mercoledì 25 dicembre 2013

IL TEATRO DELL'OPPRESSO E ARISTOTELE

IL TEATRO DELL’OPPRESSO E ARISTOTELE

“Il Teatro dell’Oppresso è un metodo teatrale elaborato da Augusto Boal a partire dagli anni ’60, prima in Brasile e poi in Europa, che usa il teatro come mezzo di conoscenza, come linguaggio e come mezzo di trasformazione della realtà interiore, relazionale e sociale. È un teatro che rende attivo il pubblico e serve ai gruppi di “spett-attori” per esplorare, mettere in scena, analizzare e trasformare la realtà che essi stessi vivono. Si basa sull’ipotesi che “tutto il corpo pensa”, in altre parole su una concezione “globale” dell’uomo visto come interazione reciproca di corpo, mente, emozioni.”
Le principali tecniche utilizzate sono:
Teatro Forum: performance che tende a realizzarsi in situazioni il più delle volte informali (teatro, strada, piazza, aula scolastica, centro sociale…), finalizzata al coinvolgimento attivo degli spettatori, ossia al loro intervento diretto sulla scena.
Teatro Immagine: insieme di attività basate sul linguaggio non verbale delle immagini corporee.
Flic dans la téte: tecnica sviluppata in Francia per un lavoro intrapsichico che mette in scena le oppressioni personali.
Teatro Invisibile: forma di teatro realizzata in contesti di vita quotidiana, che porta il teatro fuori dal teatro e coglie le reazioni del pubblico inconsapevole di trovarsi di fronte ad una performance teatrale.
Teatro Giornale: il TdO è in questo caso utilizzato come mezzo per l’elaborazione comunitaria degli avvenimenti politici e sociali.
Un’esposizione esauriente è contenuta nel testo di Augusto Boal “Il teatro degli oppressi. Teoria e tecnica del teatro”, ristampato da La Meridiana nel 2011 con l’aggiunta di un capitolo inedito per l’Italia, “Il sistema tragico coercitivo di Aristotele”.

Il Teatro dell’Oppresso…
“1. serve in campo politico, per ridare voce alla base, costruire percorsi di cittadinanza attiva, di controllo dal basso delle istituzioni politiche e delle amministrazioni (cfr. il Teatro-Legislativo);
2. serve in campo sociale: per rafforzare i processi di liberazione dei gruppi discriminati e oppressi, ma anche per indagare le nostre vite quotidiane e scoprire i cambiamenti necessari (lavoro, qualità della vita, ambiente, sviluppo economico sostenibile o decrescita felice, sicurezza e coesione sociale, immigrazione…) (cfr. Teatro-Immagine, Teatro-Forum, Teatro-Invisibile);
3. serve in campo educativo, per sviluppare nei giovani cittadini strumenti di analisi della realtà, di gestione dei conflitti, di comunicazione costruttiva, di autostima e fiducia… (giochesercizi – nel gergo di Boal – in primis, ma anche il Teatro-Forum);
4. serve in campo terapeutico, per non lasciare che la terapia operi il suo riduzionismo trasformando il malessere sociale in problema psicologico individuale, affinché si riescano a individuare i legami tra “sofferenza individuale” e “contraddizioni sociali” (le tecniche del Flic-dans-la-tête);
5. serve in campo teatrale, per ridare al teatro una funzione sociale forte e non ridurlo a mero commercio di prodotti o a semplice intrattenimento (tutte le tecniche e l’Estetica dell’Oppresso).”

Boal chiarisce il senso del libro in una breve introduzione alla parte prima.
“All’inizio teatro era il canto ditirambico: il popolo libero che cantava all’aperto. Il carnevale. La festa. Poi le classi dominanti si impadronirono del teatro e costruirono le loro muraglie. Dapprima divisero il popolo, separando attori da spettatori: persone che agiscono e persone che guardano: finì la festa. In seguito, tra gli attori stessi, si separarono i protagonisti dalla massa: ebbe inizio l’indottrinamento coercitivo. Questi saggi mostrano come il popolo riassume la sua funzione di protagonista nel teatro e nella società.”
E più avanti:
“Il dibattito sui rapporti fra teatro e politica è vecchio quanto il teatro… e la politica! Dai tempi di Aristotele, e anche molto prima, se ne discute con gli stessi argomenti, le stesse solfe di oggi. Da un lato si afferma che l’arte è pura contemplazione; dall’altro, al contrario, che l’arte offre sempre una visione del mondo in trasformazione. Essa è dunque politica, poiché mostra i modi di effettuare o di ritardare tale trasformazione.”
Il TdO agisce quindi nella scia dell’ottimismo progressista, che appartiene anche al vituperato Aristotele: l’uomo tende alla perfezione e addirittura, con l’arte e la scienza, migliora la natura che spesso compie errori. Boal crede nell’efficacia del teatro, in grado di far prendere coscienza e di rivoluzionare l’ordine sociale.
“Come spiega Arnold Hauser nella sua “Storia sociale dell’arte”, all’origine il teatro era il coro, la massa, il popolo. Era lui il vero protagonista. Quando Tespi inventò il protagonista, aristocratizzò, aristotelicizzò immediatamente il teatro, che esisteva fino a quel momento sotto la forma popolare di manifestazione di massa, di cortei, di feste, ecc. Il dialogo coro-protagonista è chiaramente il riflesso del dialogo popolo-aristocrazia. L’eroe tragico, che si mette in seguito a dialogare non più solo con il coro ma con i suoi simili (deuteragonista e trigonista) era sempre presentato come un esempio da seguire in alcuni aspetti e non in altri. L’eroe tragico appare quando lo Stato inizia a utilizzare il teatro a fini politici e di coercizione del popolo. Non bisogna dimenticare che era lo Stato a pagare, direttamente o tramite mecenati, le produzioni.”
Aristotele un repressore di istanze rivoluzionarie? In che modo? Attraverso la tragedia greca antica.

“– Prima tappa: si incoraggia l’hamartia (nota anche col nome di colpa tragica. È l’unica impurità che esiste nel personaggio. L’hamartia è la sola cosa che può e deve essere distrutta affinché l’interezza dell’ethos del personaggio sia conforme all’interezza dell’ethos della società. A causa di questo confronto di tendenze, l’hamartia provoca il conflitto: è la sola tendenza che non sia in armonia con la società, con ciò che è richiesto dalla società). Il personaggio segue un cammino che sale verso la felicità, accompagnato “empaticamente” dallo spettatore. Arriva il capovolgimento: il personaggio e lo spettatore intraprendono il percorso inverso, che va dalla fortuna alla sfortuna. Caduta dell’eroe.
– Seconda tappa: il personaggio riconosce il suo errore: agnorisis. Grazie al rapporto di empathia dianoia-ragione (dianoia è la conoscenza discorsiva), lo spettatore riconosce il proprio errore, la propria hamartia, la propria mancanza nei confronti della Costituzione.
–Terza tappa: catastrophe: il personaggio subisce le conseguenze del suo errore, conseguenze violente sotto forma della propria morte o di quella delle persone che ama.
Catarsi: lo spettatore, terrorizzato dallo spettacolo della catastrophe, si purifica della sua hamartia.”

