domenica 23 dicembre 2007

IL FANTASMA DELL'ISOLA DI CASA

Mi ha scritto Emanuela di letteratura-per-ragazzi.it, la entusiasma l'idea di ripubblicare il libro. Ho cominciato a riscriverlo. Ecco le prime due pagine.

Prego, accomodati. Io mi chiamo Romolo. Mamma non c’è. Durante la sua assenza non vuole che faccia entrare gli sconosciuti, ma tu sei speciale e sento di potermi fidare. Evita, però, di calpestare il tappeto in soggiorno. Sì, lo so, è un tappeto e il suo destino è di essere calpestato, ma… non si può. Che strano. Calpestiamo cose che dovremmo amare e rispettare e un tappeto, invece…

Solo io ci passo sopra, ma di nascosto. Con le ciabatte morbide che non lasciano il segno. Lo faccio perché al tappeto fa piacere. Percepisco la sua morbidezza e lui è contento. Anch’io provo un frizzore eccitante, una specie di gioia. Ma anche questa la nascondo con un ghigno: sto facendo una cosa vietata.

Mi chiamo Romolo come il primo re di Roma. Uff, non so se il mio nome mi piace. La conosco la storia di Romolo, so che cosa ha fatto a suo fratello Remo. E penso che di sicuro era un discendente di Caino, e così il mio nome è pesante da portare. Abele, a mio parere, a me sarebbe stato simpatico perché allevava le pecore. Se fossi stato Dio, non avrei fatto capire a Caino che era Abele il mio preferito. Eh, non si dovrebbe fare così, anche se secondo me molti genitori lo fanno, di preferire un figlio intelligente che andrà all’università a uno simpatico che però a scuola non va tanto bene.

Per fortuna io non ho fratelli (dopo di me, la mamma e il papà non hanno più voluto rischiare). Sono figlio unico, eppure i miei genitori prediligono gli altri figli, quelli che poi non hanno avuto.

Non è facile da capire, ma più o meno è così.

Romolo ha fondato Roma, dici tu per consolarmi.

Io Roma non l’ho mai vista per davvero, solo nei documentari. A dire la verità, non ho mai visto nessuna città, io. Nemmeno la mia. Quando mi portano all’ospedale non conta, non è mica un giro turistico. Mi rendo solo conto di quanta gente c’è in giro. Tantissima! Anche all’ospedale… quanta gente! Divento nervoso, ho sempre paura di non sapere che cosa dire e che cosa fare, quando sono in mezzo alla gente.

Io sono abituato a parlarmi da solo nella mia cameretta con la porta chiusa.

Tornando a Roma… e allora? Magari quando sarò grande fonderò anch’io una città, però senza il Colosseo. Ma lo sai che ci facevano ammazzare la gente e chi non moriva subito lo facevano sbranare dai leoni? Io fonderò una città… beh, una città è troppo. Magari un paese. Ma secondo me un punto di ristoro sarebbe più congeniale alla mia riservatezza. Ci viene poca gente e di solito è gente tranquilla che si fa anche una risata.

Roma… chi sono io in quella confusione di milioni di persone?

Un niente.

Se permetti, sono già poco adesso, non ho proprio voglia di sentirmi un niente.

Ho dodici anni, compiuti tre mesi e quindici giorni fa. La mamma mi ha regalato un maglione di un colore strano, molto marrone. Il papà mi ha fatto gli auguri per telefono. Ho dodici anni e la nonna mi ha detto: Come cresci in fretta! A me non sembra di avere mai fretta in niente. Sono un tipo calmo, io. Me lo dice la mia intelligenza pigra di stare calmo e io le do retta, che altro posso fare?

Una cosa ho capito: io non sono come tutti gli altri ragazzi.

Pazienza, mi dico.

