Commento a “Ganimede” di Aquilino
Non c’è prologo, a meno che non lo si voglia considerare il dialogo
iniziale tra Era e il supplice. Esso è più nello stile di Eschilo e Sofocle che
di Euripide e ha infatti una valenza etopoietica, intende cioè presentare il
protagonista non tanto come carattere quanto come personalità dal punto di
vista etico. Chi è quindi il supplice? Un ometto che non si rende nemmeno conto
dell’enormità di cui è responsabile: valicare la soglia dell’Olimpo, il monte
degli dei proibito ai mortali. “E tu chi sei, che hai le bende dei supplici?
Come sei potuto entrare? Con quali intenzioni?” gli domanda infatti Era, che
modera l’ira solo perché le bende dei supplici proteggono l’impudente.
Lo sconosciuto snocciola una serie di bugie, a cominciare dal proprio
nome: Supplice. Mente sul luogo di provenienza, Argo. Mente sul sogno in cui
Zeus lo invita sull’Olimpo. Mente sulla figlia Ipometea ingravidata da chissà
chi e promessa sposa al figlio del socio. Mente sul contenuto della supplica:
Zeus si riprenda il frutto dell’amore disonesto.
Era gli impone di aspettare Zeus forse per l’eternità e manifesta il
proprio disgusto: “Come si fa a tollerare che vivano esseri che muoiono?”
È significativo che sia la prima ad accorgersi dell’intrusione. Fa la
padrona di casa, controlla i confini, spia i ritorni di Zeus, cerca occasioni
per esercitare la sovranità. In perenne competizione con il marito, vive di astio
e vendette, di complotti e malignità. La sua ambizione frustrata è poter
gestire in parità (meglio ancora se in supremazia) il libertinaggio del
consorte, del quale perseguita amanti e figli (terribile il tormento che dà a
Eracle!).
Il supplice è un uomo piccolo con una storia troppo piccola, ma Era
non ha sospetti: l’individuo rappresenta alla perfezione la meschina mediocrità
dell’umanità che solo nell’esistenza degli dei trova consolazione e governo.
Canta infatti il supplice, mentre una nota ci informa che l’Olimpo somiglia a
un centro commerciale:
Canta una cetra, è Apollo Musagete.
Di
là il clangore di Ares con la lancia.
Tra
le nubi squarciate appare Zeus
con
le folgori che tutto distruggono.
Atena
incede gli occhi scintillanti.
Poseidone
grondante d’acqua ed Ermes
con
Demetra emergente dalla terra
precedono
Efesto e le sue fiamme.
Mi
guardo intorno e gemo di paura.
Mi
domina l’Olimpo come il tutto
incombe
minaccioso sopra il niente,
ma
io confido sempre negli dei.
La seconda a incappare in Supplice è Estia, la dea prima e ultima.
Figlia di Crono e Rea, è la primogenita della prima generazione degli olimpici;
ma avendo in seguito ceduto il trono a Dioniso è detta anche ultima. Dea del
focolare, della famiglia tradizionale, della comunità. Una dea mite, ricca di
buonsenso, modesta e poco amante delle novità, soprattutto di quelle che
scardinano l’ordine antico.
Quando vede chi c’è sulla soglia dell’Olimpo, si allarma: che sia un
satiro ubriaco di Dioniso? Il supplice ricorre a un’altra bugia: sono un
vasaio.
Era le illustra la situazione e il primo pensiero di Estia riguardo
alla figlia del mortale è se sia stata violentata, destino comune alle donne
che non devono ribellarsi, ma accettare la sottomissione al maschio. Si apparta
con Era per parlare dell’ultima criminosa e impudica impresa di Zeus: il
rapimento di Ganimede. Le due dee sono come popolane al mercato, ansiose di
scambiarsi confidenze, pettegolezzi e consigli. Era s’indigna perché ritiene
che i genitori del ragazzo non abbiano fatto nulla per fermare il dongiovanni
divino, Estia è più conciliante: il padre si è accontentato di un paio di
cavalli e la madre… “che può
farci una donna?” Inoltre le ricorda che il fedifrago “è tuo marito”. La santità
e indissolubilità del matrimonio non vanno mai messe in crisi. Era, in cerca di alleanze, si trova di fronte a
un muro: “Sono la sentinella della famiglia, non posso schierarmi contro il tuo
sposo.” Il quadro che dipinge a Estia è apocalittico: “Ora tutti ripudieranno
le mogli per mettersi nel letto ragazzi con gli occhi di cerbiatto. Al posto
del desco familiare, orge. E le donne? Tutte Amazzoni.”
