lunedì 22 agosto 2011

L'ILIADE DI BARICCO

Alessandro Baricco, “Omero, Iliade”, Feltrinelli. Dalla postilla: “Che senso ha in un momento come questo dedicare tanto spazio e attenzione, e tempo a un monumento alla guerra?”. Infatti. Baricco riscrive il poema in soggettiva, affidando la narrazione a Criseide, Tersite, Elena, Pandaro, Enea, la nutrice, Nestore, Achille, Diomede, Ulisse, Patroclo, Sarpedonte, Aiace, Ettore, Fenice, Antiloco, Agamennone, il fiume, Amdromaca, Priamo, Demodoco. Una soluzione originale ed efficace. Una corale bachiana, ora avvolgente nell’emozione ora dura come una fotografia in bianco e nero. Baricco ha tolto tutte le scene degli dei. Un’Iliade senza dei diventa un massacro ininterrotto, dettagliato come in un film splatter. Tra uno sventramento e una decapitazione, la telenovela delle rivalità tra gli eroi, delle tragedie amorose e familiari, della competizione per la gloria, delle miserie e delle viltà dei superuomini. Un monumento alla guerra e alla fama: solo diventando qualcuno si rende la vita degna di essere vissuta; chi è nessuno è destinato a diventare carne da macello nell’indifferenza dei vip, o nel loro disprezzo (vedi Tersite).

Il libro di Baricco appassiona, lo si legge senza difficoltà, è agile e strappa il sipario arabescato dell’epica per consentire a chiunque di godersi il poema senza bisogno di note esplicative. La sua scrittura, con le spennellate di registri colloquiali, tocchi di volgare sul greco aristocratico, rende vivo e vivido ciò che pareva riservato a una minoranza: un’Iliade resa popolare senza ricorrere alle semplificazioni da bar adottate da altri scrittori, di più ampio (purtroppo) successo.

Ma come si salva questo “monumento alla guerra”?

“Una delle cose sorprendenti dell’Iliade è la forza, direi la compassione, con cui vi sono tramandate le ragioni dei vinti.”

I vinti ringraziano, ma avrebbero voluto un destino diverso.

“Nella penombra della riflessione viene fuori un’Iliade che non ti aspetti. Vorrei dire: il lato femminile dell’Iliade. Sono spesso le donne a pronunciare, senza mediazioni, il desiderio di pace.”

Molto bene. Ma nessuno ascolta le donne. Sono rappresentate con efficacia da Cassandra.

“Io lo vedo fortissimo nelle innumerevoli zone dell’Iliade in cui gli eroi, invece che combattere, parlano.”

Come dire: non c’è solo guerra, nella guerra; fintanto che i generali programmano il massacro, ci sono attimi di pace; ma si può chiamare pace quando durante l’assemblea, il consiglio, la riunione, il congresso… si parla non di come evitare la guerra, ma di come vincerla più in fretta?

“Anche quando discutono di come farla, la guerra, intanto non la fanno, e questo è pur sempre un modo di salvarsi.”

Anche le vittime ringraziano.

“Nel modo più alto e accecante, questa sorta di ritrosia dell’eroe si coagula, come è giusto, in Achille.” E cita la risposta all’ambasceria di Agamennone: Niente, per me, vale la vita: non i tesori che la città di Ilio…

La vita propria, non quella degli altri. Si leggano le pagine della sua “ira”.

“Come dobbiamo fare per indurre il mondo a seguire la propria inclinazione per la pace? Anche su questo l’Iliade ha, mi sembra, qualcosa da insegnare. E lo fa nel suo tratto più evidente e scandaloso: il suo tratto guerriero e maschile. È indubbio che quella storia presenti la guerra come uno sbocco quasi naturale della convivenza civile. Ma non si limita a questo: fa qualcosa di assai più importante e, se vogliamo, intollerabile: canta la bellezza della guerra, e lo fa con una forza e una passione memorabili. Non c’è quasi eroe di cui non si ricordi lo splendore, morale e fisico, nel momento del combattimento. Non c’è quasi morte che non sia un altare, decorato riccamente e ornato di poesia. Bellissimi sono gli animali, e solenne è la natura quando è chiamata a far da cornice al massacro. Si direbbe che tutto, dagli uomini alla terra, trovi nell’esperienza della guerra il momento di sua più alta realizzazione, estetica e morale.”

È sempre Baricco, quello che scrive. Non un neonazista, non un fondamentalista islamico, non un nazionalista americano, non…

“Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta è una dannata menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno: ma bello.”

Come bello è lo stupro, come bella è la tortura, come bello è il genocidio, come bello è il rogo…

È sempre Baricco, che scrive.

“Per questo, oggi, il compito di un vero pacifismo dovrebbe essere non tanto demonizzare in eccesso la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che la guerra da sempre ci offre.”

E così via. Una bellezza che fa a meno della prepotenza, della violenza…

“Riusciremo, prima o poi, a portar via Achille da quella micidiale guerra. E non saranno la paura né l’orrore a riportarlo a casa. Sarà una qualche, diversa, bellezza, più accecante della sua, e infinitamente più mite.”

Messaggio messianico.

Io penso che questa bellezza vada chiamata per quello che è: etica. Tutti ne parlano, tutti sbandierano valori, soprattutto quelli che ricorrono poi alla guerra per salvaguardare i valori della pace.

No, no, è questa la parola. No. Dire no alla guerra, punto e basta. E per farlo bisogna cominciare a dire no a una cultura della guerra, della violenza, dell’egoismo, dello sfruttamento che è stata edificata con sapienza maligna e che viene imposta con determinazione a ogni nuova generazione.

Perché fare leggere l’Iliade nelle scuole? Perché educare i nostri bambini con libri che inneggiano alla violenza, al patriottismo fanatico, alla capitolazione dell’individualismo, alla sottomissione a Chiesa e Stato?

La nuova “bellezza” deve cominciare da qui, dalla revisione personale di quella che consideriamo la cultura nazionale. Non ci sono solo Omero, Dante, Manzoni eccetera. Ci sono autori e opere che sensibilizzano alla pace, alla libertà di pensiero, all’armonia sociale. Cerchiamoli e usiamoli nella scuola.

La nuova bellezza sia la nuova cultura.

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