martedì 23 febbraio 2016

Commento a "GANIMEDE" di Aquilino

Commento a “Ganimede” di Aquilino



Non c’è prologo, a meno che non lo si voglia considerare il dialogo iniziale tra Era e il supplice. Esso è più nello stile di Eschilo e Sofocle che di Euripide e ha infatti una valenza etopoietica, intende cioè presentare il protagonista non tanto come carattere quanto come personalità dal punto di vista etico. Chi è quindi il supplice? Un ometto che non si rende nemmeno conto dell’enormità di cui è responsabile: valicare la soglia dell’Olimpo, il monte degli dei proibito ai mortali. “E tu chi sei, che hai le bende dei supplici? Come sei potuto entrare? Con quali intenzioni?” gli domanda infatti Era, che modera l’ira solo perché le bende dei supplici proteggono l’impudente.
Lo sconosciuto snocciola una serie di bugie, a cominciare dal proprio nome: Supplice. Mente sul luogo di provenienza, Argo. Mente sul sogno in cui Zeus lo invita sull’Olimpo. Mente sulla figlia Ipometea ingravidata da chissà chi e promessa sposa al figlio del socio. Mente sul contenuto della supplica: Zeus si riprenda il frutto dell’amore disonesto.
Era gli impone di aspettare Zeus forse per l’eternità e manifesta il proprio disgusto: “Come si fa a tollerare che vivano esseri che muoiono?”
È significativo che sia la prima ad accorgersi dell’intrusione. Fa la padrona di casa, controlla i confini, spia i ritorni di Zeus, cerca occasioni per esercitare la sovranità. In perenne competizione con il marito, vive di astio e vendette, di complotti e malignità. La sua ambizione frustrata è poter gestire in parità (meglio ancora se in supremazia) il libertinaggio del consorte, del quale perseguita amanti e figli (terribile il tormento che dà a Eracle!).
Il supplice è un uomo piccolo con una storia troppo piccola, ma Era non ha sospetti: l’individuo rappresenta alla perfezione la meschina mediocrità dell’umanità che solo nell’esistenza degli dei trova consolazione e governo. Canta infatti il supplice, mentre una nota ci informa che l’Olimpo somiglia a un centro commerciale:

Canta una cetra, è Apollo Musagete.
                        Di là il clangore di Ares con la lancia.
                        Tra le nubi squarciate appare Zeus
                        con le folgori che tutto distruggono.
                        Atena incede gli occhi scintillanti.
                        Poseidone grondante d’acqua ed Ermes
                        con Demetra emergente dalla terra
                        precedono Efesto e le sue fiamme.
                        Mi guardo intorno e gemo di paura.
                        Mi domina l’Olimpo come il tutto
                        incombe minaccioso sopra il niente,
                        ma io confido sempre negli dei.

La seconda a incappare in Supplice è Estia, la dea prima e ultima. Figlia di Crono e Rea, è la primogenita della prima generazione degli olimpici; ma avendo in seguito ceduto il trono a Dioniso è detta anche ultima. Dea del focolare, della famiglia tradizionale, della comunità. Una dea mite, ricca di buonsenso, modesta e poco amante delle novità, soprattutto di quelle che scardinano l’ordine antico.
Quando vede chi c’è sulla soglia dell’Olimpo, si allarma: che sia un satiro ubriaco di Dioniso? Il supplice ricorre a un’altra bugia: sono un vasaio.
Era le illustra la situazione e il primo pensiero di Estia riguardo alla figlia del mortale è se sia stata violentata, destino comune alle donne che non devono ribellarsi, ma accettare la sottomissione al maschio. Si apparta con Era per parlare dell’ultima criminosa e impudica impresa di Zeus: il rapimento di Ganimede. Le due dee sono come popolane al mercato, ansiose di scambiarsi confidenze, pettegolezzi e consigli. Era s’indigna perché ritiene che i genitori del ragazzo non abbiano fatto nulla per fermare il dongiovanni divino, Estia è più conciliante: il padre si è accontentato di un paio di cavalli e la madre… “che può farci una donna?” Inoltre le ricorda che il fedifrago “è tuo marito”. La santità e indissolubilità del matrimonio non vanno mai messe in crisi.  Era, in cerca di alleanze, si trova di fronte a un muro: “Sono la sentinella della famiglia, non posso schierarmi contro il tuo sposo.” Il quadro che dipinge a Estia è apocalittico: “Ora tutti ripudieranno le mogli per mettersi nel letto ragazzi con gli occhi di cerbiatto. Al posto del desco familiare, orge. E le donne? Tutte Amazzoni.”
Estia, per la quale non possiamo invocare una santa ingenuità da suorina vissuta in convento, rivela l’ipocrisia che pilota le sue opinioni: Zeus ha scelto il ragazzo per la sua sensibilità, non per… l’innominabile. Ma Era va dritta al punto: “Il premio che Zeus ha destinato al ragazzo è in mezzo alle sue gambe.”
E questa la irrita molto, dato che per rivali non ha più solo le altre dee, le ninfe e le mortali, ma ora anche i ragazzini.
Estia invoca la consueta inutile strategia del dialogo: “Non mancare di rispetto a tuo marito, prima ancora di averne parlato con lui.” Ma Era contrattacca con un colpo basso: sei la paladina della famiglia tradizionale, dimostralo affrontando Zeus e sfrattando Ganimede. La determinazione di Era fa andare in ansia la collega. Le tocca anche ascoltare una minaccia: se non risolve la questione, a Ganimede potrebbe accadere qualcosa di brutto. Insomma, l’intento di Era è di crearle sensi di colpa e ansie tanto forti da indurla ad affrontare Zeus.
Era se ne va, lasciando Estia spaventata e piena di rabbia verso di lei, verso Zeus che la prende sempre in giro e soprattutto verso Ganimede: “Quel Ganimede! La bellezza è immorale, lo dico sempre.”