Estia, per la quale
non possiamo invocare una santa ingenuità da suorina vissuta in convento,
rivela l’ipocrisia che pilota le sue opinioni: Zeus ha scelto il ragazzo per la
sua sensibilità, non per… l’innominabile. Ma Era va dritta al punto: “Il premio
che Zeus ha destinato al ragazzo è in mezzo alle sue gambe.”
E questa la irrita
molto, dato che per rivali non ha più solo le altre dee, le ninfe e le mortali,
ma ora anche i ragazzini.
Estia invoca la
consueta inutile strategia del dialogo: “Non mancare di rispetto a tuo marito,
prima ancora di averne parlato con lui.” Ma Era contrattacca con un colpo
basso: sei la paladina della famiglia tradizionale, dimostralo affrontando Zeus
e sfrattando Ganimede. La determinazione di Era fa andare in ansia la collega.
Le tocca anche ascoltare una minaccia: se non risolve la questione, a Ganimede
potrebbe accadere qualcosa di brutto. Insomma, l’intento di Era è di crearle
sensi di colpa e ansie tanto forti da indurla ad affrontare Zeus.
Era se ne va,
lasciando Estia spaventata e piena di rabbia verso di lei, verso Zeus che la
prende sempre in giro e soprattutto verso Ganimede: “Quel Ganimede! La bellezza
è immorale, lo dico sempre.”
Ancora qualche
endecasillabo di Supplice, che fa le veci del Coro. Arriva un’altra dea:
Afrodite. Un siparietto con la dea dell’amore al quale Supplice non si sottrae,
disposto a qualunque cosa pur di ottenere quello che vuole. “Mia figlia è tanto
soddisfatta dell’amore che vorrebbe tornare vergine per ripetere l’esperienza.”
Ennesima bugia. Ma quanto mentono gli uomini di fronte agli dei? Afrodite alla
fine è soddisfatta delle risposte e raccomanda anche lei di pregare sempre, ma
per scopi diversi da quelli di Estia: “Chi non prega, ha orgasmi tiepidi.”
Se sull’Olimpo ci sono
posizioni contrapposte, queste sono di Estia e Afrodite. Probabilmente si
detestano, ma coabitano e devono comunque soffocare i dissidi. Ciò che stupisce
è come Estia, quando vuole ottenere qualcosa, non esiti a rivolgersi a chi, per
coerenza, non dovrebbe. Dato che il suo ethos è molto rigido, la coerenza fa in
fretta a incrinarsi e ogni incrinatura viene comunque sempre giustificata con
sofismi vari per salvaguardare il sistema.
“Ai giovani non
dispiacciono le esperienze del letto” afferma Afrodite e già questo dovrebbe
segnalare a Estia quanto siano distanti le loro posizioni. Estia si vanta di
valori antichi e solidi, Afrodite al contrario affronta temi sensibili come l’amore
e il sesso con una superficialità becera, distante anni luce dalla filosofia di
Dioniso, la cui sregolatezza non è pazzia, ma diversità di approccio. Per
Afrodite non esiste una questione Ganimede: il ragazzo sta facendo esperienza e
non si trova poi così male nel letto di Zeus. Estia insiste per ottenere il suo
appoggio quando affronterà Zeus, ma Afrodite le dà un’informazione che dovrebbe
vanificare ogni intervento: se Ganimede lascia l’Olimpo, è destinato a morire
immediatamente nella guerra di Troia.
Supplice incontra la
quarta dea, la meno importante, quella che non ha lasciato miti personali dietro
di sé. Si sa solo che è la dea della giovinezza, con il ruolo di coppiera
olimpica, ruolo che ora le viene tolto da Ganimede. E qui scoppiano rabbia e odio.
Di lei si sa anche che è andata sposa a Eracle dopo l’apoteosi, ma il passo
dell’Odissea sembra un’interpolazione tarda. Eracle con una ragazzina vanesia?
La sua entrata è
logorroica, forse perché è agitata. Si accorge che Estia e Afrodite, intraviste
in lontananza, hanno tolto l’udito al mortale e glielo restituisce, curiosa di
sfogarsi con qualcuno e di sapere che cosa ci fa lì un supplice.
Rivela di odiare lo “spregevole
invertito capace solo di fare gli occhi dolci ai vecchi.” Supplice maschera il turbamento
e la incalza per saperne di più. Ebe, solo una ragazzina dal cuore di ghiaccio,
è un fiume in piena. Ganimede, che vorrebbe vedere morto, le ha portato via
tutto. “Non so fare nient’altro, non ho poteri, né un marito importante. Sono
sempre stata servizievole, ho prestato la mia opera come una tuttofare a
vantaggio di tutti. E il risultato? Sono una dea, ma conto meno di una serva di
taverna.”
Da coppiera divina a
disoccupata rancorosa e priva di risorse.