Nel sistema tragico coercitivo di Aristotele è essenziale che:
“a) un conflitto abbia luogo fra l’ethos del personaggio e l’ethos della società nella quale vive. Ci sia qualcosa che non vada bene;
b) si stabilisca un legame, chiamato empathia, che consiste nel permettere al personaggio di condurre lo spettatore attraverso le proprie esperienze - lo spettatore prova le stesse cose come se stesse agendo lui stesso, gode i piaceri e soffre i dolori del personaggio, al punto di pensare i suoi pensieri;
c) lo spettatore subisce tre accadimenti di natura violenta: la peripezia, l’agnorisis e la catarsi: subisce un’inversione di marcia nel suo destino (l’azione della pièce), riconosce l’errore commesso per interposta persona e si purifica dell’elemento antisociale di cui riconosce di essere vittima.
Eccola l’essenza del sistema tragico coercitivo. Nel teatro greco, questo sistema funziona come è mostrato nello schema. Ma nella sua essenza il sistema ha continuato e continua a essere utilizzato ancora oggi, con le opportune modifiche dovute al cambiamento della società.”

 Molto interessante questa visione storica del teatro come strumento di controllo sociale. Funzione che oggi condivide con il cinema e soprattutto con la televisione. I film della “Walt Disney”, i polpettoni hollywoodiani, i cinepanettoni italiani, i programmi televisivi di intrattenimento, le serie poliziesche e comiche… L’attività dello spettacolo si muove per la maggior parte entro i binari della rassicurazione sociale, dell’illusione, della condanna di ogni velleità antisociale, della difesa dello status quo, della disuguaglianza tra gli uomini e tra i popoli, della chiusura mentale, dell’egoismo individuale, della schizofrenia religiosa, del fanatismo politico… e della mediocrità.
Mi ritrovo nel pensiero di Boal? Non in senso politico. Sono scettico riguardo alla possibilità di “educare” il popolo. Oggi non si può più parlare di ignoranza. Chiunque è in grado di attingere informazioni di ogni tipo dai massmedia. Chiunque può farsi un’idea personale della realtà in cui vive. Lo si può aiutare, certo. Ma è innegabile che i politici corrotti e conservatori hanno ricevuto il loro mandato dal popolo, che spesso glielo rinnova negando l’evidenza. Non credo ai grandi movimenti, ma ai piccoli. Penso che la rivoluzione si debba fare nell’individualità, non nella massa. D’altronde, ogni movimento rivoluzionario si è sempre trasformato in repressione e oscurantismo.
Spesso le idee sorgono sulla scia di un’utopia che si segue senza alcuna conoscenza dell’itinerario e del punto di arrivo. La ricerca di idee non sempre è una mela che cade dall’albero. A volte si vaga sull’oceano dietro la scia di… un pesciolino? uno squalo? una balena?... nella speranza di avere scelto una guida che non ci farà naufragare per sempre. Si può avvistare un’isoletta o un continente, ma anche uno scoglio; un punto fermo è pur sempre un inizio.
La mia utopia è di andare al di là della tragedia classica, oltre Aristotele e oltre Tespi, tra le persone che danzavano e cantavano; al di là anche di loro, verso il mito. In questo territorio d’acqua, di terra e d’aria, in questa regione idealmente posta nella Grecia olimpica, vista però come scoglio da cui partire per l’esplorazione dell’universo, non trovo un palcoscenico, ma un luogo deputato, un luogo circoscritto (strada, piazza, campo, bosco, tempio, Olimpo…) nel quale e con il quale vivere un’esperienza mitico-mistica che non ha come scopo il cambiamento del mondo, e nemmeno la sua conoscenza, ma la sua condivisione.
Il teatro è di solito identificato con l’attore. L’attore è corpo, mente, emozioni; corpo pensante, come dice Boal. L’attore è messo in relazione con il pubblico. Il pubblico è passivo (assiste) o attivo (partecipa). Il pubblico manipolato dal potere è passivo; quello auspicato da Artaud, Beck e Malina, Boal… si fonde con l’attore: lo spett-attore. Da questo attivismo sono sempre rimasti esclusi gli altri elementi che formano il teatro: la musica, lo spazio, la scenografia, gli oggetti di scena… Ossia tutti gli elementi inorganici, ai quali è stato assegnato un ruolo solo estetico o strumentale.
Da qui vorrei ripartire.
Da un senso panico della performance teatrale, un senso antico al quale ci stanno per fortuna riportando tanti antropologi, psicologi e ambientalisti contemporanei (James Hillman, per esempio). Dalla mitologia al pianeta verde al teatro. Dall’uso subalterno  della cosa (oggetto, fondale, colore, melodia) al suo co-protagonismo con un gruppo recitante senza protagonisti. Dalla disintegrazione del testo alla sua visualizzazione ritmica. Dal personaggio-individuo all’attore-persona; persona che è tale perché con-vive con gli elementi naturali. Una scena panteistica. Nella quale tutto ciò che ne fa parte è vivo e relazionato.

Un teatro di figura? No, di più. Un teatro che assegna uguale dignità all’attore e al suo costume, alla voce e al rumore, alla mimica facciale e al fondale, alla gestualità e all’espressività di un telo. Parlo dello stupore di osservare una sedia con occhi nuovi, legati non solo a un suo uso estetico e nemmeno funzionale alla performance attoriale o all’economia dello spettacolo; occhi di un teatrante nuovo, che nella sedia vede l’equivalente inorganico dell’attore. Parlo di un eco-teatro nel quale ogni elemento è vivo e in relazione circolare. Un teatro che non affida se stesso all’istrionismo del primo attore o all’estetica del regista di moda; nemmeno al testo di successo o all’apparato scenico faraonico; e neanche al pollice verso del pubblico o all’illuminazione del critico. Un teatro che si chiude in se stesso per trasformare in vita le parole. Un teatro Frankenstein che trasmette energia biologica a tutto ciò che contiene il luogo chiuso della rappresentazione, dall’attore all’oggetto che manipola. 
Fare teatro come passeggiare in un bosco o tuffarsi in mare, consapevoli di non esseri protagonisti dell’ambiente naturale, ma compagni di vita.

