venerdì 23 novembre 2012

PASSEROTTI 4


I primi risultati, scaturiti soprattutto dalla spontaneità del bambino, possono dare una falsa rassicurazione. In realtà, nel bambino non ci sarà una traccia sicura e stabile e la volta successiva non saprà ripetere la performance. Per stabilizzare l’esecuzione, il bambino può procedere in due modi: con la memorizzazione precisa di movimenti e parole, oppure con la comprensione delle regole del palcoscenico, delle proprie risorse e del modo più efficace di sfruttarle.
La prima via è fattibile, il bambino è abituato ad apprendere per ripetizione. La seconda via tuttavia assicura una consapevolezza di sé e un’acquisizione sia di tecnica sia di cultura di più alto valore.
Il metodo più esaustivo? Percorrere le due vie, mostrando al piccolo attore come fare e spiegando il perché. Per l’animatore è faticoso, dato che deve fare da modello per la voce (registro, sonorità, espressività), per l’emozione espressa, per la gestualità, per il movimento. Trovare le parole giuste per spiegare concetti astratti rappresenta a volte una difficoltà, ma le cose fondamentali sono apprese in fretta (no spalle al pubblico, intensità della voce, la valenza dello sguardo, la chiarezza dell’eloquio, la duttilità del corpo…).
Ogni ripetizione consolida e fa scoprire; i bambini arrivano al risultato con i loro tempi personali e la capacità di apprendimento è così diversa sia in qualità sia in tempistica che l’animatore non deve stupirsi se uno sembra già un piccolo attore alla prima prova e un altro ci arriva alla quinta.

Quali difficoltà incontra il bambino che incomincia un corso di teatro?
Anzitutto, deve rivoluzionare la propria visione di sé e le modalità di interazione con l’ambiente e con i compagni. Una bambina riservata, per esempio, si ritrova a dover sbraitare ordini a un compagno sicuro di sé; un bambino abile a muoversi tra telecomandi, joystick e tastiere, vede il proprio spazio d’interazione allargarsi e strutturarsi, costringendolo a una programmazione di movimenti ampi e sensati che di solito non pratica; una bambina con scarsa capacità di concentrazione scopre il vuoto nell’attimo in cui non ricorda la parte o la coreografia e deve quindi apprendere strategie per diventare parte attiva del gruppo e non un intralcio; un bambino iperattivo si rende presto conto che deve inserirsi in un meccanismo nel quale contano precisione, sincronia, interazione ordinata e autocontrollo. E così via.
Prima di cominciare le prove vere e proprie, si svolgono esercizi per stabilire un rapporto consapevole e creativo con lo spazio, il corpo, i compagni. Il luogo del teatro deve diventare un luogo amico, la libertà d’espressione dev’essere assicurata nel rispetto di quella altrui, le dinamiche di gruppo devono essere stimolate in modo che s’instauri fiducia e affiatamento.
Giochi di utilizzo dello spazio e degli oggetti. Le posizioni sul palcoscenico, rispetto ai compagni e al pubblico; la distribuzione sull’area; gli spostamenti; con una sedia che cosa posso fare? Che cosa può diventare?
Molti bambini tendono a fare sempre cucciolata. Si raggruppano, lasciando ampi spazi vuoti. Se devono distanziarsi dai compagni, tentano sempre di accorciare le distanze e di tornare al più presto nella posizione di partenza. Allontanarsi, esprimere qualcosa al pubblico o al partner, tornare… è sempre metafora di un abbandono. Fin da subito, infatti, funzionano molto bene le attività di gruppo: una filastrocca recitata insieme, lo spostamento di tutti, una pantomima… L’interprete singolo vede la conquista e il controllo dello spazio come una proposta di autonomia, per la quale non si sente ancora pronto.
Diventa quindi importante ripetere e ripetere uno schema di spostamenti, operazione che rassicura e migliora la recitazione. Un po’ come il bambino che per la prima volta affronta il traffico sulla bicicletta. Fare da solo è eccitante, ma pericoloso. Eppure è il solo modo per crescere.


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