Ancora qualche endecasillabo di Supplice, che fa le veci del Coro. Arriva un’altra dea: Afrodite. Un siparietto con la dea dell’amore al quale Supplice non si sottrae, disposto a qualunque cosa pur di ottenere quello che vuole. “Mia figlia è tanto soddisfatta dell’amore che vorrebbe tornare vergine per ripetere l’esperienza.” Ennesima bugia. Ma quanto mentono gli uomini di fronte agli dei? Afrodite alla fine è soddisfatta delle risposte e raccomanda anche lei di pregare sempre, ma per scopi diversi da quelli di Estia: “Chi non prega, ha orgasmi tiepidi.”
Se sull’Olimpo ci sono posizioni contrapposte, queste sono di Estia e Afrodite. Probabilmente si detestano, ma coabitano e devono comunque soffocare i dissidi. Ciò che stupisce è come Estia, quando vuole ottenere qualcosa, non esiti a rivolgersi a chi, per coerenza, non dovrebbe. Dato che il suo ethos è molto rigido, la coerenza fa in fretta a incrinarsi e ogni incrinatura viene comunque sempre giustificata con sofismi vari per salvaguardare il sistema.
“Ai giovani non dispiacciono le esperienze del letto” afferma Afrodite e già questo dovrebbe segnalare a Estia quanto siano distanti le loro posizioni. Estia si vanta di valori antichi e solidi, Afrodite al contrario affronta temi sensibili come l’amore e il sesso con una superficialità becera, distante anni luce dalla filosofia di Dioniso, la cui sregolatezza non è pazzia, ma diversità di approccio. Per Afrodite non esiste una questione Ganimede: il ragazzo sta facendo esperienza e non si trova poi così male nel letto di Zeus. Estia insiste per ottenere il suo appoggio quando affronterà Zeus, ma Afrodite le dà un’informazione che dovrebbe vanificare ogni intervento: se Ganimede lascia l’Olimpo, è destinato a morire immediatamente nella guerra di Troia.

Supplice incontra la quarta dea, la meno importante, quella che non ha lasciato miti personali dietro di sé. Si sa solo che è la dea della giovinezza, con il ruolo di coppiera olimpica, ruolo che ora le viene tolto da Ganimede. E qui scoppiano rabbia e odio. Di lei si sa anche che è andata sposa a Eracle dopo l’apoteosi, ma il passo dell’Odissea sembra un’interpolazione tarda. Eracle con una ragazzina vanesia?
La sua entrata è logorroica, forse perché è agitata. Si accorge che Estia e Afrodite, intraviste in lontananza, hanno tolto l’udito al mortale e glielo restituisce, curiosa di sfogarsi con qualcuno e di sapere che cosa ci fa lì un supplice.
Rivela di odiare lo “spregevole invertito capace solo di fare gli occhi dolci ai vecchi.” Supplice maschera il turbamento e la incalza per saperne di più. Ebe, solo una ragazzina dal cuore di ghiaccio, è un fiume in piena. Ganimede, che vorrebbe vedere morto, le ha portato via tutto. “Non so fare nient’altro, non ho poteri, né un marito importante. Sono sempre stata servizievole, ho prestato la mia opera come una tuttofare a vantaggio di tutti. E il risultato? Sono una dea, ma conto meno di una serva di taverna.”
Da coppiera divina a disoccupata rancorosa e priva di risorse.
Con le minacce, Ebe impone a Supplice un piano basato sulla menzogna (“Qui tutti mentono, perfino meglio degli uomini”). Supplice deve dichiarare a Zeus di essere un abitante della Troade e di avere conosciuto Ganimede, raccontando “episodi che ne mostrano l’animo vile e traditore”.

