili, tra cui quella in latino dei giudici; con Carlo recita le tre poesie d’epoca che pensavo invece di non utilizzare. Se la cavano egregiamente, hanno voci calde e profonde che si alternano felicemente alla tonalità femminile di Laura.
La spingo a sentire il testo con il corpo, a cercare una scansione di gambe e di voce, e in questo ci aiutano le composizioni di Lorenzo, così ritmate, e di evocazioni lontane, tipo il jazz. Lo senti, Laura? Stacca le parole, stai cantando jazz, muoviti sulla declamazione.
Come al solito, non m’interessa che al pubblico giungano tutte le parole e che le capisca tutte, dalla prima all’ultima. Ci sono obiettivi più importanti. Fondere le varie parti con coerenza espressiva, creare un clima, un’atmosfera suggestiva; soprattutto provocare emozioni con il gioco dei suoni contrapposti, dei ritmi, degli spiazzamenti… L’interpretazione naturalistica di un testo ci porta a strillare sui punti esclamativi, a strascicare la voce melensa sulle narrazioni malinconiche, a fare i cabarettisti nei momenti brillanti… Bah. Bisogna stravolgere. Cercare strade non abusate.
Alla fine, sono soddisfatto. In tre ore abbiamo costruito uno spettacolo basato su un trio di voce, computer e chitarra. Tra una decina di giorni una prova solo con Laura per raffinare la voce, poi una prova generale e infine si va in scena, il 24 novembre, a Mezzomerico.

mercoledì 31 ottobre 2012

DEATH WATCH 1


Ecco, abbiamo cominciato. In modo semplice. Il primo passo è stato addirittura tradizionale: un protagonista e due comprimari; una lettura sofferta; tocchi di realismo sulla scena. Immediatamente è scattato in me il rifiuto. Attorno al protagonista si possono mettere alter-ego, emblemi (la società, i carcerieri, la giustizia…), ma questo è il teatro a tavolino, pensato dai registi cervellotici che tanto piacciono ai critici e tanto sono applauditi dal pubblico che ammicca compiaciuto alla loro genialità intelligente. Ho analizzato i vari elementi più con la pancia che con la testa. Questo è teatro Panico, no?
Nessun protagonista e tre protagonisti. Identici. Tre corpi arancioni e tre voci che si specchiano e si fronteggiano, un monologo che diventa specchio di sé stesso, tre immagini di un’unica realtà conflittuale e complessa. In fondo, i deliri interiori di un condannato a morte chi li ascolta? Solo lui, spezzato in più parti dal terrore, dai ricordi, dalla confusione…
La recitazione alla Stanislavski non fa per noi. Anzitutto, con sincerità, non ne abbiamo i mezzi. I ragazzi del Teatro dei Passeri non sono attori formati da una scuola. Sono apprendisti sul campo. Ma soprattutto penso che televisione e cinema si siano appropriati di una recitazione mimetica, aderenti alla realtà più che la realtà stessa, fotografica in alta definizione. Ci basta un serial americano per apprezzare il realismo della fiction e l’approfondimento psicologico dei personaggi. Ma non c’è solo la psicologia a fare un personaggio!
E c’è un altro realismo, più profondo e sottile.
Il nostro teatro è per gran parte fondato su personaggi di vita quotidiana. La loro grandezza letteraria svanisce quando li isoliamo dal loro ambiente e li scaraventiamo al centro virtuale dell’universo. Là, circondati da nebulose e misteri troppo grandi per appartenere all’umanità, in un silenzio musicale che stordisce, in una tenebra di luce, si svela tutta la loro piccolezza: risultano incongruenti.
Vorrei andare al di là della psicologia e utilizzare la parola non per un effetto catartico, ma per trasferire il pubblico da una sala di attenzione passiva (non siamo cinema, non siamo televisione, soprattutto non siamo noia) a uno spazio di stupore e spiazzamento, di ritmo e silenzio, di significati arcani sepolti in fondo alla storia. Vorrei più mito, nella quotidianità.
Pensando a Pan. Zoccoli duri, corpo deforme, musica alienante, forza e passione, natura e la presunzione del divino.
Semplice. Tracciamo sul pavimento il contorno di tre celle affiancate, di msura ridotta per dare il senso di claustrofobia. Nelle celle, niente. Sul davanti, due sbarre verticali daranno l’idea della prigione.
Si riparte. La voce non cerca di esprimere rabbia, dolore, paura… il corpo non si adegua alla voce e al significato del narrato. La voce è ritmo, musica, coro, verso di animale, suono spaziale… e il corpo è quello di una cosa, di un animale, del niente.
Si comincia così, cercando ciò che non siamo sicuri di trovare. Un modo di fare teatro che sia nostro, e che ci liberi dalle convenzioni e dalle sale di pubblico bendisposto, ma abitudinario. Il pubblico formato da gente che dice: mi piace (e lo dice perché il prodotto rientra nel catalogo mentale di studi superiori e di conversazioni da salotto) o non mi piace (in tono ghigliottinesco, come se l’arte non fosse l’artista a farla, ma l’applauso).
Nella seconda prova tasteremo il polso alla musica. Musica di chitarra, musica di computer, e musica di suoni isolati e di rumori.
I passeri volano bassi, ma sono liberi.
Volando bassi, conoscono sia il cielo sia la terra.

