lunedì 3 luglio 2017

LE DONNE DI ILIO

Aquilino
Come nasce e prende corpo “Le donne di Ilio”




Dopo le Baccanti e la Medea mi domando: che cosa fare l’anno prossimo? Parto da Euripide, e mi fermo ancora a Euripide senza bisogno di ricorrere a Eschilo o a Sofocle. Le Troiane, o Troadi. Avevo già pensato, tempo fa, a quest’opera. Avevo già letto le versioni di Seneca e di Sartre. Rileggo tutto, annoto. Leggo qualche saggio critico. Mi metto a scrivere. Voglio un’opera breve. Rimescolo i personaggi delle varie versioni ed ecco il mio cast. Cinque uomini: Agamennone, Menelao, Odisseo, Pirro, Taltibio (quattro eroi e un messaggero). Cinque donne: Andromaca, Cassandra, Ecuba, Elena, Polissena. In un secondo momento aggiungo Priamo, già morto.
Rimango fedele a grandi linee alla vicenda classica: dopo la caduta di Ilio, le prigioniere attendono di sapere a chi saranno assegnate come schiave. Prima dell’imbarco, Polissena viene sacrificata sulla tomba di Achille, apparso al figlio Pirro per esigere il proprio bottino. Poi è la volta di Astianatte, l’ultimo maschio della dinastia. Gli eroi greci vogliono che muoia per timore che da adulto faccia risorgere Ilio. Tutti meno Agamennone, che già aveva tentato di salvare Polissena. Non per pietà, ma per timore di offendere gli dei e di dovere affrontare un difficile ritorno. È sempre Pirro, l’uccisore di anziani e di bambini, a buttarlo giù dalla torre. Le donne possono essere imbarcate.

Lo schema è questo:
-          Priamo ha la battuta di introduzione
-          gli eroi chiudono le prigioniere nelle tende-celle
-          Taltibio li presenta uno dopo l’altro, ma viene più volte interrotto dalle donne
-          coro delle donne contro la guerra
-          dialogo tra Ecuba e lo spirito di Priamo
-          coro delle donne per esprimere l’ansia della destinazione
-          Taltibio annuncia chi sarà il padrone di ciascuna
-          coro delle donne contro la schiavitù
-          danza di Cassandra
-          dialogo tra Cassandra e Agamennone
-          dialogo tra Pirro e Agamennone circa il destino di Polissena
-          Andromaca racconta come è morta Polissena
-          dialogo tra Andromaca e Odisseo che è in cerca di Astianatte
-          coro delle donne a commento della morte di Astianatte
-          dialogo tra Elena e Menelao, con interventi di Ecuba, Polissena e Priamo
-          Elena descrive la morte di Astianatte
-          Cassandra chiama a raccolta le donne: vengono imbarcate
-           Cassandra e coro: “Venite a piangere, donne del mondo.”

L’opera affronta, amplia e approfondisce il ruolo di prevaricazione dell’uomo sulla donna. È un ruolo di consolidamento delle proprie virtù di forza e di dominio. La debolezza della donna, la sua inconsistenza sociale, la sua diversa visione dei valori riaffermano lo status dell’uomo che si è autoproclamato essere superiore. L’uomo è la guida della famiglia e della società, la donna è al loro servizio.
Le donne imprigionate sono spogliate di ogni bene, ma soprattutto di ogni diritto e di ogni dignità. Vengono portate in Grecia come prove viventi della vittoria, ridotte in schiavitù affinché sia lampante il rapporto di forza tra i greci e i nemici. Nemici che non esistono più: tutti i maschi, di ogni età, sono stati trucidati.

