domenica 17 febbraio 2013

TANTE VITE

Si riflette poco, travolti dagli avvenimenti, su quanto importanti siano i cambiamenti di vita nella vita. Su come bisogna saperli accettare e sfruttare, chiudendo in modo inesorabile con il passato e aprendosi al futuro. Nella vita si cambia, ma non solo; la vita cambia, e per fortuna è così. Ho avuto più volte la sensazione di avere a disposizione non una ma molteplici esistenze. Sono da considerare, ognuna, non come un blocco omogeneo, ma come una vita a sé, che raccoglie dal passato e anticipa il futuro con la disponibilità al cambiamento. E così ho avuto gli anni della scrittura velleitaria e narcisistica, quando accatastavo poesie e fallivo romanzi, giocando a fare il critico letterario e il vincitore di premi. L’esperienza mi ha dato modo di conoscere il sottobosco dell’editoria degli anni ottanta, con le riviste provinciali e le pubblicazioni faidate in tipografia, magari con la prefazione mercenaria del barone universitario o del critico blasonato. Da lì sono scivolato nelle attività espressive per bambini e ragazzi, con sgomitamenti nella psicoterapia; diplomi di psicologia della scrittura e del disegno, di ipnosi e psicosomatica e altro che non ricordo. Su un altro binario frequentavo corsi di teatro locali e uno con Dario Fo, avviando sperimentazioni azzardate con gruppi di preadolescenti per i quali mi misi a scrivere i testi. Cogliendo occasioni, mi tuffai anche nel teatro adulto, con una filodrammatica di paese, un gruppo femminile e un altro extrapaesano; regista e attore (un Molière, tra l’altro). Era la fase delle attività matte, dei carnevali e dei laboratori di tutto un po’, dei centri estivi e delle castagnate. Mi sono divertito? Tanto.
La terza fase ha avuto inizio nel 1994. Basta teatro, mi ero detto, troppa fatica. E basta animazione, idem. Vinco il “Battello a vapore” e mi metto a scrivere per ragazzi. Va bene, pubblico più di trenta libri, mi faccio un nome, vado in giro per l’Italia, vinco premi. Mi sono divertito? A scrivere tantissimo, ma poco in quanto a incontri di scrittura, rapporti con le case editrici o (scarsi) con i compagni d’arte. Nello stesso anno vinco anche un premio del Piccolo Teatro di Milano per un laboratorio di drammaturgia. Cioè, arrivo in finale, non ho proprio vinto. Ma mi si riapre la ferita del teatro, mai cicatrizzata. E scrivo e scrivo. Sono quindi due le attività che mi riempiono le giornate: la scrittura per ragazzi e il teatro come scrittura e come messa in scena con le scuole (materna e primaria). Collaboro con una compagnia di professionisti, Lupusagnus; e dirigo un gruppo di ragazzi, Il teatro dei passeri.
L’editoria entra in crisi, i libri per ragazzi non si vendono più, ma soprattutto mi sento logorato da anni di rapporti mediocri con editor e case editrici. Scrivo alcuni libri per adulti. Ma non è questo a dare una nuova svolta. È il teatro.
Come a volte si fa, in passato ho agito da incosciente, scrivendo per il teatro e facendo teatro senza approfondirne la conoscenza. Ma ogni cosa ha il suo tempo. Ed eccolo qua. Mi metto a scrivere il quinto libro della serie di Albino Guidi, ma non ci provo gusto. Lo sospendo. Ho voglia di palcoscenico. Ho voglia di capire che cosa penso io del teatro, e che cosa è la mia drammaturgia. Come scrivo, io? Come vorrei scrivere? E per chi e per che cosa? Tutto ha inizio con alcune intuizioni, vaghe e confuse, ma molto affascinanti. Teatro e mitologia. Pan, l’uomo-bestia-dio mortale, il mostro che fa musica, l’erotomane, l’emarginato. Rifletto sulla mia scrittura di teatro, fatta di filastrocche, di sintesi, di ritmo, di assurdo, di grottesco, di passioni… Ne esce un articolo che pubblica Stratagemmi. Scarico più di duecento opere classiche e contemporanee e leggo leggo leggo. Compro libri di teatro e drammaturgia e leggo. Ho l’idea vincente: scrivere un’opera nuova e accompagnare la scrittura con riflessioni che la studino e la generino. Apprendere il teatro scrivendolo in modo consapevole e interrogandosi. Metodo socratico. Ecco quindi “Cataus. La casa dei gatti”. Grazie al diario e a diciassette riscritture elaboro un metodo: “La drammaturgia del luogo chiuso”. Ora però devo applicarlo, il metodo. Scrivo un’altra opera. Anzi, la sto scrivendo: “Artaus. La casa dell’arte”. Applico il metodo, e lo perfeziono.
Tutto questo per dire che questo riempire le giornate di teatro segna la mia fine come scrittore per ragazzi. Qualcosa d’occasione potrei scriverla ancora, ma mi rendo finalmente conto, dopo alcuni mesi, che nella mia testa i libri per ragazzi non ci sono più.
Sembra cinico. Dopo diciott’anni di cure quotidiane (scrivi, correggi, spedisci, rispondi, scrivi, viaggia, incontra, pubblica…) com’è possibile che mi sia tolto tutto di torno, senza un profondo dispiacere? Mi sembra solo un poco strano, ma non ho rimpianti. È stato così quando ho lasciato la scuola. Che strano, una nuova vita. Ma che sollievo, anche, poter cambiare vita. Addio, libri per ragazzi. Mi avete dato tanto, ma io ho dato di più, ne sono sicuro. E ora sono felice di non pensare più in piccolo, perché in Italia purtroppo l’editoria per ragazzi funziona così, che se pensi in grande, se esci dagli schemi, se non stai in una certa dimensione pseudoeducativa o paratelevisiva…  ahi ahi, ce l’hai dura.
Ora respiro. Intorno a me ci sono i libri di teatro e quelli di James Hillman, i tre copioni degli spettacoli dell’anno, la documentazione dell’associazione Tecneke (facciamo sul serio), fogli di appunti e di sintesi, progetti e programmi…
Dentro di me c’è la gioia di avere tutto qui e di poter fare tutto qui, con il computer e i ragazzi di Techneke, con i libri di teatro e i fecondi dormiveglia nei quali elaboro le drammaturgie. Non voglio più domandarmi: mi pubblicano l’inedito? avrà successo il libro? vincerò il premio? Non me ne importa niente. Ho una passione, tanto mi basta.
Questo però me lo domando: avrò tempo per altri cambiamenti di vita? Sì, sì, di tempo ce n’è sempre per qualunque cosa; e quando non ce n’è più, basta chiudere gli occhi.

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