Non possiamo mica essere tutti uguali. Sai che monotonia se fossimo tutti uguali? I miei genitori, però, sarebbero contenti se io fossi uguale agli altri. Non cercano mica l’originalità, in un figlio. Anzi…

Sono qui che mi guardo allo specchio. Ne approfitto per farti capire come sono fatto. Ho il viso tondo come la pizza e le guance due pomodori, i denti di mozzarella e gli occhi scuri come i capperi. Sono tondo anche sotto la faccia. Un poco cicciotto, insomma. Ma ho visto in tivù che anche gli altri bambini sono cicciotti. In una cosa, almeno, non siamo diversi.

Sono bello? Non lo so. Nessuno mi ha mai detto niente, al riguardo. Non mi hanno nemmeno mai detto che sono brutto, però. Forse sono un poco bello e un poco brutto.

Ma perché nessuno mi dice mai niente?

Non posso essere io a decidere se sono bello o brutto, non è corretto.

E poi, sono un po’ stanco di essere sempre io a parlare a me di me.

MAMMA BASTARDA


Lo so. Titolo da pugno nello stomaco. Irritante, fastidioso. Ma è un atto d'amore. E anche un faro puntato sulle mie origini. Prendo la pala e scavo dentro di me. Porto alla luce tesori e misere ossa. Mi aiuta ad accettare l'inaccettabile, la degradazione lenta e inesorabile, l'agonia di parole e pensieri di una madre così ingombrante prima e così commovente e straziante adesso. Un teatro in tre parti. Questa è la presentazione.

L’opera è divisa in tre parti, non necessariamente tre atti.

La scenografia della prima parte è costituita da teli color sabbia. Uno ricopre il pavimento. Hanno aperture dalle quali compaiono gli attori, solo con la testa, il busto o con tutta la persona, superando la soglia tra memoria e presente.

La prima parte è quella dell’origine conflittuale, di nascita e morte legate in modo indissolubile. Ciò che è come ciò che non è. Il viaggio e l’esperienza, l’esplorazione e la conquista. Ma anche la fuga e la paura. O l’impossibilità della fuga e la negazione della paura. La prima parte è impulsiva e reattiva, è infanzia e adolescenza. La prima parte è anche ingiustizia e sopraffazione, è lotta e ideale assoluto, ricerca di verità e tragedia.

Entrando nella seconda parte i teli scompaiono. Sotto di loro c’è un universo di oggetti reali e dipinti. Un mondo di cose. La seconda parte è quella del desiderio di stabilità. Sotto sotto, di eternità. Fase di radicamento, di benessere, ma anche di logorio, di fatica fine a se stessa. La seconda parte promette e non mantiene, illude e sconforta, appaga e stronca. La seconda parte propone una riflessione sul valore e sul significato della vita, riflessione che viene sempre elusa. Tutti vogliono vivere felici e maledicono le avversità assurde. Non sanno che la proposizione va ribaltata: tutti vivono nelle avversità e si godono sprazzi di felicità.

La terza parte presenta il palcoscenico nella sua nudità. Gli oggetti di scena che vi sono stati dimenticati sono incongruenti e rotti. Un telo sbrindellato pende in un angolo. La terza parte è quella della follia. Niente si può portare con sé di ciò che si è vissuto e che si ha posseduto. La memoria diventa un campo di battaglia, le cose perdono ogni valore. Tutto si fa distante. La vita assomiglia sempre più alla morte. Emergono rabbia, frustrazione, dolore, disperazione. Solitudine. Ma è solitudine senza meditazione. Solitudine di delirio e allucinazione.

Vi si racconta la storia di mia madre, dalla campagna veneta alla colonizzazione della Libia; dal rapporto conflittuale con i fascisti, che deve servire e che gli uccidono il fratello, al lavoro in fabbrica e al matrimonio. Dal benessere degli anni sessanta alla dispersione dei parenti e dei figli, fino alla tragedia dell'Alzheimer.
Queste sono le prime parole dell'opera.

Ho dovuto attendere fino agli ultimi momenti della loro vita per sentirmi davvero figlio dei miei genitori. Si diventa figli quando i genitori muoiono. Prima no. Si è sempre troppo se stessi per accorgersi di loro, prima. Poi ci trascinano nella loro morte e allora un faro spara luce bianca sui loro volti e sulla nostra memoria.

