lunedì 31 gennaio 2011

SI ACCENDONO, SI SPENGONO

Si accendono le luci, che bagliore! S’inchina il brusio all’apparire dell’attore, poi muta in silenzio sacro: il rito ha inizio. Negli occhi dello spettatore il bagliore si rinnova in emozione, e l’ansia per una vicenda che è sempre di amore e di morte, di pianto e di risa… erompe nell’ovazione. L’applauso è un respiro forte, l’eco spinge qua e là i gridi di entusiasmo. E subito silenzio. L’attore con un solo gesto crea l’incanto. Tutta piena di parole è questa sala. Santo santo santo è il teatro. Oh gli strilli della rabbia! Ora, bestia in gabbia, l’attore aggredisce lo spazio. Oh poi la pena sconfinata nella voce spezzata! Singhiozzi e lamenti, lusinghe e seduzioni, gioie e dolori sospinge come onde di burrasca l’attore sugli spettatori! Si spengono le luci, un’eco di passi una porta sbattuta la scena ora è muta. A nessuno è dato di vedere il tremolio della mano dell’attore, che non stringe nessun teschio; lo sguardo perso del regista sull’assito senza orme; la solitudine nella gola dell’autore che parole, parole non ha più. Tutto dorme. Non questa inquietudine per cui non c’è battimano, non questo ritrovarsi da soli in sé stessi, e il mondo lontano. Non questa pena che viene dalle stelle, riflettori dell’anima, questa pena per le cose belle che ci svuotano il cuore. Non questa pena per ogni cosa che sempre, ogni volta, un poco muore.

MAMMA MAMMAZZA com'era


Un trailer dell'edizione 2008, video di Rossana Barbati.

MAMMA MAMMAZZA ritorna


Teatro Binario 7, 5 - 6 febbraio - Via Turati 8, 20052 Monza

MAMMA MAMMAZZA

Trilogia della Famiglia - 1° spettacolo

di Aquilino
con Tommaso Banfi, Marta Comerio, Paolo Bufalino, Annamaria Rossano,Giorgia Senesi
regia Stefano De Luca
produzione LupusAgnus.

“Una madre ama sempre il proprio figlio, anche quando lo odia”.

Mamma mammazza di Aquilino è un piccolo testo di grande
cattiveria. In scena cinque personaggi per una storia assurda: Piero,il figlio, esibisce al parco le proprie “vergogne di uomo” ad un’incauta runner, Alice. Dopo il fattaccio, torna a casa, dove una Madre mostro-divoratrice, una medea del ventunesimo secolo, lungi dal proteggerlo e nasconderlo, lo respinge, lo aggredisce, lo tortura verbalmente (e non solo), lo umilia, lo massacra, lo annichilisce,inzigata da Chiara, la sorella.
A queste femmine folli si aggiunge un ottuso commissario di polizia,presentatosi con la vittima a casa di Piero e della sua sconclusionata famiglia.
Sarcastico, sconvolgente, sempre sul filo di un’ironia tragica, Aquilino riflette - come in uno di quegli specchi deformanti da luna park - vizi, perversioni, mostruosità, intrinseche storture dei legami familiari.

“Io ti ho fatto, io ti distruggo”

Un’altra meravigliosa frase che tutti noi, prima o poi, nella vita, ci siamo sentita dire dalle nostre madri. Ma cos’è questo benedetto sentimento materno? Una forma di cannibalismo lecito? Una prigione? Una bomba a orologeria? Le moderne statistiche hanno impiegato duemilacinquecento anni per dimostrare il teorema dei tragici greci: ovvero, i peggiori delitti nascono sempre i famiglia.
Edipo et Clitemnestra docent.

Woody Allen ci ha messo del suo.
Eppure, sempre lì torniamo, all’amore di mamma.

Cinque attori e un regista formatisi alla scuola di Giorgio Strehler.
Un drammaturgo che scrive anche libri per ragazzi e per adulti.
Un testo che diverte e sconcerta, insinuando sotto pelle una sottile inquietudine. Uno spettacolo divertente come un giro in ottovolante,tra risate e tuffi al cuore. Si sa, di mamma ce n’è una sola.
Meno male.

... ritorna con un nuovo interprete al posto di Sergio Leone, Paolo Bufalino.

Laureato nel 2006 in architettura al Politecnico di Milano. Diplomatoalla Scuola D'arte drammatica Paolo Grassi nel 2001. Ho lavorato comeattore di teatro con Ugo Pagliai, Paola Gassman, Pippo del Bono. Comeattore di cinema in produzioni come "La donna della mia vita"di Luca Lucini, "Persecución" di Patrice Chèreau, "Io no" di Simona Izzo, etc...
Come attore televisivo " Camera Cafè" nel ruolo di Andrea Pellegrino [produzione Magnolia]

domenica 30 gennaio 2011

SCRITTURA


Ho appena finito di parlare con Marco Mojana via skype. Abbiamo perfezionato il testo dell'ultima canzone di Canicani, il Tango della televisione. Martedì va in sala d'incisione. Canicani, in quanto a testo, dovrebbe essere chiuso. In settimana si avvia la verifica del secondo volume degli Orrendi, spero che sia un lavoro svelto e che vada in stampa. Voglio essere libero di continuare a scrivere (titolo variato) "Se muore un Arlecchino" con Albino Guidi. Ora il libro mi si sta chiarendo, io sono su in alto, le nuvole-foschia si diradano e comincio a vedere il panorama.
Il secondo volume (arriverà entro una decina di giorni), "D'Armonia, di sangue", viene presentato così, in retro di copertina:

"Ancora una volta la vita tranquilla di Albino Guidi viene sconvolta dall’intromissione di Atena. La dea lo esorta a fare teatro con una filodrammatica speciale, della quale entra a far parte una titanide in fuga da Ares. Il dio trova alleati in paese, cinici e ipocriti. La battaglia di Albino riguarda non solo la libertà di espressione, ma gli ideali di un mondo tollerante e giusto. Lo spettacolo straordinario che alla fine presenta alla popolazione è un inno ai valori veri, non quelli conclamati da tribune e pulpiti."

Invece, in bandella:

"Io non voglio diventare vittima del potere. Che sia detenuto da uomini o da dei è indifferente, sia gli uni sia gli altri sono meschini e mediocri. Perché così avviene, che il potere finisce sempre nelle loro mani, nelle mani dei peggiori. Io voglio vivere così, tra la gente pacifica. Voglio vivere, Albino, e come Armonia mi è concesso. Come titanide no.”

Albino, nel terzo libro, si ritrova a difendere non tanto i valori sociali e la libertà di espressione, quanto la carica vitale di passione ed entusiasmo per le cose belle e davvero emozionanti che le nuove generazioni sembrano aver perso, soffocandola con l'apatia, la superficialità, l'egocentrismo sterile.
I ragazzi del Teatro dei Passeri avranno bisogno di una "ricarica" e dall'Olimpo arriverà...

PASSERI

MUUU!

CANICANI, L'AUTORE E IL MUSICO


Marco Mojana ha scritto le musiche. L'autore ha scritto i testi, ora filastrocche per esprimere concetti non concettuali, ora versi che facciano fiorire le emozioni, ora il canto dell'anima di un personaggio o l'inno di una metafora. Parole con rime. Metrica. Parole monologhi, parole dialoghi tra i personaggi, parole cantate. Eh, le canzoni. Un personaggio recita le ultime battute, poi canta. Di colpo, la scena cambia. Qualcuno ha aumentato l'intensità della luce? Oppure ha aperto una finestra? Ma... c'è un orizzonte, laggiù? E che cosa... perché la sala vibra? La voce che prima arrochiva o strillava o sussurrava o scandiva secca, ora suona. La voce suona. Pare di vedere le note. Sorgono dal pavimento, spiovono dal soffitto, erompono dai muri, sgusciano dentro dalle fessure delle porte... A una voce se ne aggiunge un'altra. Come nel giardino dell'autore, quando al pettirosso timido si affianca la cinciallegra spavalda, e poi il prepotente verdone e anche il merlo stupido e il curioso fringuello, e lo senti l'usignolo, appartato laggiù? Il canto non è solo voce e suono, è luce e spazio, e quando gli uccelli volano via e in aria rimane solo il dondolio del ramo, che mistero! Il mistero del silenzio, un'altra musica.

venerdì 28 gennaio 2011

CANICANI PROVE


Teatro Strehler, sala Fortunato, ore 10,30. Il rito degli abbracci, "vi ho portato le brioche", le novità: Stefano mi fa ascoltare altre canzoni, gli occhi che brillano di entusiasmo. Marco Mojana non ha solo messo in musica dei versi, ha colto il senso del testo, l'atmosfera, l'emozione.

Mi mostra le fotografie del trucco. Se n'è occupato un professionista, anche lui in piena sintonia, ecco i musi dei canicani!

Chi si cambia, chi va in bagno a spalmarsi un po' di cerone, chi ripassa la parte, chi vaga non si capisce con quale scopo. E poi vedo Marta sistemare i guinzagli, Stefano prendere le misure della scena. Arrivano anche Mario e Lorenzo e cominciano subito l'uno a filmare l'altro a scattare foto.

C'è un'attesa. Come quando il cielo si mette in pausa e annuncia: tutti fermi, tutto fermo, arriva il temporale. Nemmeno gli uccelli volano più; e la brezza cade. Qui è lo stesso, ma non si attende il temporale. Qui si aspetta il sole. Occhieggia fra le nubi alle prime battute, e il tepore è già piacevole. Ma poi si staglia luminoso e caldo sull'azzurro del cielo, ed ecco le parole incatenarsi in modo ordinato, e colorarsi di emozioni, e le parole sono movimenti, ognuno ne va alla ricerca, come anche fa il proprio viso, come fanno le mani. Tutto si muove, tutto parla.