Quelle che sono le qualità intrinseche di ogni donna vengono del tutto ignorate. Andromaca non è più una madre. Ecuba non è più una regina. Cassandra non è più una profetessa. Polissena non è più una bambina. Elena non è più una greca.
Ma l’uomo può disporre a proprio piacimento di ogni categoria senza che questo lo indebolisca. Menelao può confessare che non ha ancora deciso se accordare a Elena lo status di greca, e di conseguenza accettarne il pentimento e riprenderla come moglie; o se condannarla a morte come barbara, con una pubblica esecuzione a Sparta, lapidata dalle donne oneste: per volere dell’uomo, le donne uccidono le donne.

Le prigioniere di guerra vengono sorteggiate, caricate sulle navi come bestiame e portate nelle dimore dei vincitori. Le poche fortunate diverranno concubine, eviteranno i lavori più faticosi e abiteranno in ricche dimore. Le altre saranno prostitute e serve.
Non c’è supplica, non c’è pianto disperato che possa impietosire i guerrieri. Nemmeno le maledizioni di Ecuba provocano reazioni. “Dobbiamo gioire, quando il nemico piange” dice Menelao.

Le considerazioni di Agamennone sulla tenera età di Polissena non hanno alcun effetto su Pirro. Una bambina viene uccisa sulla tomba di Achille per diventarne la sposa nell’aldilà. Un’aberrazione che viene accettata perché i diritti degli eroi travalicano la vita e si estendono anche nel regno dei morti. Pirro prende decisioni come una macchina programmata, mostruosa marionetta i cui fili sono mossi da valori oscuri e confusi, sui quali si regge una società di ingiustizie.

Astianatte non è più solo un bambino, ma una minaccia oscura. Gli eroi paranoici temono che da adulto possa regnare. Invano Andromaca tenta di farli ragionare: “Regnare su che cosa? Non lo vedi? Siamo al centro del nulla.”
La sua morte è il simbolo più straziante di Ilio.
La città è diventata la più grande, la più forte, la più opulenta, e anche la più invidiata. Ma ora è crollata. Non rimangono che macerie.
Come in un rituale, il bambino viene condotto sulla torre da dove Priamo controllava il campo di battaglia. I soldati non capiscono. Già si sono commossi per Polissena. Non capiscono perché in guerra si debbano uccidere anche i bambini. Ma il loro canto funebre, gli sguardi desolati fissi sulla torre non fermano Pirro.
Spinge Astianatte nel vuoto, a fracassarsi sulle rovine della città conquistata.

Ecco, non solo il presente, ma anche il futuro di Ilio scompare nel ventre della bestia che fa la guerra per avidità e per soddisfare le proprie voglie di piacere e di violenza.
Non c’è consolazione, come dice Priamo: “La guerra non uccide i guerrieri, ma le donne, gli anziani, e i bambini. Tutti i nostri bambini sono morti! Ci avvelenano il presente e ci rubano il futuro. Questo fanno quelli che comandano. Non c’è consolazione, non c’è nessuna consolazione.”


Breve presentazione dei personaggi.

AGAMENNONE. È il capo supremo, si sente quindi investito di un potere superiore, come se facesse da tramite fra le divinità e i sudditi. La compassione che mostra per Astianatte e Polissena è solo ipocrisia. Da politico accorto, vuole dare un’immagine di uomo pietoso e comprensivo. L’alta opinione che ha di sé lo rende cieco. Non dà quindi peso alle parole di Cassandra che predicono la loro morte per mano di Clitennestra.

MENELAO. È un debole. Cerca quindi un esempio da seguire. Lo trova in Pirro. Vuole dimostrare al fratello Agamennone, al quale si è sempre sentito inferiore, di essere virile. Si mostra quindi insensibile e spietato. Ma si fa dominare perfino da Elena. Le minacce nei suoi confronti sono fasulle. Elena è la sua moglie-madre, in grado di guidarlo nelle decisioni. Rappresenta anche il suo status: nessun altro ha una donna così bella e famosa.