venerdì 13 dicembre 2013

DA CHE COSA NASCE TECNEKE



Da dove ha inizio il teatro di Tecneke? Da una visione non antropocentrica del mondo. Non è questo il contesto per una riflessione filosofica, il discorso vuole limitarsi a una delle attività primarie dell’uomo, come appare in campo artistico, politico, religioso e relazionale: il teatro. L’uomo fa teatro fuori scena, nel salotto, nella piazza, sul pulpito e sul palco, sulla tribuna e in cattedra, perfino in famiglia con la moglie e i figli. L’uomo recita, e recita a volte con maggiore efficacia dell’attore che ha fatto della finzione una professione. Il teatro mette in scena una realtà illusoria, ma la stessa cosa (con meno preparazione specifica in quanto a dizione e mimica) fa l’uomo comune nella vita di tutti i giorni, sempre per scopi personali che maschera poi per spacciarli come affetto familiare, realismo politico, missione spirituale e altro.
L’uomo parla all’uomo, l’uomo si limita all’uomo, l’uomo non vede al di là della propria umanità.
La sua vita si fa storia, ma non Storia in quanto memoria oggettiva e onesta del passato, utopia difesa con convinzione fanatica, tanto da insegnarla alle nuove generazioni (cambiando di volta in volta punto di vista, contenuti e conclusioni). Si fa storia spicciola, di cronache quotidiane, elevate a eroismo ed emblema, santificate e decorate, portate a esempio e tradotte in monumenti e agiografie in gran parte bugiarde.
L’uomo gira intorno a se stesso, scandaglia se stesso, ripropone se stesso in modo ossessivo e maniacale, esalta se stesso, divinizza se stesso manifestando tutta la propria schizofrenia.
L’universo non è umano, è di più.
Per fortuna.
Ecco, Tecneke parte da qui. Da un’idea di realtà più ampia della fama umana, legata a premi, successi, mercati, vendite… La sopravvivenza culturale di qualsiasi genio umano, da Omero a Beethoven, fa sorridere in confronto alla STORIA tutta maiuscola, della quale non conosciamo che briciole sparse sulle orme dei dinosauri e prima ancora delle esplosioni stellari e prima ancora di chissà che cosa.
Mi riferisco a una storia di misteri, nella quale l’essere umano convive con animali, vegetali, cose,  alieni, spettri, perfino divinità. Una storia che ci è preclusa, scritta in libri illeggibili, conservati in biblioteche impenetrabili, dentro città inesistenti. Tecneke parte da un riflesso, da un riverbero  di luce lontana, quella che modella l’architettura greca, il suo pensiero, i suoi miti. Parte dal mito per recuperare un rapporto con il mondo che non sia così banale come vogliono farci credere le agenzie mondiali della cultura, tutte in doppiopetto e cravatta di seta. Parte da Pan, il dio che è anche uomo, il mortale che è pure dio. Parte da una relazione con la natura e l’ambiente che sia sentita in profondità, non come investimento e abuso; ma come sintonia e convivenza.
Ma… a livello di teatro? Un rapporto con lo spazio e gli oggetti di scena tutto da riscoprire; con i costumi e i suoni; con le parole e la musica; con i movimenti e le relazioni. Il teatro diventa ambiente chiuso, microclima, ecosistema. E l’attore deve farci i conti. E il regista pure. In un ecosistema non c’è prevalenza-prepotenza, ognuno è predatore-preda, ognuno è consumatore-consumato, ognuno è partecipe, è simbiotico.
Il grande attore? Il regista artifex? il drammaturgo geniale? Ah, niente a che vedere con Tecneke.
In Tecneke tutto concorre all’idea: dall’interazione tra gli attori a quelle con gli oggetti, dalle suggestioni della scenografia a quelle del testo, dagli errori ai casi, dalle coincidenze alle ispirazioni immotivate, dal desiderio di mettersi in gioco alla ricerca in internet, dalla battuta a sproposito all’impulso, dal pensiero ossessivo all’intuizione, dal riconoscimento dei propri limiti al desiderio di superarli.

Forse l’universo è nato così.

TEATRO IN VIDEO

Il primo video "I lupacchiotti e la cosa" mostra un esercizio. A sorpresa, depongo un oggetto su un cubo. L'attore deve avvicinarsi e stabilire una relazione come se l'oggetto fosse una realtà viva, come se avesse una personalità sua, come se l'interazione con esso non fosse solo di uso e abuso, ma di rapporto tra pari. Questo è solo il primo esercizio per abituare ai ragazzi a osservare, a gestire uno spazio-tempo, a fare spettacolo con niente, a sfruttare in modo estemporaneo e inusuale l'immaginazione. Penso che lo riproporrò per approfondire la mimica e le possibilità che da un incontro banale esca comunque una "storia".



Il secondo video riguarda le prime prove strutturate di Caligola. Abbiamo più o meno definito la scenografia e gli oggetti di scena (ci mancano le maschere). Ora è il momento dell'interazione, delle musiche originali di Lorenzo, dell'inserimento della voce jazz di Lia... Insomma, abbiamo acceso il motore, ora vediamo dove ci porta la macchina. 


lunedì 9 dicembre 2013

I MIEI EBOOK NON VENDONO

Un'altra recensione di "Bambini d'ombra" su Amazon Kindle ebook. Sto ultimando "Bimbo Boy" e a breve lo pubblico. Un altro ebook senza lettori. Non ho né tempo né voglia di promuovermi, speravo nel supporto di amici e conoscenti (i libri costano 0,99 centesimi), ma i casi sono due: o la gente non usa i lettori e-reader o amici e conoscenti non hanno tempo e voglia di dedicarmi qualche attenzione. Ma forse c'è una terza possibilità: che i miei libri siano brutti e inutili. Sono confuso. Molto confuso. Non voglio piegarmi alle richieste delle case editrici, non voglio nemmeno scrivere quello che piace a tanti lettori, non voglio seguire le mode. Sono confuso e deluso. 

4.0 su 5 stelle Ombra o Torcia? 5 settembre 2013
Di Gianna
Formato:Formato Kindle|
Bambini d'ombra è un racconto intimo e prezioso. Un viaggio, un ritorno, una luce. Tutte cose di cui ha bisogno un'ombra. Perché a un'ombra, non importa sapere come ha fatto a diventare così. Preferisce sapere come evitare di spegnersi, dove trovare la forza e la speranza. Trovo un Aquilino molto diverso dalla saga "Orrendi per Sempre". Più cupo, serio, perché serio è il tema di bambini che smarriscono la strada e, per questa volta, la ritrovano

FARE TEATRO A SCUOLA


Grazie all’intesa tra Comitato Genitori, associazione Tecneke, Dirigenza e Organi Collegiali, l’istituto comprensivo “Verjus” di Oleggio annovera tra le sue risorse un’aula teatro attrezzata con fondale, luci, amplificazione, elementi di scenografia… Tre sono i progetti in corso.

CYBER BULLISMO

L’attività è rivolta agli alunni della classe Terza sez. B, in compresenza con l’insegnante Francesca Ferazza. Durante la prima fase, ai ragazzi è stato sottoposto un questionario ricavato da quello di “Save the children” del gennaio 2013, invitando anche alunni di altre classi a compilarlo. Inoltre, è stato assegnato lo sviluppo di tre argomenti dal seguente elenco:
POESIA o CANZONE su: solitudine, timidezza, paura degli altri, sentimento di diversità, emarginazione.
PERCHÉ L’HO FATTO: un cyber bullo si racconta.
MI SENTO DIVERSO/A 1: gli altri sono sempre più belli, più sicuri di sé, più bravi, più felici.
MI SENTO DIVERSO/A 2: gli altri non valgono niente, sono brutti, sono stupidi, sono falliti.
ANGOSCIA 1: un attimo di debolezza, mi scatto una foto seminuda e per scherzo la mando a uno che credevo amico; lui la posta.
ANGOSCIA 2: mi prendono in giro perché sono diverso (effeminato, grasso, disabile…), non riesco più ad andare in internet, tempo di ritrovarmi su ogni pagina, comincio ad avere paura di uscire di casa.
UNA BRUTTA STORIA A LIETO FINE: dal cyber bullismo all’utilizzo di risorse: amici, genitori, insegnanti; sconfiggere la solitudine e la paura, confidarsi, imparare a chiedere aiuto.
DIALOGO tra una vittima e il suo persecutore.
Gli alunni hanno proposto:di cantare una canzone da loro tradotta dall’inglese e di realizzare un balletto su una musica da loro scelta. Il materiale così raccolto viene riordinato e scandito da sonorizzazioni che danno lo spunto per pantomime. In conclusione, lo schema dello spettacolo finale è questo:
a)      coreografia: la vittima, il gruppo dei bulli, il gruppo dei passivi.
b)      canzone.
c)      lettura dei dati del questionario.
d)     interpretazioni dei monologhi e dei dialoghi scritti dai ragazzi, inframmezzate da brevi coreografie.
e)      conclusione della coreografia iniziale e balletto finale.
Abbiamo cominciato con facili esercizi di postura e di rapporti spaziali. Poi affronteremo il movimento scandito e la voce.

