martedì 12 aprile 2016

LE BACCANTI DI EURIPIDE


Il gruppo è composto da quattordici ragazzi dai dieci ai tredici anni. Dato che il carico di lavoro deve essere sempre equilibrato (non ci sono protagonisti), risulterebbe impossibile una distribuzione fedele al testo delle parti, comprese quelle minori. Le ragazze sono solo sei, e formano il coro, il tiaso delle baccanti. Per fortuna l’idea base della messa in scena richiede un secondo “coro” che sia l’interfaccia per il pubblico. Devo creare cioè un filtro per mediare il testo euripideo in modo che l’azione sia sviluppata per sequenze intervallate dagli interventi dei “narratori”.  

Quattro ragazzi se ne stanno quindi su un lato del palcoscenico e commentano, spiegano, guidano le emozioni del pubblico, rendendo più chiaro e comprensibile l’allestimento agli stessi interpreti. Ma chi sono questi quattro coristi? Essi sono pubblico, dato che assistono alla rappresentazione. Ma un pubblico preparato, che va a teatro con un bagaglio culturale. Un pubblico attivo, che non solo si emoziona, ma valuta e giudica. Ma… il pubblico del Quinto secolo a.C. o il contemporaneo? Senza dubbio il contemporaneo, un pubblico che non solo è attivo, ma entra nella scena, ne determina il ritmo. Addirittura, interferisce. Dal ruolo iniziale di osservatori, i quattro nel finale si affiancano alle Baccanti e tentano di fermare Agave. Impresa impossibile. La necessità porta ogni cosa a compimento: Penteo deve morire.  

Questa coro inconsueto di ragazzini a volte petulanti che battibeccano tra di loro, forma anche l’orchestra: due djembe, una chitarra, uno xilofono, un gong, un flauto. Ecco che la loro partecipazione è non solo intellettuale ed emotiva, ma anche fisica, affidata al ritmo che impongono alla scena.

Le sei ragazze delle Baccanti non hanno individualità. Il tiaso è compatto e la sua volontà assorbe quella di ognuna di loro. Ho leggermente spinto, con l’aggiunta di qualche battuta, verso l’interpretazione della baccante-ribelle, sia perché la questione donna è ancora drammaticamente attuale sia per rispettare il dato storico della condizione femminile nell’Atene di Euripide. Ma più che sul testo esse agiscono sul ritmo. La musica le guida in brevi coreografie che loro stesse hanno ideato e i cori sono simili a filastrocche scandite.

Gli altri quattro ragazzi interpretano Dioniso, Penteo, Cadmo (e la prima guardia), Tiresia (e la seconda guardia). Le guardie assorbono in sé i ruoli di servo-messaggero.

Dioniso. I ragazzi non sono attori, non posso lavorare sull’interiorizzazione di un personaggio per tentarne l’immedesimazione. E nemmeno mi interessa. Ci si muove su margini di definizione semplificati, cercando più l’efficacia che la sottigliezza. Per interpretare Dioniso ci siamo affidati alla definizione che lui stesso dà di sé: un dio dolcissimo e terribile. Due voci, due atteggiamenti; la voce suadente, che si fa anche canto, perfino melensa, quasi disumana, del seduttore; e quella secca, dura, del terremoto e della morte.

Penteo non assume uno spicco particolare. La necessaria riduzione del testo e l’impossibilità di farne interpretazioni complesse hanno spinto verso una scelta corale, di atmosfere, di emozioni affidate più al movimento e ai colori che alle parole. Di lui che cosa emerge? La misoginia conflittuale, odio e attrazione morbosa per le donne; il senso fragile di onnipotenza; l’impotenza di fronte allo scatenarsi di forze incontrollabili e devastanti; la mano che tende verso il viso di Agave, prima di essere fatto a pezzi, nel momento in cui il coro di narratori non dice più “madre”, ma “mamma”, una mamma che uccide.


Cadmo e Tiresia viaggiano in coppia, come anche le due guardie. Personaggi qui secondari, affiancano il coro maschile nel rendere più comprensibili gli avvenimenti e nell’approfondirli. Sono anche loro narratori con il compito di veicolare ciò che non può essere visto, ciò che è lontano, ciò che è al di là delle leggi naturali, ciò che è mistero e limite della razionalità. 

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