ODISSEO. Pragmatico, sa valutare con oggettività ogni situazione, soppesando rischi e vantaggi, senza farsi influenzare dai sentimenti. Non si oppone alle uccisioni di Polissena e di Astianatte, utili alla causa (la prima in difesa del passato, la gloria di Achille; la seconda del futuro, la sicurezza di una impossibile rinascita di Ilio). Dà l’impressione di non avere cuore. La vita è solo un gioco di inganni e il più furbo vince.

PIRRO. Rozzo, fanatico, fedele al pensiero unico, spietato. Ha ucciso il vecchio Priamo, ora uccide due bambini senza alcun ripensamento. Ciò che ritiene necessario va fatto. Non ha la complessità conflittuale e infantile di Achille. È solo una macchina di conquista. Il migliore frutto dell’addestramento militare.

TALTIBIO. A differenza degli eroi, non reprime le emozioni. Prova sentimenti contrastanti, ma alla fine a prevalere è comunque la fedeltà alla madrepatria. “Tu sei buono, Taltibio. Ma servi uomini malvagi” gli dice Cassandra. Impersona l’uomo comune che potrebbe fare la differenza, se si ribellasse al sistema. Ma non ce la fa a superare i limiti imposti da religione e politica. L’obbedienza è la sua virtù e allo stesso tempo la sua dannazione.

ECUBA. Se ne sta appartata, non perché voglia tenere le distanze, ma per una sorta di vergogna e disperazione. Lei che era tutto, non è più niente. Si pone al confine tra la vita e la morte, poiché le hanno ucciso i figli e la morte è quello che anche lei desidera. Ma rimane combattiva e le maledizioni contro i greci e contro Elena in particolare ne denunciano la vitalità.

ANDROMACA. Donna senza qualità particolari, se non quelle del focolare, onora la memoria di Ettore coltivando una fantasia impossibile: che il figlio Astianatte faccia risorgere Ilio. Rappresenta la donna annientata: le uccidono il marito, poi il figlio, e deve diventare schiava del suo assassino, Pirro.

CASSANDRA. Canta la morte propria, di Ecuba e di Agamennone, oltre a quella di molti eroi greci, destinati a scomparire durante il ritorno in patria. Si illude che la lunga serie di lutti le dia gioia, ma la sua somiglia più a una forma di disperazione isterica.

POLISSENA. La sua tristezza deriva non solo dalla necessità di morire, ma dalla consapevolezza di essere desiderata come sposa da Achille, colui che le ha ucciso i fratelli. Sposata a un cadavere, sposa cadavere lei stessa. È uno spirito rassegnato, svuotato. “I morti sanno più dei vivi” dice.

ELENA. La più irriducibile. Dopo la morte di Paride, sposa un altro principe troiano, Deifobo, ma poi lo consegna ai greci che lo uccidono. Ora intende tornare con Menelao. Bugiarda e infedele, tiene testa a tutti. “La regina dei due mondi non perde la corona” declama il coro.

PRIAMO. È morto, ma il suo spirito aleggia su Ilio. Abbigliato come un idolo. Solo ora ha capito che cosa sia veramente la guerra. Si sente corresponsabile, ma è troppo tardi per riparare i danni compiuti. Ha perso tutto e tutti.   

Come gli anni scorsi (ma allora erano quattro), un interprete stabilisce un rapporto diretto con il pubblico, facendo da “mediatore”. Costui è Taltibio. A lui il compito di commentare, presentare, spiegare, esprimere dubbi. Il popolo vive di persona gli avvenimenti, ma non è in grado dei cambiarli.

Tutto questo in undici pagine.
Un testo denso che gli interpreti (dai dieci ai dodici anni) devono memorizzare durante l’estate. A settembre si parte per mettere in scena l’opera ai primi di marzo, in occasione della Festa della Donna.

Ho cercato di ridurre all’osso la scrittura.
Monologhi brevi, dialoghi serrati. Cori semplici e ridotti. La struttura della tragedia classica (prologo, parodo, episodi e stasimi, esodo) è ancora presente, ma rimodellata in modo tale da renderla quasi irriconoscibile.