GRUPPO EMME

Sei alunni con problemi di affezione alla scuola o di relazione o di autostima. Problemi, in generale, di motivazione. Ragazzi con interessi scarsi che non seguono o seguono male le attività scolastiche, che non stabiliscono rapporti positivi con gli insegnanti e con i compagni, che oppongono un netto rifiuto alla formazione culturale, spesso apatici e distaccati, a volte malamente reattivi, in genere poco collaborativi.
L’attività si svolge con la compresenza dell’insegnante Sabina Bovio.
L’idea è di agganciare gli alunni a un argomento di loro gradimento: gli zombi. Mi ispiro al libro “World war Z” di Max Brooks. Ne leggo alcuni passi. Per la messa in scena, seguo la struttura del romanzo: gli zombi da una parte e le interviste, i documentari, i report dall’altra. Programmo quattro zombi e due intervistatori/testimoni. Il cammino appare subito irto di ostacoli. Nessuno dei ragazzi ha intenzione di fare teatro. Li faccio parlare il più possibile. Mostro le dotazioni dell’aula, li invito a manovrare le luci led. Fanno tutto su comando, senza mostrare interesse. Al secondo incontro c’è qualche apertura. I primi tre arrivano ridendo, non con le espressioni scettiche e diffidenti della prima volta. L’atmosfera è più distesa, tutti sono disposti a conversare e a sorridere. Dopo qualche ritrosia, accettano di mettersi in gioco, ma non tutti; costoro osservano incuriositi e danno piccoli apporti. Non hanno idea di che cosa sia muoversi a tempo. I gesti sono legnosi, elementari, lesinati. Tutto ciò che esce dalla conduzione usuale del corpo li sconcerta e li allarma, come se ne andasse di mezzo la propria immagine. Dalla diffidenza alla conversazione senza barriere. Dalla conversazione al gioco. Dal gioco alla parola recitata e alla gestione espressiva del corpo. Un itinerario comunque percorribile, passo dopo passo. Al terzo incontro facciamo partecipare un quintetto di ragazze con anni di esperienza di hip hop o danza moderna che improvvisano la nascita degli zombi. Sul loro esempio, alcuni ragazzi si prestano a movimenti timidi, celati però dal fondale semitrasparente. Non si lanciano nemmeno nel ballo libero. Tutte le manifestazioni di spontaneità fisica sono risicate e conflittuali. Ritengo opportuno non forzare più di tanto per non creare fratture.
Ridisegno il progetto, meditando di arrivare al teatro per vie traverse e in una seconda fase.
Propongo loro la realizzazione di brevi filmati su improvvisazioni semplici. Il ricorso alla tecnologia fa da filtro ai timori legati al corpo e alla manifestazione di emozioni, alla finzione scenica che li stacca dalla realtà concreta e alla dinamica relazionale. Ora si esplicitano interessi specifici: chi vuole occuparsi delle riprese, chi delle luci, chi dell’interpretazione. I primi video sono banali, eppure risultano significativi: un compagno seduto immobile e la videocamere che gira intorno a lui per esplorarlo; la lettura di dialoghi a tavolino; una ministoria: una coppia al ristorante viene assalita da uno zombi. Alcuni elementi prima rifiutati con decisione ora sono accettati: esprimere una narrazione con la voce e i movimenti, travestirsi.
Parte quindi il nuovo progetto: adattare la fiaba di Cappuccetto Rosso (ribattezzata Cappuccetto Boss) alla loro inventiva. Si abbozza una mamma isterica, una bambina armata che spara ai lupi, un lupo molestatore… La scaletta comprende: apprendimento di programmi di video editing (parto da “Movie maker”), realizzazione di maschere (il video combinerà scene burattinesche ad altre in interni e in esterni), produzione di elaborati curricolari. I ragazzi accettano. Ripetono: quando tornano le ragazze? E noi: quando avrete accettato di mettere in scena “Zom”, la breve recita sugli zombi. E si procede con un coinvolgimento (finora) in crescita.

CAPPUCCETTO LUPO

Attività teatrale in orario extrascolastico organizzata dal Comitato Genitori. Dieci alunni di Quinta Elementare e Prima Media. La storia. Cappuccetto Rosso odia talmente i lupi che si è cambiata il nome in Cappuccetto Lupo. Lavora per una multinazionale allo scopo di liberare il territorio dai lupi per sostituire alla foresta un centro commerciale. Il suo esercito è costituito da Scuoio e Diserbo. I lupacchiotti Graffio e Dentino le rapiscono il figlio Nicolò, mentre il loro padre Licos l’affronta per tentare di fermarla. Ci riuscirà la figlia Maela, con l’appoggio degli spiriti della natura Anima e Vegeta.
In collaborazione con il WWF, il Museo Civico e la Biblioteca di Oleggio, alla messa in scena sarà affiancata una mostra sul lupo in Piemonte.

Tre modi diversi di intervento con il laboratorio di teatro, efficace sia per obiettivi culturali-artistici sia per obiettivi sociali. Il teatro è in grado di incuriosire, attrarre, stimolare. Esso veicola esperienze preziose per una consapevolezza più profonda e libera di sé, degli altri e del mondo.


mercoledì 4 dicembre 2013

LUPACCHIOTTI 3

Il gruppo è completo. Entra a farne parte Nicolò, il fratellino di Amanda, nella parte del fratellino di Maela: un tipo peperino e spiritoso. Il testo è scritto, manca solo l'ultima scena corale che completo dopo una verifica dei tempi.



La regia ricalca l'impianto di Caligola. Non per mancanza di idee, ma per approfondire le potenzialità di una scenografia così concepita: spazio anteriore e posteriore, spazio inferiore e superiore. Il fondale è verde invece che bianco (telo ombreggiante invece di agrivelo), il telo sul pavimento idem (ombreggiante invece di lenzuola cucite insieme). In scena c'è anche il trono di Caligola, ora nella funzione di sedia girevole da ufficio come metafora del potere della multinazionale che intende distruggere la foresta; sistemata sul tappeto in pvc di "Death watch" accanto ai cubi bianchi. Altri cubi marroni con tre "alberi" segnalano il luogo della tana dei lupi nella foresta. 

Le regole di messa in scena sono ancora quelle: gli attori in scena dall'inizio alla fine (il retro del fondale e il sotto del telo sono luoghi di parcheggio); niente di esclusivamente estetico, ma tutto funzionale e correlativo di luci, musiche, voci e movimenti; copione sequenziale in cui le scene sono suddivise dalle musiche; uso di cori e filastrocche; valorizzazione di momenti emotivi significativi...