Con le minacce, Ebe
impone a Supplice un piano basato sulla menzogna (“Qui tutti mentono, perfino
meglio degli uomini”). Supplice deve dichiarare a Zeus di essere un abitante
della Troade e di avere conosciuto Ganimede, raccontando “episodi che ne
mostrano l’animo vile e traditore”.
Nel successivo dialogo
con la madre Era, le meschinità divine prendono ancora più luce. Sull’Olimpo si
mente, si ordiscono congiure e inganni, si calzano maschere che non sono le
teatrali di Dioniso, ma quelle dell’ipocrisia più cinica e spietata. Gli dei
sono peggio degli uomini.
A sorpresa, Supplice
può parlare con… Ganimede. E qui si svela la sua falsa identità. Non vasaio,
non padre di una “sciocca irretita da Afrodite”, ma Troo, re della Troade. L’incontro
con il figlio è straziante. Ganimede minaccia perfino di uccidersi, se il padre
non riesce a liberarlo, ma Troo lo supplica: te lo chiedo in ginocchio; vivi,
figlio, vivi per me.
VOCE Che
gioia vederti!
SUPPLICE Mostrati, che ti abbracci.
VOCE Non
posso. Quando è assente, Zeus mi rende invisibile.
SUPPLICE Per quale motivo?
VOCE La
mia bellezza, la mia dannazione.
SUPPLICE Occulta la tua bellezza?
VOCE In
mia difesa. Poseidone ha già tentato un assalto. Ares si è vantato con lui di…
di farmi presto del male, padre.
SUPPLICE Dei maledetti!
VOCE Portami
via.
SUPPLICE Sono venuto per questo.
VOCE Riportami
a casa.
SUPPLICE Dimmi come stai. Ti trattano bene?
VOCE Ho
tutto quello che mi serve, anche di più. Ma che me ne faccio del lusso quando
ho perso la gioia?
SUPPLICE E Zeus, dimmi, ti rispetta?
VOCE So
che cosa intendi. Finora sì, ma non mettermi in imbarazzo, ti prego.
SUPPLICE Che tormento non poterti abbracciare!
VOCE Mia
madre? Le mie sorelle? Mio fratello? Mi pensano?
SUPPLICE Non fanno che piangere.
Supplice si svela a Estia
e la mette in crisi, dato che egli non ha fatto altro che difendere i valori
della famiglia, quelli che la dea rappresenta. Da lei vuole sapere come e
perché Ganimede è destinato a morire in guerra.
SUPPLICE Non deve un padre osare l’impossibile per il bene del figlio?
ESTIA Ma
tu hai…
SUPPLICE Non deve perdere se stesso per la sua salvezza?
ESTIA Proprio
quello che hai fatto.
SUPPLICE Ho anteposto la famiglia a ogni altra considerazione.
ESTIA Bene,
tuttavia…
SUPPLICE Ritarda la tua ira. Parlami di Ganimede, poi affronterò il mio
destino.
Egli non riesce a
capire come può morire in una guerra che deve ancora scoppiare, ma Ebe ha
pronta la spiegazione: il tempo umano e quello degli dei non corrispondono,
dato che da una parte c’è la morte e dall’altra l’eternità. La dea, impastoiata
nei suoi falsi valori, non può a fare a meno di rimproverargli le menzogne e la
falsa identità. Egli ha peccato in modo grave e deve comunque rassegnarsi al
volere superiore, come sempre devono fare gli uomini: “Non c’è perfezione in
voi, lo capisci? Se è destino che tu perda Ganimede, vuoi forse ribellarti? E
mettere in pericolo anche il resto della famiglia? Sii ragionevole, scegli il
male minore”. Lo invita quindi a fare l’unica cosa che può fare un mortale:
sottomettersi e pregare con fede.
Ebe, ancora ignara
della sua vera identità, torna da Troo con le istruzioni su quello che deve
riferire a Zeus, nelle vesti di un inesistente Enenio.
EBE Tu
racconta l’episodio con la convinzione di un testimone. Non è difficile, sei un
uomo, sai mentire e ingannare, è nella tua natura.
SUPPLICE Prostituto di strada? All’età di otto anni?
EBE Sputa
per terra, quando lo dici. Sii efficace. Usa espressioni colorite. Pure volgari,
Zeus è di bocca buona. Sai imprecare? Fammi sentire.
SUPPLICE Imprecare, io?
EBE Oh,
che impedito! Continua a leggere, e non farmi perdere la pazienza.
SUPPLICE Ha accoltellato la madre?
EBE Sì,
sì. Ma più realistico, mostrati indignato. Una scena tragica. Sai che cos’è una
scena tragica? No, tu non sai niente. Sei un caprone capace solo di dare
cornate.