Stefano interrompe, Rifare. Di nuovo. Un'altra volta. Facciamola ancora, per favore. L'ultima. E ogni volta la luce si fa sempre più intrigante e invadente, scaccia le zone oscure, allarga la visione, mostra i dettagli, perfino il riflesso delle parole negli sguardi degli interpreti. La prova prosegue e la scena s'illumina d'emozione. Le ore trascorrono, ma il tempo non pesa. Parole, parole, e ancora parole... e gambe mani occhi alla ricerca del quadro perfetto, della statua greca che incanta. E, di tanto in tanto, il silenzio. Gli dei meditano. Su che cosa? Sulla bellezza che gli uomini sanno creare. Forse sono addirittura invidiosi.

(fotografia di Lorenzo Ceva Valla - http://www.lorenzocevavalla.it)

giovedì 27 gennaio 2011

CANICANI, IL REGISTA E L'AUTORE


Stefano De Luca è il regista. Il regista sono Stefano, il portatile e il blocco note. Stefano è una mente con la luce sempre accesa, un cuore sempre pronto ad aumentare i battiti, uno sguardo onnivago (neologismo, il regista e l’autore inventano il nuovo), un corpo ondivago su e giù dalla sedia avanti e indietro per la scena.

Il regista non vede persone attorno a sé, vede personaggi, fotografi, coreografi, costumisti e tecnici. Con loro parla, mai però per fare conversazione, solo per guidare nella giusta direzione la grande macchina dello spettacolo.

Paziente e cortese, ascolta le persone quando interrompono il silenzio rituale ed espongono osservazioni o addirittura suggerimenti; ascolta e non sente, o sente e finge di non ascoltare, depositando le parole in uno scrigno che riaprirà a tempo debito.

Idra dalle cento teste d’oro, il regista fa passi falsi, una testa cade, ma altre due ricrescono subito feconde di idee e soluzioni.

Il regista amalgama gli elementi naturali che ha portato alla luce dai cuori degli attori, dopo che ha scrutato nei labirinti dietro i loro sguardi; fa appello a una scienza antica che carica di energia la materia inerte, infondendole lo spirito; e mescolando e rimescolando va alla ricerca della pietra filosofale che tutto trasmuta in oro, anche le parole stanche.

Ora arranca, ora vola, ora scivola, ora danza, ora precipita, ora salta alto nel cielo per vedere sé stesso e la scena dalle nuvole; ora gesticola esagitato, ora osserva muto, ora si assenta, ora ride.

Il regista è regista anche di sé stesso.

Egli è sette attori ed è ciò che fa di sette attori un unico interprete. Di cento scene fa una visione, di mille parole un solo lungo applauso. Il regista è sette attori, è la luce. Vede corpi in movimento nell’aurora e al tramonto, nell’abbaglio del meriggio e nella tenebra della notte. Ascolta i respiri e gli strilli, ascolta la musica. Ce l’ha nello stomaco, una vibrazione per l’anima. E infine è pubblico, e guarda alla propria destra e si ritrova seduto in platea; e guarda alla propria sinistra e si ritrova nella testa dello spettatore. Da lì, dirige.

(fotografia di Lorenzo Ceva Valla - http://www.lorenzocevavalla.it)


CANICAN, GLI ATTORI DELL'AUTORE: CARLO


Carlo Ponta è Burgo, il gestore del ristorante “Frattaglie”, rinomato per singoli, coppie e orge culinarie. Entra cantando. La faccia un sorriso sbracato e onnivoro, la smorfia oscena di chi vede il mondo come cibo. Faccia di pagliaccio che offre divertimento e piacere. Il suo è un invito a godersi la vita. Avanti, avanti, prendete posto! Provvederà lui a tutto. Nato per servire. Benefattore dell’umanità.

Non è un uomo, è un’azienda. Florida. Il cui unico obiettivo è la soddisfazione della clientela. Cuore e mente e coscienza asserviti a sviluppo e profitto. La fame sostituita dalla golosità. La golosità pretende le novità. Sempre nuove ricette, sempre nuovi manicaretti. Un consumo totale.

Nella logica aziendale, le vite dei canicani hanno valore solo in quanto materia prima. Non sono individui con diritti, non sono nemmeno individui. Sono carne e basta. Burgo non vede al di là del bilancio di fine anno. Tutto perde di significato, se l’azienda soffre. Se i conti vanno in rosso, la maschera del pagliaccio si fa tragica, ma è solo piaggeria. Burgo non esita a ossequiare coloro di cui ha bisogno umiliandosi senza dignità, sapendo che comunque il vincitore sarà lui, perché solo lui trarrà un vero profitto. Disprezza gli intermediari tra lui e la materia prima, privi della sensibilità necessaria per apprezzare la differenza tra un rene e un fegato. Ama la materia prima come il collezionista ama le farfalle che infilza vive con lo spillo. I suoi fornitori sono esseri umani? Devono essere fieri di finire nel piatto di un goloso buongustaio! Il mondo funziona così, qualcuno è il cibo, qualcun altro lo mangia. L’importante è che il cibo sia cucinato bene. Altrimenti i clienti disertano il ristorante.

(da una foto di Lorenzo Ceva Valla)