Il Comitato Genitori conferma la collaborazione con il WWF: presentazione della serata e mostra sul lupo in Piemonte presso Museo-Biblioteca.


mercoledì 27 novembre 2013

CALIGOLA DUE: MOSTRO PER AVERE TROPPO AMATO

Il Caligola di Tecneke è un "Caligola Scene" o "Scene da Caligola". Ho effettuato tagli notevoli. L'opera è lunga e complessa e una buona parte tratta dell'amore. Ho cercato una linea fluida che vertesse solo sulla visione di Camus del potere. Sia del potere politico sia del potere come volontà individuale, annientata dall'assurdità del mondo. Il nostro Caligola impersona l'assurdo in tutta la sua teatralità: dittatura e ingiustizia, morte capricciosa e terrore, poesia e solitudine, divinizzazione e suicidio... I tredici personaggi sono stati ridotti, gli interpreti sono solo cinque. Ogni agonista affronta più ruoli: attori, musicista, cantante, tecnico... Teatro fusion: voci, musiche, movimenti, costumi, oggetti, scenografia... tutto prende vita e concorre alla giocabilità dello spettacolo. Finora abbiamo sperimentato e ipotizzato. Ora ho finalmente un piano teorico di regia, frutto dell'osservazione. Limitato, per il momento, ai primi due atti (su quattro). Eccolo. Perché "mostro per avere troppo amato"? Perché chi vive tiepidamente e materialmente non scopre certo il mondo nel suo nonsenso, ma lo vede come un nido accogliente, al quale si adatta senza problemi. Chi invece conduce un'esistenza di passioni, chi cerca significati profondi, chi non si accontenta, chi infrange le regole per imporre regole più alte... costui corre il rischio di illudersi come ha fatto Caligola. Illudersi, per esempio, che amore e godimento estetico della vita possano durare. Illudersi sulla felicità. La disillusione può togliere i veli stesi sul mondo e mostrarlo nella sua casualità insensata. Caligola ora sa che mostro si nasconde dietro l'apparenza della società civile. Si trasforma egli stesso in mostro, per rivelare agli altri l'inferno che l'uomo si è costruito con le proprie mani. 

CALIGOLA

ATTO PRIMO, scene 2, 4, 6, 7, 11
Gli agonisti, mentre ancora il pubblico prende posto, portano in scena il telo bianco e lo stendono, fissandolo sotto i cubi laterali, su quello di destra si trova già la bambola Drusilla, sgonfia, con accanto la pompa. Al centro, contro il fondalino bianco, la sedia girevole di Caligola; a sinistra il porta abiti e il cesto con gli oggetti di scena; a destra il tavolino con i comandi per musiche e luci.
Caligola, nel frattempo, si sistema sulla sedia, le spalle al pubblico; gioca con il palloncino bianco. Cesonia va al tavolino, accende le luci su modalità sound.
Scena 2. Swing, dialoghi brillanti sotto il telo. Scandito e lento: Farne una malattia perché è morta comincia a essere eccessivo e bisogna essere spietati se poi questo danneggia lo stato. Tutti, meno Caligola, ripetono per conto proprio.
Scena 4. Stop musica. Caligola si gira a osservare i senatori che si muovono lenti sotto il telo. Va davanti a uno degli specchi e pronuncia la battuta.
Registrazione 1 del monologo di Caligola “ho corso tanto”. Uno dei senatori va al cubo e gonfia veloce la bambola. Gli altri senatori, lentissimi, vanno al porta abiti e si agghindano a piacimento. Si avvolgono infine nella toga e vanno a sedersi sui cubi con lo sguardo fisso sul pubblico.
Caligola e Cesonia dietro il fondale, in controluce, mimano il monologo: incontro, abbraccio, camminata, morte; “mostro, Caligola”: picchia pugni contro il fondale. In finale di monologo, Cesonia lo riporta al trono, ma lui si stacca e torna allo specchio per la battuta. Poi, mentre Cesonia torna alla sua postazione, va a prendere Drusilla e la appende al fondale; quindi sul trono.
Scena 6. L’intendente striscia sotto il telo ed emerge accanto a Caligola.
Caligola ha un atteggiamento tra l’irritato, lo sprezzante e il sarcastico. Tampina l’intendente che si sposta emergendo dal telo per le battute. Alla battuta “Non capisci niente” Caligola va a sedersi sul cubo di destra, il senatore raggiunge il collega sul cubo di sinistra. Caligola si esprime lento, come tormentato, finge un pensiero profondo. L’intendente gli si mette al fianco. “tutto fondamentale”: Caligola gli circonda le spalle con il braccio, confidenziale. La voce si abbassa, tono di complicità, di congiura. “sentite un po’”: cammina nervoso, dizione febbrile, seguito stretto dall’intendente. “appena i senatori”: scandito lento.
L’intendente manda via i senatori, poi va a sedersi con Cesonia sul cubo di destra, mentre Caligola sale in piedi sul cubo a sinistra.
Scena 7. Ora ha il tono di un predicatore bonario e ispirato, è un leader religioso, espone la volontà divina, è papale. Con sprazzi di ironia. “Sentitemi bene”: un urlo isterico.
Registrazione 2 “se il Tesoro”. I senatori sotto il telo danzano a ritmo. Caligola, ridendo, insieme a Cesonia lancia sul telo i palloncini colorati che se ne vanno da tutte le parti.
“Hai tre secondi per sparire. Sto contando: uno…”: urlo isterico.
Scena 11. Registrazione 3 “ecco cos’è”. Caligola si abbandona sul telo, sopra i corpi in movimento, mentre Cesonia sgonfia Drusilla. Allo stop, i senatori immobili distesi. Caligola si alza incerto, come ubriaco, recupera Drusilla, l’accartoccia, la esibisce (“gli mostrerò cose…”) e la butta via. “Fate entrare”: scandisce lento, trasognato. Intanto, i senatori strisciano fuori, si rintanano dietro il porta abiti.
Duetto recitato/cantato con Cesonia.
Caligola torna al trono, appoggia Drusilla sgonfia sopra il fondale.
“Venite”: i senatori strisciano e rotolano fino ai suoi piedi, sopra il telo. Ora Caligola ha un tono di profondo dolore, la voce rotta, quasi lacrimosa.
“Caligola”: un grido di sofferenza, poi il buio.
ATTO SECONDO, scene 1, 5, 9, 12, 14
Scena 1. Caligola sul trono di spalle, accasciato come una marionetta senza fili. Cesonia e Cherea tengono teso in verticale il telo, dietro il quale si alzano e si abbassano per dire le battute i due senatori, di volta in volta con indumenti diversi dai colori vivaci. Il porta abiti viene spostato dietro il telo, al centro. Recitazione buffa, da commedia. Solo alla battuta “ha ucciso mio padre” pausa e pathos; indossa toga.
Scena 2. I due senatori, con Cesonia, risistemano il telo sul pavimento con gesti convulsi, correndo da una parte all’altra. Cherea di fianco a Caligola, fa ruotare il trono.
“Sì, basta con le chiacchiere”: i senatori tornano sotto il telo. Cherea in piedi sul cubo-tribuna, stile da comizio.
“Attraverso Caligola”: Cherea al leggio, sulla sinistra (suona il basso?); i senatori spostano i cubi vicino a lui, si siedono. Caligola si sposta a destra dove c’è la pompa, sorretto da Cesonia, fatica a camminare e a stare eretto. Gonfia di nuovo Drusilla, con grande fatica. Cesonia canta: “Uccidere Caligola… della poesia” e “Se c’è un solo individuo puro… deve morire”. Le frasi vengono ripetute dai senatori, dapprima ognuno per conto proprio, poi in coro.
“io non ti capisco bene”: in piedi sul cubo, ancora come un comizio.
“cherea, tu hai parlato bene”: idem.
“sì, lasciamolo fare”: si spostano intorno a Caligola che finisce di gonfiare Drusilla.
Scena 5. Cesonia va a prendere il bambolo e i senatori lo gonfiano dopo avere sistemato i cubi. Caligola sistema Drusilla sul fondo, infilandola sul palo in modo che risulti in piedi; la saluta: “ciao, bella”.
“signori, un’esecuzione…”: alla mussolini; prende Cherea sottobraccio. “Soldati, sono fiero di voi”: tutti si schierano sull’attenti di fronte a lui che li passa in rassegna.
“Bene, divertiamoci” musichetta allegra, da festa. Caligola accenna a qualche passo di ballo con Cesonia.
“È anche vero…”: va accanto a Rufo che si sta gonfiando e ne mostra il volto. Stop musica.
“Mi sembri di pessimo umore…”: l’atmosfera cambia di nuovo. Pesante, funerea. Comportamento da sadico. Caligola torna sul trono. Gioca con Drusilla, la usa per il “contrario”, facendola ruotare. Cherea al basso, cupo.
“C’era una volta… dal cuore”: Caligola lascia Drusilla, mima con effetto tragicomico, prende la spada dal cesto e uccide il bambolo, mentre Cesonia canta le sue parole, Cherea al basso.
“… voglio vedervi ridere”: i senatori si mettono i nasi rossi da clown e si esibiscono fra grandi risate.
“Ma guardali”: i senatori si levano i nasi rossi, le espressioni diventano serie, cupe, spaventate; si rifugiano dietro il fondale. Muzio è un senatore che tiene il bambolo davanti a sé e gli dà voce e gesti.
Scena 9. Caligola dietro il fondale mima uno stupro con la bambola. Gli altri ansimano. Finito, rimette la bambola sul palo, poi va sul trono; i senatori sistemano il bambolo su un altro palo.
Registrazione 4 “dico che domani”: entrata forte della musica, recitazione tempestosa. I senatori sollevano il telo dagli angoli e lo fanno fluttuare in aria con violenza.
“Mangiamo, signori”: si mettono seduti in semicerchio, come su triclini, con i cubi al centro. Cesonia vi depone un vassoio con caramelle e cioccolatini che tutti degustano.
“L’esecuzione”: Elicone al leggio, Cherea al basso.
“Vorrei discutere”: Caligola in tondo, seguito dai senatori. Dialoghi svelti.
“…avere sonno”: Caligola si raggomitola sui cubi.
“È molto semplice”: Cesonia al microfono, cadenza cantilenante.
“Che cosa bevi, Mereia?”: cambia atmosfera, luce blu. Caligola di colpo violento. Butta a terra Mereia, gli pesa sul petto bloccandolo, ne fa il proprio sgabello…
Registrazione 5: “terzo delitto”, scansione dura, da campana a martello.
“Prendi. Bevi”: Mereia beve e muore. Caligola raccoglie il suo inalatore. Cherea e il senatore avvolgono Mereia in una toga e lo portano dietro il fondale.
Scena 12. Caligola accasciato sul trono. Cherea e senatore dietro il fondale con basso e percussione accompagnano il dialogo di Cesonia e Scipione. Cesonia recitar cantando.
Scena 14. Caligola in trono. Scipione interpretato da due senatori, seduti sui cubi a destra e a sinistra. A destra Scipione che si illude di poter stare ancora con Caligola; a sinistra Scipione che odia e disprezza il nuovo Caligola.
Registrazione 6: “la solitudine”, musica stridente, Caligola stacca la bambola e il bambolo, li maltratta, li butta sull’onda lenta e fantasmatica del telo sotto cui si sono rifugiati i senatori. In finale, ritorna sul trono.
“C’è sempre”: Scipione striscia fuori dal telo, si mette in piedi sulla destra. Si esprime con impaccio e imbarazzo.
“il disprezzo” Caligola lascia il trono e va lento dietro il fondale. Buio.



