venerdì 25 aprile 2008

I BAMBINI NELLA CASA DELLA GUERRA


Ecco la casa della guerra. Lo spettacolo è pronto (vedi il mio sito). Faremo solo una o due prove generali con i costumi prima di sabato 17 maggio, quando i ragazzi affronteranno il pubblico. Ma uno spettacolo non è mai pronto. Ora si potrebbe affrontare la seconda fase, quella della interiorizzazione dei contenuti, del controllo di voce e corpo, dell’interpretazione dei personaggi… Questa, però, non è una scuola di teatro. L’attività è stata svolta in ambito scolastico e ci sono limiti di tempo e di obiettivi. Ci sono voluti mesi per portare i ragazzi a familiarizzare con l’espressione teatrale: voce, gesto, spazio, tempo… L’obiettivo primario, per me, è sempre trovare il modo di scavare fuori l’energia. Si parte che il ragazzo/bambino ha voce timida, gesto incerto, relazione confusa, consapevolezza piatta… e si deve arrivare alla convinzione del gioco appassionante; ci si deve credere, altrimenti non è divertente.
Gianna, la maestra, mi dice: non ti sembra che urlino troppo? non sarebbe meglio frenarli? e io rispondo: sì, ma preferisco non farlo, ho paura che regrediscano a quando la comunicazione era debole. Lei ci prova comunque e invita uno del gruppo a gridare e a muoversi meno. Risposta: come faccio? ormai mi esce così.
Mi capita spesso (non in questo caso) di incappare nella perplessità delle insegnanti che sono abituate ad alunni/attori/marionette. Spesso hanno fatto esperienza con animatori che pure si presentano come esperti di drammatizzazione. Il risultato? I ragazzi non guardano il pubblico e gli danno anzi volentieri le spalle, non si muovono, sussurrano o sillabano in modo lagnoso o robotico, non sembrano consapevoli di quello che stanno dicendo e facendo…
Non c’è un briciolo di energia in questa passerella di costumi. Perché questo teatro è tutto lì, nella scenografia e nei costumi. La recitazione? Quella non conta.

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