giovedì 13 marzo 2008

LA VITA AVVELENATA


Giorni così, di veleno. La percentuale di ossigeno nell’aria è calata. Da un mese il mio pesce rosso se ne sta sul fondo, posato sul fianco. Ogni tanto guizza in su e in giù, assaggia l’aria, fa una capriola… poi torna laggiù a boccheggiare. Non muore, ma non si può nemmeno dire che viva. Lo sguardo alla finestra: le gazze, venute a predare, i passeri in fuga. Un mondo così. Vado da mia madre e una gazza si posa sul cancello, zampetta svelta verso di me, si ferma a dieci centimetri dal mio viso. Più tardi eccola sulla magnolia, ci segue passo passo. Addomesticata, è scappata da chissà dove. La volta successiva domando: Mamma, e la gazza? Scomparsa. Forse mangiata da un gatto. Meglio essere homo selvaticus in un mondo così. Meglio predare, se non si vuole soccombere. Ma non tutti nascono predatori e nemmeno riescono a diventarlo. Mondo di ingiustizie. Uno sguardo alla finestra e il giardino è una desolazione, non ci metto mano da mesi. Mia madre è così, nella sua mente c’è questo caos di fine inverno. Ma per lei non giungerà più un’altra primavera. Mio padre è così. Rinchiuso, balbetta: casa… Ma a casa non ci può più tornare. Accompagno mio figlio all’hotel dove lavora. Al ritorno, dalla sky line del paese emerge il candore del Rosa e il sole della vita che continua è una consolazione. Nel mio giardino fringuelli, cinciallegre, verdoni, pettirossi e tortore si stanno abbuffando. C’è ancora tanta vita, ancora tanta bellezza.

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