lunedì 18 novembre 2013

CALIGOLA UNO

Un’impresa, questo Caligola. Sia perché Tecneke non è una compagnia di professionisti sia perché i tempi di Camus sono più letterari che teatrali. Come spesso succede. Elaboro un piano di regia non del tutto convincente, più che altro idee a tavolino, quelle provvisorie, scritte per combattere il senso di vuoto che si avverte all’inizio di una messa in scena. Purtroppo, e dico purtroppo perché le scelte registiche viaggerebbero su strade più praticate e più comode, non faccio teatro di estetismi, non m’interessa pensare a: bella scenografia, bella musica, belle luci, bella recitazione… Faccio teatro, non un salotto arredato dall’architetto d’interni. Ho bisogno di elementi concreti da accostare, attivare e contrapporre, sui quali costruire non una, ma le mille storie del testo. Ho bisogno di un palcoscenico rivitalizzato da persone alle quali si uniscono, in sinergia, teli e oggetti, fondali e luci, musiche e pantomime. Il teatro non ruota intorno all’attore recitante, ma all’interprete performante. Tutto ciò che viene relegato nella categoria della scenografia, dell’arredo e dell’oggettistica richiede di essere rivalutato e rivitalizzato. Un teatro animistico. Tutti i suoi elementi acquisiscono un’anima e queste anime di persone e di cose interagiscono… per quale scopo? Non per fare un investimento economico, non per vincere un premio, non per compiacere il narcisismo degli artisti, non per il piacere o l’edificazione del pubblico, non per cambiare la società, non per lanciare un messaggio. Si fa teatro per ritrovare il senso dell’esistenza come interazione di singole anime con l’anima mundi. Nel teatro si ritrovano e si riscoprono la verità, la bellezza, l’armonia della vita.

Funziona? Non lo so. Cerco di farlo funzionare per gli interpreti, me compreso. Non c’è distinzione tra attore, regista, musicista, scenografo, tecnico... Tutti sono agonisti, tutti concorrono non alla “riuscita” dello spettacolo (intesa come catalizzatore di applausi), ma all’autenticità dell’esperienza nello spazio chiuso interdetto al pubblico. La messa in scena ricorda l’attivazione del dottor Frankenstein di materiale biologico morto mediante l’utilizzo dell’energia elettrica naturale, fornita dai fulmini.
Chi vediamo sul palcoscenico? Attori morti, nel senso che devono lasciare la forma di vita che li identifica come individui sociali per assumere una nuova identità immaginaria, tanto più intensa quanto più radicata nelle nuove relazioni linguistiche e cinetiche tra di loro e con l’apparato inorganico costituito da scenografia, musica, oggetti, luci. L’energia che li rivitalizza è l’espressività significativa che deriva dalle relazioni, che non sono scontate e immediate, ma vanno cercate con l’esplorazione e l’esperimento.
Facendo esperienza tra di loro e con l’apparato inorganico si colgono rapporti e attinenze, come anche rifiuti e contrasti. Ma qual è il modus operandi? L’ascolto degli agonisti nelle loro differenze strutturali ed espressive; l’osservazione delle cose e l’ascolto delle loro potenzialità, facilitati dall’attenzione a considerarli in forma dinamica e abbinati tra di loro; la trasposizione di stati d’animo in pantomime e visioni, fornita dai movimenti degli agonisti e dall’uso creativo delle cose; la costante attenzione alle relazioni tra episodio scenico e ritmo, favorendo un utilizzo della musica non di sfondo, ma come motore di movimento e visione.
Risulta chiaro che nel teatro di parola s’innesta senza traumi il teatro di figura e il teatro danza, al di là delle distinzioni gratuite e vincolanti.
In questa sinfonia di movimenti e ritmi, voci e rumori, forme e colori la partecipazione degli agonisti è sinestesia: dal suono al movimento, dalla parola alla musica, dalla visione al silenzio interiore e così via.
E l’effetto sul pubblico? Anzitutto, lo spettatore coglie l’invito a non indagare lo spettacolo applicando categorie razionali ed estetiche consolidate. Entra nel flusso continuo e si lascia trasportare, non ha il tempo di ponderare, non gli è consentito l’applauso, rimanda a dopo la comprensione, non è un pubblico-critico quello che si cerca, ma un pubblico-testimone. Assiste all’esperienza morbida degli agonisti, che non hanno intenzioni provocatorie o illuminanti. Essi non hanno niente da spiegare, non si aspettano riconoscimenti, non fanno né arte né politica né sensibilizzazione sociale. Essi giocano-lottano per creare nello spazio chiuso un mondo animato, dove l’uomo-interprete è solo uno degli elementi nell’ecologia universale dell’anima mundi.