lunedì 29 ottobre 2012

HALLOWEEN in Biblioteca e in Museo

Domani alle ore 17.00, in Biblioteca, tra le altre iniziative, un laboratorio di teatro con bambini dai 7 ai 10 anni, intitolato: "Gli Orrendi in scena". Ci saranno dai 15 ai 20 bambini ai quali proporrò interpretazioni e letture dalla serie degli Orrendi, con musiche spaventose, giochi ed esercizi che li introducano al linguaggio teatrale: voce, corpo, spazio, partner.
Essendo più piccoli di quelli del laboratorio che ho già tenuto a Cagliari per "Tuttestorie", introduco delle filastrocche con le quali giocare con la voce e la mimica, per solisti e cori, con voce lenta, veloce, scandita, modificata, cantante... Eccole.

Siamo i mostri di Halloween
versa il sangue nel bicchiere
poi fa il brindisi cin cin
tutto il sangue devi bere.

Con la faccia spaventosa
nella notte tenebrosa
con un ghigno sulla faccia
mangio tutta la focaccia.

Sono il fantasma Violino
voglio acchiapparti bambino
vieni con me all’altro mondo
giù nell’abisso là in fondo.
Stammi lontano Violino
bada che sono un bambino
se tu mi vuoi spaventare
io ti faccio scappare.

Sono brutto, sono sporco,
faccio schifo, sono un orco,
la mia dieta è di bambini,
mangio quelli piccolini.

Tu mi dici: come puzzi!
Eh, per forza, sono morto!
Ma sta’ attento a farmi torto:
i canini sono aguzzi.

Sono il mostro Frankenstein,
son cucito e imbullonato,
quando sono spaventato
urlo: cai cai cai cain!

Notte di orrore e paura
vedo un’orrenda creatura
cerca qualcuno gemendo
scappa qualcuno piangendo.
Va’ via, creatura mostruosa,
va’ via, bestiaccia rognosa,
va’ via, bruttissimo mostro,
e chiudi i tuoi occhi d’inchiostro.
Notte tremenda
cupa leggenda
streghe e vampiri
urla e sospiri.
Chi bussa alla mia porta?
Chi sei, creatura morta?
Sono il lupo mannaro.
E allora io ti sparo.
Ehi, bambina che dormi, non svegliarti.
Ci sono mostri da tutte le parti.
Bussano forte di notte alla porta.
Vogliono entrare e dopo tu sei morta.
Passa la notte,
viene il mattino,
i mostri a frotte
dentro il camino.

sabato 27 ottobre 2012

UN LIBRO, UN AUTORE: scrittura scritta e letta



Quando capita un’occasione come questa, si è costretti a rivedere la scrittura per adattarla al nuovo utilizzo. La scrittura su pagina risulta diversa da quella su leggio. Il suono della voce rimarca dissonanze e cacofonie che la forma grafica, più visiva che uditiva, mascherava. I tempi dell’occhio sono diversi da quelli dell’orecchio. Una pausa grafica può diventare un abisso di silenzio, una monotonia descrittiva la palude in cui s’impantana l’attenzione del pubblico. Se poi a leggere non sono attori con voce e tecnica raffinate dall’esercizio… Allo scrittore il proprio libro sembra un disastro, soprattutto se lo scrittore in questione ha competenze di teatro. Prima di pubblicare un libro, si fanno diverse riscritture. Se si è accorti, lo si fa leggere anche da una persona amica e preparata. Poi interviene l’editor con le sue verifiche e le sue osservazioni. Insomma, momenti di correzione e di affinamento non mancano.
A libro pubblicato, si provi però a metterlo in scena o solo a leggerlo a voce alta. Ecco che quanto pareva fluido e scorrevole si fa più ciottoloso, e il ritmo di una pagina assume cadenze sonnacchiose o zoppicanti.
Anche in questa occasione, mi sono detto: ahi ahi ahi, il libro non era finito. E mi si forma in mente la bella galleria delle citazioni da cioccolatino, dei brani antologici scelti e confezionati con cura, delle strutture tirate con il compasso e il righello, di architettura rinascimentale, tanto sono calibrate. Mi prende lo sconforto? Sì, ma è il solito. Lo sconforto di non poter raggiungere la perfezione nella consapevolezza che non esiste e che se esiste è taroccata. Sconforto che, alla fin dei conti, è solo fatica di fare imparando, e di perfezionarsi senza mete da raggiungere.
In conclusione, mi dico, io non scrivo per incartare un cioccolatino. Scrivo per fare quella cosa misteriosa che si chiama letteratura, che non è suddita del best-sellerismo o del cinema, e nemmeno dei salotti o degli editori miliardari, e tantomeno dei critici mercenari e dei lettori saccenti.
La letteratura è libera.
Libera di costruirsi nella fatica quotidiana, per prove ed errori, attraverso sogni incompleti e utopie esaltanti, lungimirante sul mondo e cieca su sé stessa, umile nella propria animosità, orgogliosa della propria autenticità.
Perdonate, perciò, tutto quanto vi è di imperfetto in una scrittura: non fa che rispecchiare la vita.