venerdì 20 aprile 2012

REGISTA PER LA DRAMMATURGIA


Con “Il Mangialibri” si è forse conclusa una stagione di teatro con la scuola che mi ha offerto buone opportunità di indagine drammaturgica. Quasi certamente continuerò con il gruppo dei Passeri, dato che le mie curiosità sul rapporto parola-palcoscenico non sono certo esaurite. Fare il regista non è il mio mestiere, io sono scrittore, ma inventarmi regista e maestro di recitazione ha potenziato il mio lato scrittore in un modo che non sarebbe stato possibile altrimenti.

“Il Mangialibri”, da un punto di vista letterario, è un’opera priva di equilibrio, incoerente e perfino dissennata sotto alcuni aspetti. Eppure, sulla scena funziona.
L’intreccio si fa forte di una sua efficacia visiva ed emotiva; il montaggio veloce impedisce allo spettatore di porsi le domande che sorgerebbero immediate nel lettore di un romanzo, colpito dai buchi narrativi e dalla carenza di informazioni.

Prima della seconda replica, quando ho chiesto ai piccoli interpreti di ricavare una fabula dal copione, sono emerse le difficoltà e lo stupore per una storia che erano sicuri di conoscere bene, dato che l’avevano interpretata. Si sono trovati di fronte a buchi narrativi e a una carenza di collegamenti logici che rendeva difficile raccontare a voce quanto vivevano sul palcoscenico.
La storia non era per niente lineare e si frammentava in visioni, più che in episodi narrativi.
Emergeva con forza la diversità dei due linguaggi, quello del teatro e quello della prosa. Infatti, nella riscrittura in prosa che sto facendo del testo teatrale, sono molti e sostanziali i cambiamenti. Se narrassi ciò che si è visto e sentito in teatro, ne uscirebbe un guazzabuglio senza senso.

Il teatro dà corpo e voce alle metafore, alle sinestesie, alle iperboli, alle allegorie… Esprime emozioni e sentimenti con una coreografia sostenuta da una filastrocca, anticipa la parola con la musica o con il movimento del corpo, riassume un discorso con un gesto, sostituisce la descrizione di uno stato d’animo con un gioco di luci… Il teatro non aspetta che una sequenza narrativa sia conclusa. Stimola lo spettatore a intuire e compie un balzo in avanti, dando l’illusione che si sia capito tutto.

Che altro mi ha insegnato “Il Mangialibri”?
Che in uno spettacolo di un’ora è sufficiente un momento di climax ben calibrato a metà della seconda parte per lasciare un’impressione esaltante; che un momento di coinvolgimento attivo del pubblico (battito mani o piedi) ripetuto crea un’attesa eccitata; che il momento giocoso ed estroverso (balletto, battaglia, pantomima, coro…) controbilanciato da una scena raccolta, emotivamente forte, intimista… diventa il respiro della platea e rafforza il legame con la scena; che quanto viene suggerito e inventato dall’attore in termini registici (i ragazzi sono pieni di risorse, se si trova la via per farli esprimere) veicola una presenza scenica più incisiva; che le coreografie costruite sulle filastrocche rinsaldano la coesione di gruppo; che la regia ha uno sviluppo musicale e più precisamente sinfonico: nel teatro di ragazzi, non si utilizzerà certo un modello malheriano, ma piuttosto mozartiano…
E così via, una miniera di scoperte.

Lo stesso è successo con il gruppo dei Passeri. I tre anni di arlecchinate mi hanno fatto riflettere sulla dimensione dell’attore fuori scena e sul suo utilizzo anche se non ha battute; sull’uso di velocità diverse del corpo e della voce e quindi sulle suggestioni di linguaggi regrediti; sulla contaminazione del realistico con coretti e pantomime; sui piani di esistenza dei personaggi visti come linee che s’incontrano, s’intrecciano, si dividono… E mi sono avvilito scoprendo quanto il testo letterario potesse risultare ridondante e ripetitivo, inutile e inefficace in molte sue parti.  
Piccole cose, per gli esperti. Cose preziose, per un regista dilettante che aspira a diventare un buon drammaturgo.
Infine, devo sottolineare quanto i piccoli testi per bambini e ragazzi hanno arricchito la mia scrittura teatrale, spingendola lontano dal realismo televisivo che si rivela banale e mediocre, e rendendola invece più lieve e profonda grazie alla poesia delle rime e dei sogni infantili.

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