Finora che cosa abbiamo? Il fondale bianco, la sedia-trono girevole bianca, l’ampio telo bianco che ricopre tutto il palcoscenico, un porta abiti straripante di teli e costumi strambi di tutti i colori, due cubi bianchi. Il fondale (agrivelo) consente di operare su due livelli orizzontali: la scena anteriore e quella posteriore in controluce. Il telo bianco su due livelli verticali: sopra e sotto il telo. La sedia consente di: ruotare, alzarsi e abbassarsi. Il portabiti è una tavolozza che viene spostata a piacimento sullo sfondo bianco. I due cubi consentono la seduta e fanno da basamento monumentale.
S’intuisce la geometria complessa che scaturisce da pochi elementi semplici ed economici.
Per completare, abbiamo anche le due bambole gonfiabili (Drusilla e Mereia) che possono diventare: l’amante, una suddita da stuprare, un senatore da uccidere, l’alter ego, l’uomo in generale nella sua assurdità… e una volta gonfiate si possono sgonfiare, in un ciclo di vita e morte.
I singoli elementi sono come stelle e pianeti di un planetario, oggetti inanimati. Ma non appena si mette in funzione il meccanismo, essi entrano in relazione gli uni con le altre e l’universo prende vita.
In parte, posso immaginare le potenzialità di ogni singolo oggetto. Mi serve per testare e tarare il meccanismo. L’anima di ogni elemento scenico viene comunque delineata durante le prove, quando un agonista e un cubo si trovano di fronte. Che cosa fa l’uno dell’altro o che cosa fa l’uno per l’altro? Un cubo di legno, abbiamo detto, fa da sedile o da basamento. Ma due fanno anche da colonna. In un cubo cavo si può infilare Drusilla accartocciata. Oppure tutto il telo bianco, che però non ci sta. Due cubi alle estremità del telo bianco fungono da fermi. Un cubo può essere spinto o fatto rotolare, come il masso di Sisifo.
Insomma, le proprietà di ogni singolo oggetto non contano quanto le relazioni con gli altri, che danno origine a utilizzi diversi e suggestioni inusuali.
Niente di più lontano, quindi, dal teatro di ambientazione realistica, dalla recitazione psicologica, dalla riproduzione del mondo fasullo in cui viviamo. Un teatro nostro che stiamo cercando senza avere la certezza di trovarlo, perché le grandi scoperte e le esplorazioni di mondi nuovi non hanno mai offerto un premio sicuro. Si va alla ventura, com’è giusto che sia.


Oggi abbiamo provato quasi tutto l’atto primo, poche pagine dopo i tagli effettuati. Avevamo tutti gli elementi previsti per la messa in scena, anche la prima musica e le prime registrazioni di Caligola. La macchina si è messa in moto, ora dobbiamo catturare i fulmini (intuizioni e scoperte) che attivano il meccanismo per dare vita alla Creatura. Il nostro Caligola-Frankenstein dà già qualche segno di vita.

venerdì 15 novembre 2013

SIBISI' - CYBER BULLISMO CONDIVISIONE

Ho cominciato il laboratorio sul cyber bullismo con la classe Terza B della scuola media Verjus di Oleggio, in collaborazione con la prof.ssa Francesca Ferazza. Durante il primo incontro ho presentato una sintesi del questionario elaborato da "Save the children", invitando gli alunni a compilarlo. Oggi ho letto la brochure diffusa a cura di Cisas, Comune, Polizia municipale, I.C. Verjus, Direzione didattica, Carabinieri, Associazione Valentini e Comitato Genitori. E' stata distribuita ai genitori, ma gli alunni non l'hanno vista.
Ho fornito dieci tracce per produrre elaborati da utilizzare per una messa in scena teatrale sul bullismo cibernetico. Esse riguardano: l'analisi delle reazioni a un atto di bullismo; poesie e canzoni; il racconto in prima persona di un bullo; la diversità; l'angoscia della vittima; una storia a lieto fine; il dialogo tra vittima e persecutore; un'intervista.
Gli elaborati personali saranno integrati da fatti di cronaca.
Tre alunne portano un articolo sul caso di Carolina, la ragazza che si è suicidata. Prendo l'occasione per le prime istruzioni su una lettura espressiva e incisiva: l'uso della voce, il coro che fa eco su parole e frasi selezionate, uno strumento musicale. In classe c'è una ragazza che suona la chitarra. Ci sono anche cinque ragazze che sanno danzare. Gli alunni sono motivati e non vedono l'ora di cominciare a montare lo spettacolo. e io ripeto: prima dovete provvedere al materiale. L'attività si pone quindi due obiettivi: una riflessione personale su una realtà sempre più drammatica e la comunicazione teatrale del materiale trovato e prodotto.
Tra le richieste, anche quella di trovare un titolo.

LUPACCHIOTTI 2





Continua il lavoro su immaginazione e movimento. L’esercizio che deve svolgere un interprete viene proposto a tutti. Ciò serve ad ampliare la gamma delle abilità individuali e a sfruttare le buone idee interpretative di tutti che si sviluppano solo con la pratica diretta.
Il primo esercizio è semplice: movimento fluido, coerente con la musica, espressivo. Uno dopo l’altro i dieci lupacchiotti si esibiscono e di volta in volta si esprimono commenti e valutazioni. Chi fa da pubblico si allena a notare le ripetizioni, le invenzioni, l’efficacia espressiva ecc. Insomma, ognuno ruba agli altri quanto appare nuovo e interessante. C’è chi è più ricco di inventiva e chi meno, ma tutti danno il loro apporto. Solo Giada accompagna gesti e movimenti con una mimica facciale molto espressiva. Viene notata e a tutti rivolgo l’invito a fare altrettanto.
Come arrivare a quel risultato? Se la consegna si limita a seguire la musica con il corpo, si assiste a una performance anche fantasiosa, ma che sembra un involucro vuoto. Per dare corposità e significato, suggerisco di utilizzare l’immaginazione. Devono vedere se stessi in una foresta; ora scavalcano un ruscello, ora si abbassano a cogliere un fiore; ora si tendono per raggiungere il frutto sul ramo; ora fuggono da una minaccia… L’esibizione si riveste di suggestione e fascino. Ora non c’è solo un corpo che si muove sulla musica, ma un attore che traccia storie nello spazio.

