sabato 1 novembre 2008

ALLEGRI, GENTE... CHE DISGRAZIA!

Ho consegnato il testo per la compagnia amatoriale "Cacao" di Oleggio. Ventitré personaggi. Ma penso che ne sia uscito un buon copione, vivace, spiritoso, emozionante. Il titolo, "Allegri, gente... che disgrazia!" è quello dell'opera messa in scena nel 1982. In quell'anno un gruppo di giovani vuole rifare la filodrammatica presente in città prima della guerra e mi chiede il testo. Loro non hanno esperienza di teatro, io nemmeno. Ci si ingegna, ci si inventa attori, autori, registi. Quando in questi giorni ho riletto il testo di allora sono inorridito: robaccia da cestinare. Il nuovo testo è quindi proprio nuovo, e piuttosto ambizioso per un gruppo di amatori. Le parti sono molto più impegnative che quelle degli anni scorsi, ma sono sicuro che l'entusiasmo e la notevole esperienza acquisita porteranno a un allestimento di grande successo. Ecco due fotografie dello spettacolo del 1982. Quattro pali, qualche tenda, lampade da giardino, costumi assemblati in qualche modo con le stoffe fornite dalla locale fabbrica... eppure il teatro riesce ugualmente a fare esplodere la magia. L'orrendo coso con la faccia imbiancata ero io nelle vesti (si fa per dire) del conte Rodolfo, il traditore.

Questa è la filastrocca che prelude al secondo atto:

Noi siamo trovatori e menestrelli,
cantiamo per i borghi e i castelli
le storie di ingiustizie e di soprusi,
d’innocenti finiti poi reclusi.

Comandava un potente al suo soldato:
quell’uomo venga subito ammazzato.
Il soldato obbediva e lo ammazzava,
senza rimorso poi se ne tornava.

Ma un colpevole va presto trovato
che si accolli la colpa del reato.
Il potente comanda: a un popolano
venga subito tagliata una mano.

Comandava un potente al suo soldato:
un altro venga subito ammazzato.
Già che c’era il soldato ne ammazzava
dieci più mille, e poi se ne tornava.

Al colpevole, sempre il popolano,
amputate le braccia, oltre alla mano.
E dopo via le gambe e via la testa,
e il potente soddisfatto è in festa.

Giustizia è fatta! grida ai popolani,
che sono tutti zoppi e senza mani.
Il popolo felice non fa festa,
perché si sa che proprio non ha testa.

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