martedì 3 novembre 2009

SCRITTURA


Volevo fare uno spettacolo solo, e invece sono tre i gruppi che seguo: i ragazzi del Teatro dei Passeri, una classe quinta elementare, il gruppo misto (dai nove agli ottant’anni) di Cacao. Sono tre appuntamenti settimanali che si portano dietro incontri per le scenografie e i costumi, scelta delle musiche, progetti di regia… Amo il teatro. Amo questo teatro di dilettanti perché ogni volta è una sfida: come manipolare il materiale grezzo per ricavarne un successo? L’inizio è solo ansia: gli attori non sono in grado di interpretare, i personaggi non escono, come fare scenografie senza soldi, il tempo non basta, chi realizza i costumi… E poi le prime schiarite. Si scorgono sentieri nella nebbia, si seguono con il cuore in gola, squarci di un paesaggio affascinante, come arrampicarsi su una montagna alla cieca e poi invece cominciare a scorgere il mondo di sotto, e non vederne la fine, e sollecitare la fantasia per dargli un ordine… Tutto per una serata e una replica al mattino per le scuole. Teatro di consumo. Un fiammifero acceso che dura niente, ma l’attimo di luce nelle tenebre è un’emozione che fa dimenticare gli orrori del mondo.
E poi c’è il giardino; finora mi ha tenuto molto occupato, quante piante nuove! E però è il mio luogo dell’armonia e della pace e non ci rinuncio.
Insomma, il tempo della scrittura sembra assottigliarsi, farsi un esile sospiro nel fracasso delle attività. Tuttavia, mi basta.
La scrittura non è mettersi alla tastiera e digitare parole e parole per un tempo predeterminato, come se fosse un impiego. Ci sono scrittori che dedicano quattro ore mattutine alla scrittura, tutte le mattine. Altri che le riservano un mese estivo. La mia scrittura non si fa mettere in scatola così facilmente. Essa prende forma di caratteri sullo schermo bianco quando già è stata scritta dentro di me, durante le ore di insonnia, durante i sogni, durante i viaggi in auto, le camminate, perfino durante la cottura del cibo, la lettura di un libro o la visione di un film. La scrittura è attività permanente, quella che permea di sé tutte le altre attività minori e le assoggetta ai propri umori.
Non penso a che cosa scriverò, lascio che la scrittura si formi dentro di me con impressioni, intuizioni, suggestioni, cronache incompiute, confessioni di personaggi, spiate e ascolti pazienti.
Un rimuginare continuo e incessante, che poi diventa racconto.
Tutto ciò che scrivo, insomma, non nasce perché lo “invento”, ma perché lo vivo.
Ora, per di più, sto scrivendo il secondo libro su Albino Guidi, il protagonista de “Un fauno in legnaia” che uscirà a maggio. Si intitola “D’Armonia, di sangue”. Ad Albino viene affidata la regia di una commedia che sarà rappresentata dalla filodrammatica di paese. Tra le attrici si ritrova una titanide, Mnemosine, che si presenta con il nome di Armonia. E Ares, indispettito perché non è riuscito a possederla. In paese imperversano squadracce… e insomma violenza e violenza contro l’arte.
È la prima volta che mi capita di scrivere prendendo spunto da un’esperienza contemporanea alla scrittura. Il mio gruppo di teatranti di paese mi fornisce personaggi e cronache da rielaborare con l’innocente maschera del sogno per trasformarli in un romanzo. E così vivo due volte una vicenda simile, una nella realtà l’altra nell’immaginazione e dall’incontro delle due nasce un’opera letteraria.
Ecco dunque perché non mi pento di avere preso troppi impegni. Se mi chiudessi in casa a scrivere e basta… di che cosa potrei scrivere? Di cose da letterati. Ma io non voglio fare il letterato. Voglio fare lo scrittore. Ed è allora indispensabile vivere, altrimenti la parola non avrebbe l’odore forte della realtà. Profumerebbe di salotto. Io detesto i salotti.

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