Quando Maela e Aurora entrano nella foresta, sono scortate da Anima e Vegeta che poi si renderanno invisibili. Sono gli spiriti della natura e per accentuare la loro essenza le fornisco di due teli leggeri da far volteggiare. Come fare volteggiare un telo? Tutti affrontano l’esercizio e in breve le idee da sfruttare sono molte. Telo fatto ondeggiare come un’onda, telo sopra la testa fluttuante, telo tipo strascico gonfio, telo lanciato, telo rasoterra… Ora Anima e Vegeta hanno a disposizione un database di “telo fluttuante” a cui attingere per la loro performance.

mercoledì 13 novembre 2013

L'ULTIMA FERMATA a Mezzomerico


Tecneke presenta : L’ultima fermata 
di Aquilino
con Michela Criscuolo, Monica Ergotti, Alba Galbusera; regia di Benedetta Bonacina

Mara e Olga. Due donne, due mondi opposti. Unico elemento di contatto è la percezione di essere cadute entrambe in una dimensione irreale, isolata nel tempo e nello spazio. Mara reagisce con un alternarsi concitato di emozioni; percorre uno spazio sconosciuto, incapace di individuare la geometria di riferimenti necessari per ricostruire i confini di un’esistenza accettabile. Olga ha congelato le proprie emozioni per non esserne travolta; accetta la situazione come ha dovuto accettare il proprio destino, creando il vuoto di una vita non percepita. Il terzo personaggio, un’ombra, si muove come alter ego di Olga, incarnando attraverso il codice dell’espressività corporea il mondo affettivo che la donna ha soffocato.
Mentre il resto del mondo scorre via dietro uno schermo che non si può attraversare, ciascuna scopre la propria identità in un doppio percorso a spirale: dentro di sé e verso le altre. Fino a trovare uno spazio interiore comune da cui partire per incamminarsi insieme oltre l’ultima fermata, e ancora oltre.
I TEMI
Siamo a una fermata d’autobus, ma l’autobus non si ferma; l’ultima fermata dovrebbe essere il capolinea, ma qui è una tappa da cui ripartire; alla fermata si incontrano due donne, Mara e Olga, ma i personaggi in scena sono tre. I piani prospettici si intersecano in un percorso fluido ma non lineare, sulla traccia di molteplici temi.
La solitudine. Per Olga è l’ultimo rifugio in cui tentare di dimenticare sé stessa; per Mara è un brutto sogno che disorienta e trascina verso l’inesplorato. Entrambe donne, sono vittime di un mondo che non ha dato scampo: l’identità è mutilata.
La violenza della guerra. È l’annientamento fisico, affettivo, psicologico cui sono soggette le popolazioni civili, soprattutto le donne, spesso vittime di ulteriori violenze quando sopravvivono nella condizione di profughe.
La sofferenza femminile. Non solo quella che grida dai titoli dei giornali e gronda sangue, ma una sofferenza più mimetica e sfuggente che si nasconde nelle pieghe di vite apparentemente tranquille. Mara recita nella vita un ruolo stereotipato, Olga per non recitare più, preferisce non vivere. Il confine tra realtà e sogno, tra vita e ricordi si confonde in una dimensione in cui svanisce anche la percezione di sé. Ma in questo luogo di penombra, le due donne si guardano: ciascuna sposta lo sguardo da sé e si volge verso l’altra. Questa capacità di uscire dai confini del proprio vissuto, di gettare un ponte verso l’esterno cambia la prospettiva, apre alla visuale di un altrove verso cui avviarsi con serenità e con coraggio.
Non c’è una meta che illumini la strada, la meta è il viaggio: il viaggio come metafora di una vita che non cerca significati o logiche superiori, ma trova in sé la propria giustificazione.


Note biografiche
Aquilino - Scrittore e drammaturgo, direttore artistico di Tecneke.
Michela Criscuolo - Dopo avere frequentato l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico di Roma,  ha preso ha parte a vari spettacoli teatrali con la Compagnia Silvio d'Amico, la Compagnia Giulio Bosetti, la Compagnia Teatro Ileana Ghione. Dal 1986 vive ad Oleggio dove continua a fare teatro per passione.
Monica Marianna Erotti - Esperta di danza funky, jazz, contemporanea, insegnante di danza hip hop, diplomata MC hip hop Instructor presso la Cruisin MC School, ha fatto parte della crew “Le Clan Banlieue” di Paola Brighenti. Ha recitato in spettacoli per ragazzi con la Compagnia “L’altra Eva”.
Alba Galbusera - Diplomata presso il Liceo Teatro Nuovo di Torino, ha attivamente partecipato a progetti nell'ambito di Torino Spettacoli. È tra i promotori dell'associazione teatrale Tecneke, di cui è presidente.
Benedetta Bonacina - Ha esperienza pluriennale di laboratori teatrali nelle scuole; ha pubblicato numerosi testi di teatro per ragazzi, sia originali sia riduzioni di classici della letteratura.
TECNEKE - Via Repubblica 50, 28047 Oleggio (NO)
TEL 0321992140 (Aquilino) – 3402399942 (Michela)


lunedì 11 novembre 2013

IL MANGIALIBRI 2014

Terzo anno di "Mangialibri"

"La Biblioteca “E. Julitta” di Oleggio, in collaborazione con la D.D. “Maraschi” e ICS “Verjus” di Oleggio, propone la terza edizione del Progetto “Il Mangialibri”.
Il Progetto prevede:
- per le classi quarte della Scuola primaria la proposta, nel periodo novembre-febbraio, di un percorso di approfondimento sul tema della lettura e della scrittura, che si articola in tre fasi:
1.    In classe con l’insegnante di riferimento (durata: a scelta dell’insegnante):
§  Il mestiere dello scrittore e il prodotto libro: che cosa conoscono i ragazzi del mondo dei libri? Come si immaginano uno scrittore? Che cos’è una casa editrice?
§  Intervistiamo uno scrittore: preparazione delle domande.

2.    In Biblioteca (1 incontro per classe, durata: 1 h):
§  Lo scrittore Aquilino risponderà alle domande dei ragazzi e inviterà gli alunni a realizzare una storia, guidandoli in un percorso di ideazione e di scrittura che potrà essere completato in classe.

3.    In Biblioteca (1 incontro per classe, durata: 1 h):
§  Presentazione e visita della Biblioteca a cura del personale.
§  Scelta di un libro da leggere (previa iscrizione alla Biblioteca da parte di un genitore con modulo consegnato in classe o compilato in Biblioteca).
- per gli alunni delle classi quarte e quinte della Scuola primaria la partecipazione al concorso di scrittura.
ecc. ecc."

Questa mattina l'incontro con la classe Quarta B dell'I.C. Maraschi, pilotata dall'insegnante Katia Buschini. Un incontro straordinario. Gli alunni hanno letto i primi due volumi degli "Orrendi per sempre". Parliamo della mia infanzia, di case editrici, del mestiere di scrittore, dell'immaginazione e della creatività, e anche del teatro. Faccio la conoscenza di aspiranti scrittori capaci di scrivere al computer libri di cento pagine e di leggere cinquanta libri all'anno. Conosco anche cantautori e parolieri. Una classe di artisti. Incontri come questo mi regalano una nuova fiducia nelle nuove generazioni. Non tutto è perduto, quindi. Non ci sono solo ragazzi e giovani egoisti, opportunisti, apatici, privi di passioni e di forza di volontà. Forza, bambini, dovete salvare il mondo! 
Leggo alcune pagine del terzo volume e ci diamo appuntamento per il concorso.

Gli alunni torneranno per un secondo incontro con la bibliotecaria Tiziana che presenterà dotazione e attività della biblioteca e il regolamento de "Il Mangialibri", il concorso di scrittura per gli alunni delle classi Quarte e Quinte elementari e Prime medie che verranno in biblioteca da marzo a maggio 2014 per produrre gli elaborati.

La visita, l'incontro con un autore e il concorso sono validi strumenti per sostenere i ragazzi nei loro rapporti con la lettura e la scrittura, con l'immaginazione e la visione personale del mondo.

Mercoledì un'altra classe, e poi le altre. Sorsate di energia.