Colonna sonora.
In un primo momento ho pensato di utilizzare rifacimenti moderni di musica greca antica, che ho scaricato da internet. Poi ho immaginato, data anche la brevità della prosa, di accoppiare l’opera a musiche dal vivo. Ho cercato alcune collaborazioni. Il professor Suppa dell’I.C. Verjus di Oleggio, sezione musicale, con due allievi per le percussioni. La scuola di musica Dedalo di Novara per il violino, uno o due strumenti a fiato. Ma come e dove sistemare i musicisti?
Sul palco non ci può stare nessun altro oltre agli interpreti. Le percussioni prevedo di piazzarle sotto il palcoscenico, a livello del pubblico. Gli altri musicisti in sala, seduti a guardare lo spettacolo: si alzano poco prima dell’esecuzione.
Vado a parlare con Elena Sant’Andrea di Dedalo. Mi suggerisce di utilizzare non i solisti, ma un gruppo concertistico. Ribatto che accetterei volentieri le due soluzioni: un gruppo in un palco e due solisti in sala.
Quest’estate esamina il testo con i colleghi e propone la collaborazione ad alcuni allievi. A settembre avrò la risposta.

Che cosa succede durante le esecuzioni musicali? Drammaturgia e concerto viaggiano su binari paralleli, ma non mi va certo di fermare l’azione scenica per consentire l’ascolto unilaterale. La scena, per tutta la durata di un’opera, rimane viva.
Prevedo una coreografia non invasiva, a luci abbassate, con movimenti lenti, coerente con la situazione emozionale.
Mi metto in contatto con Elisabetta Pistochini, insegnante di yoga e di danza moderna, con la quale ho già collaborato (per “Auge del sangue”). È contenta di collaborare. E anche questa è fatta.

La scenografia è piuttosto semplice. Guardando il palco, a sinistra la sagoma di una nave (ne ho in solaio una, da restaurare, utilizzata per una recita sull’Odissea), con tanto di vela e sartiame, intorno alla quale si danno da fare gli eroi.
Al centro e a destra, arretrati, tre pallet in piedi con due aste alla base per la stabilità e due verticali che sostengono un telo, ora tenda e poi vela: sono le celle di tre delle donne. Sul pavimento (l’anno scorso, per Medea, un ampio telo bianco, bianco come l’abito di Medea e delle sue figlie) un “tappeto” lucido nero (o sacchi della spazzatura o plastica da pacciamatura) davanti al quale, sul proscenio, si allunga un lunghissimo telo azzurro che una volta sollevato formerà il mare.
Sulla destra sta accasciata Ecuba. Qua e là si sposta Polissena. Priamo è un’anima irrequieta, vaga in continuazione dalla platea (dove sosta per fissare gli spettatori in modo triste e inquietante) al palco, dove fissa i vivi come se non li riconoscesse più.

Costumi.
Le donne sono del tutto rivestite di stoffa nera, libere solo le mani e il viso (che per Polissena sono imbiancate). Gli eroi indossano calzoni pakistani simili a quelli di foggia turca su tonalità spente (trovati in un banco del Centro commerciale di Gravellona); sul torso nudo una sorta di gilet diverso per ognuno; in testa una fascia che nasconde i capelli.
I ragazzi stanno costruendo due spade micenee.

Ecco, questa è la partenza. L’arrivo… quante cose cambieranno prima di marzo!



Personaggi e interpreti.
Andromaca, Lucia Cavazza – Cassandra, Angelica Roman – Ecuba, Giorgia Picaro – Elena, Viola Beghelli, Polissena, Lucrezia Balbo.
Agamennone, Francesco Schirò – Menelao, Giulio Gallarate – Odisseo, Raffaele Giannantonio – Pirro, Luca Andrico – Taltibio, Francesco Divisoli.


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