Nel successivo dialogo con la madre Era, le meschinità divine prendono ancora più luce. Sull’Olimpo si mente, si ordiscono congiure e inganni, si calzano maschere che non sono le teatrali di Dioniso, ma quelle dell’ipocrisia più cinica e spietata. Gli dei sono peggio degli uomini.
A sorpresa, Supplice può parlare con… Ganimede. E qui si svela la sua falsa identità. Non vasaio, non padre di una “sciocca irretita da Afrodite”, ma Troo, re della Troade. L’incontro con il figlio è straziante. Ganimede minaccia perfino di uccidersi, se il padre non riesce a liberarlo, ma Troo lo supplica: te lo chiedo in ginocchio; vivi, figlio, vivi per me.

VOCE             Che gioia vederti!
SUPPLICE     Mostrati, che ti abbracci.
VOCE             Non posso. Quando è assente, Zeus mi rende invisibile.
SUPPLICE     Per quale motivo?
VOCE             La mia bellezza, la mia dannazione.
SUPPLICE     Occulta la tua bellezza?
VOCE             In mia difesa. Poseidone ha già tentato un assalto. Ares si è vantato con lui di… di farmi presto del male, padre.
SUPPLICE     Dei maledetti!
VOCE             Portami via.
SUPPLICE     Sono venuto per questo.
VOCE             Riportami a casa.
SUPPLICE     Dimmi come stai. Ti trattano bene?
VOCE             Ho tutto quello che mi serve, anche di più. Ma che me ne faccio del lusso quando ho perso la gioia?
SUPPLICE     E Zeus, dimmi, ti rispetta?
VOCE             So che cosa intendi. Finora sì, ma non mettermi in imbarazzo, ti prego.
SUPPLICE     Che tormento non poterti abbracciare!
VOCE             Mia madre? Le mie sorelle? Mio fratello? Mi pensano?
SUPPLICE     Non fanno che piangere.

Supplice si svela a Estia e la mette in crisi, dato che egli non ha fatto altro che difendere i valori della famiglia, quelli che la dea rappresenta. Da lei vuole sapere come e perché Ganimede è destinato a morire in guerra.

SUPPLICE     Non deve un padre osare l’impossibile per il bene del figlio?
ESTIA            Ma tu hai…
SUPPLICE     Non deve perdere se stesso per la sua salvezza?
ESTIA            Proprio quello che hai fatto.
SUPPLICE     Ho anteposto la famiglia a ogni altra considerazione.
ESTIA            Bene, tuttavia…
SUPPLICE     Ritarda la tua ira. Parlami di Ganimede, poi affronterò il mio destino.

Egli non riesce a capire come può morire in una guerra che deve ancora scoppiare, ma Ebe ha pronta la spiegazione: il tempo umano e quello degli dei non corrispondono, dato che da una parte c’è la morte e dall’altra l’eternità. La dea, impastoiata nei suoi falsi valori, non può a fare a meno di rimproverargli le menzogne e la falsa identità. Egli ha peccato in modo grave e deve comunque rassegnarsi al volere superiore, come sempre devono fare gli uomini: “Non c’è perfezione in voi, lo capisci? Se è destino che tu perda Ganimede, vuoi forse ribellarti? E mettere in pericolo anche il resto della famiglia? Sii ragionevole, scegli il male minore”. Lo invita quindi a fare l’unica cosa che può fare un mortale: sottomettersi e pregare con fede.

Ebe, ancora ignara della sua vera identità, torna da Troo con le istruzioni su quello che deve riferire a Zeus, nelle vesti di un inesistente Enenio.

EBE               Tu racconta l’episodio con la convinzione di un testimone. Non è difficile, sei un uomo, sai mentire e ingannare, è nella tua natura.
SUPPLICE     Prostituto di strada? All’età di otto anni?
EBE                Sputa per terra, quando lo dici. Sii efficace. Usa espressioni colorite. Pure volgari, Zeus è di bocca buona. Sai imprecare? Fammi sentire.
SUPPLICE     Imprecare, io?
EBE                Oh, che impedito! Continua a leggere, e non farmi perdere la pazienza.
SUPPLICE     Ha accoltellato la madre?
EBE                Sì, sì. Ma più realistico, mostrati indignato. Una scena tragica. Sai che cos’è una scena tragica? No, tu non sai niente. Sei un caprone capace solo di dare cornate.