Al momento opportuno, Troo si fa
sentire, ma non come vorrebbe Ebe.
SUPPLICE Ero Supplice, un supplice. Ora sono Enenio, un bugiardo. In
verità sono Troo, il padre di Ganimede, e tu mi conosci bene, dato che me lo hai
portato via.
ZEUS Che
vuoi?
SUPPLICE Mio figlio.
ZEUS Te
l’ho pagato.
SUPPLICE I tuoi cavalli sono alle pendici del monte, te li puoi
riprendere.
ZEUS Ne
hai di coraggio!
SUPPLICE Che cosa devo temere? Puoi uccidermi, niente di più.
ZEUS Vattene.
SUPPLICE Questa è la dimora degli dei e dagli dei gli uomini si aspettano
comprensione e soccorso.
ZEUS Gli
uomini sognano.
La temerarietà di Troo non dà risultati.
Chi ascolta la sua supplica non ha alcuna sensibilità.
ZEUS Mi
hai annoiato. Non hai altri figli? Fanne altri. Fanne tanti. E tanti ne fai, di
ciascuno vengo a spiare se uguaglia questo in bellezza; e allora te lo porto
via e ne faccio il mio amante. Gli dono l’immortalità, così anche lui aspetta
in eterno il mio ritorno, trepidante come una moglie fedele che desidera solo
servire il marito padrone. Lo tratto bene, ma dalla sua memoria cancello ogni
viso. Egli ricorda solo me e solo me venera. Guai a chi posa gli occhi sul mio
coppiere!
Ora le dee conoscono la verità.
Ebe vorrebbe che l’uomo
fosse ucciso, ma Era lo preferisce così, vivo e infelice, una punizione più
dura della morte. Estia non vuole più avere a che fare con lui. Solo, senza più
speranze, a lei confida un piano allucinato.
SUPPLICE Mi avvio verso la Troade e quando vi giungo convoco i generali e
dico loro: l’Olimpo non solo ha offeso il nostro amato paese, ma ha spregiato
ogni decenza, rivelandosi un covo di briganti.
ESTIA Perché
i generali?
SUPPLICE Perché dichiaro guerra agli dei e prima di domani il mio
esercito è in marcia contro l’Olimpo.
Ma Estia lo fa
ragionare, lo riporta alla sua realtà terrena e alla sua impotenza. In questa
desolazione, si ode di nuovo la voce di Ganimede. Ha fatto la sua scelta, l’unica
possibile. Non può suicidarsi, Zeus si vendicherebbe sui familiari. Non può
lasciare l’Olimpo, dato che morirebbe causando alla madre un dolore ancora più
grande di saperlo rassegnato sull’Olimpo. Si sacrifica, ma quanto si sacrifica?
Lo nasconde. Vuole che il padre torni a vivere, che non ci siano altri lutti.
GANIMEDE Se non ti arrendi agli dei, mi rendi infelice. Come posso tollerare
che la mia famiglia sia maledetta? Che contro di essa si scateni l’ira di Zeus?
Va’, padre, sii sereno.
SUPPLICE Dimmi se ti manca qualcosa.
GANIMEDE Mi manchi tu.
SUPPLICE Ma io sono qui.
GANIMEDE E dopo?
SUPPLICE E dopo sarò ancora qui.
GANIMEDE Significa che…
SUPPLICE Quando vuoi, mi trovi qui.
GANIMEDE Non è possibile, padre.
SUPPLICE Sarò qui in modo impossibile, ma sarò qui. Io non ti abbandono.
Con stupore di Estia, Zeus glielo
concede.
ZEUS Non
separiamo padre e figlio. Gli dei sono pietosi. Rimanga qui a elemosinare una
parola. Rimanga fino a quando Ganimede vorrà, poi se ne vada per sempre.
ESTIA Prostrati,
uomo. Rendi grazie a Zeus. L’Olimpo è giusto e misericordioso. Dillo a tutti,
quando sarai tornato a casa.
Seguono gli ultimi endecasillabi del
re Troo, infelice padre di Ganimede, sconfitto dagli dei.
Ma è davvero una
sconfitta? Solo a metà. Troo ha oltrepassato il limite posto dagli dei, è
entrato in
casa loro e il proprio coraggio li ha sbugiardati. Non figure
ieratiche, pietose, solidali, ma mostri di
piccineria e opportunismo che
antepongono il proprio benessere alla felicità degli uomini. Non
tengono in
alcun conto la giustizia e si parano dietro leggi ritenute immutabili che
invece plasmano
per il proprio tornaconto. Sono i veri tiranni dell’universo. Un
uomo ha osato l’impensabile e il suo
esempio diffonde i semi dell’ateismo e
della razionalità. Gli dei non sono così eterni come credono.
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