Al momento opportuno, Troo si fa sentire, ma non come vorrebbe Ebe.

SUPPLICE     Ero Supplice, un supplice. Ora sono Enenio, un bugiardo. In verità sono Troo, il padre di Ganimede, e tu mi conosci bene, dato che me lo hai portato via.
ZEUS              Che vuoi?
SUPPLICE     Mio figlio.
ZEUS              Te l’ho pagato.
SUPPLICE     I tuoi cavalli sono alle pendici del monte, te li puoi riprendere.
ZEUS              Ne hai di coraggio!
SUPPLICE     Che cosa devo temere? Puoi uccidermi, niente di più.
ZEUS              Vattene.
SUPPLICE     Questa è la dimora degli dei e dagli dei gli uomini si aspettano comprensione e soccorso.
ZEUS              Gli uomini sognano.

La temerarietà di Troo non dà risultati. Chi ascolta la sua supplica non ha alcuna sensibilità.

ZEUS              Mi hai annoiato. Non hai altri figli? Fanne altri. Fanne tanti. E tanti ne fai, di ciascuno vengo a spiare se uguaglia questo in bellezza; e allora te lo porto via e ne faccio il mio amante. Gli dono l’immortalità, così anche lui aspetta in eterno il mio ritorno, trepidante come una moglie fedele che desidera solo servire il marito padrone. Lo tratto bene, ma dalla sua memoria cancello ogni viso. Egli ricorda solo me e solo me venera. Guai a chi posa gli occhi sul mio coppiere!

Ora le dee conoscono la verità.
Ebe vorrebbe che l’uomo fosse ucciso, ma Era lo preferisce così, vivo e infelice, una punizione più dura della morte. Estia non vuole più avere a che fare con lui. Solo, senza più speranze, a lei confida un piano allucinato.

SUPPLICE     Mi avvio verso la Troade e quando vi giungo convoco i generali e dico loro: l’Olimpo non solo ha offeso il nostro amato paese, ma ha spregiato ogni decenza, rivelandosi un covo di briganti.
ESTIA            Perché i generali?
SUPPLICE     Perché dichiaro guerra agli dei e prima di domani il mio esercito è in marcia contro l’Olimpo.

Ma Estia lo fa ragionare, lo riporta alla sua realtà terrena e alla sua impotenza. In questa desolazione, si ode di nuovo la voce di Ganimede. Ha fatto la sua scelta, l’unica possibile. Non può suicidarsi, Zeus si vendicherebbe sui familiari. Non può lasciare l’Olimpo, dato che morirebbe causando alla madre un dolore ancora più grande di saperlo rassegnato sull’Olimpo. Si sacrifica, ma quanto si sacrifica? Lo nasconde. Vuole che il padre torni a vivere, che non ci siano altri lutti.

GANIMEDE  Se non ti arrendi agli dei, mi rendi infelice. Come posso tollerare che la mia famiglia sia maledetta? Che contro di essa si scateni l’ira di Zeus? Va’, padre, sii sereno.
SUPPLICE     Dimmi se ti manca qualcosa.
GANIMEDE  Mi manchi tu.
SUPPLICE     Ma io sono qui.
GANIMEDE  E dopo?
SUPPLICE     E dopo sarò ancora qui.
GANIMEDE  Significa che…
SUPPLICE     Quando vuoi, mi trovi qui.
GANIMEDE  Non è possibile, padre.
SUPPLICE     Sarò qui in modo impossibile, ma sarò qui. Io non ti abbandono.

Con stupore di Estia, Zeus glielo concede.

ZEUS              Non separiamo padre e figlio. Gli dei sono pietosi. Rimanga qui a elemosinare una parola. Rimanga fino a quando Ganimede vorrà, poi se ne vada per sempre.
ESTIA            Prostrati, uomo. Rendi grazie a Zeus. L’Olimpo è giusto e misericordioso. Dillo a tutti, quando sarai tornato a casa.

Seguono gli ultimi endecasillabi del re Troo, infelice padre di Ganimede, sconfitto dagli dei.


Ma è davvero una sconfitta? Solo a metà. Troo ha oltrepassato il limite posto dagli dei, è entrato in
casa loro e il proprio coraggio li ha sbugiardati. Non figure ieratiche, pietose, solidali, ma mostri di 
piccineria e opportunismo che antepongono il proprio benessere alla felicità degli uomini. Non 
tengono in alcun conto la giustizia e si parano dietro leggi ritenute immutabili che invece plasmano 
per il proprio tornaconto. Sono i veri tiranni dell’universo. Un uomo ha osato l’impensabile e il suo 
esempio diffonde i semi dell’ateismo e della razionalità. Gli dei non sono così eterni come credono.