Quando si ammalano e muoiono, non scompaiono subito.

Prima brillano di luce propria, intensa. Spiccano sul grigiore dell’abitudine, delle parole trite, dei comportamenti scontati. E gridano la gloria della loro vita. Poi muoiono. Nell’avvilimento, nello smarrimento, nel disfacimento.

Non fanno così anche le stelle? Non si fanno anche loro bianche? Del colore che ha tutti i colori, ma tutti li annulla.

Se muoiono le stelle, che cosa sarà mai la morte dei miei genitori?

No, no, la domanda giusta è questa: perché la morte è così… miserevole e degradante?

Solo per far soffrire noi vivi?

Percorro questa strada di allarmi quotidiani, di deliri e allucinazioni, di richieste ansiose di aiuto, di insulti e atti inconsulti, e vedo spettri all'orizzonte. Siamo tutti noi. Il sole di cui abbiamo goduto in vita non c'è più nemmeno nei ricordi. Se ne sono fuggiti anche loro chissà dove, insieme alla logica di un'esistenza che ora ci si rivela in tutta la sua doppiezza: è sempre stata pazzia, sempre.


LIBRI DI DICEMBRE


L'occhio mi cade sulle mie cose. I busti, gli elefanti, le aquile, i budda, le vecchie fotografie... piccolo museo di opere d'arte minore da pochi soldi che ho scelto e ho portato a casa mia. Da loro l'occhio passa al giardino: spio gli uccelli. Tra due mesi spierò le gemme. Poi l'occhio va sui libri, uno qua l'altro là. Inaspettato, un senso di calore. Come avere la casa piena di amici discreti e sensibili. Ho appena letto L'ULTIMO RE e UN RE E IL SUO CAVALIERE di Bernard Cornwell, uno dei miei autori preferiti. Sulla Garzantina di Letteratura non compare nemmeno. Hanno preferito la Patricia. Ci rimango male. Poi CARDINALI E CORTIGIANE di Claudio Rendina, i cui PAPI sono in attesa insieme a I CAPITANI DI VENTURA.
LA VENDETTA DEL LONGOBARDO di Marco Salvador è fermo a pagina 112 da quest'estate. Peccato, il primo mi aveva entusiasmato. A pagina 268 è invece fermo LE CINQUE STIRPI di Markus Heitz: centomila copie, lo scrittore di fantasy più letto in Germania... Mah!
Sono a pagina 176 di I FIGLI DI HURIN di Tolkien. Procedo senza entusiasmo. Mi sembra di leggere una bibbia senza geova. O un mito senza un vero eroe. Oggi mi sono arrivati (ordinati da Betti in Ibs) BIANCA CAPPELLO di Giuseppe Rovani (mi piacerebbe farne un dramma "astorico") e A UN PASSO DALLA FORCA di Angelo Del Boca (fascisti in Libia, mi serve per MAMMA BASTARDA, il teatro che sto scrivendo sulle malattie dei miei genitori).
In lista d'attesa vedo due di Terry Pratchett, BUONA APOCALISSE A TUTTI! e STELLE CADENTI. Forte Pratchett! Poi I SEGRETI DI PARIGI di Corrado Augias (io e Betti volevamo andarci l'anno scorso, ma abbiamo rimandato a chissà quando), IL CODICE DELLE FATE di Lisa Tuttle (cominciato e smesso da Betti), L'AUTUNNO DEL MEDIOEVO di Huizinga, LA CROCIATA DEI BAMBINI di Marcel Schwob (mi piacerebbe ricavarne un romanzo), PERCHE' NON POSSIAMO ESSERE CRISTIANI di Pergiorgio Odifreddi, MARUZZA MASUMECI di Andrea Camilleri e IL RISVEGLIO DELL'ASSASSINO di Robin Hobb (grande! e non presente nella Garzantina - ma gli scrittori di fantasy che cosa sono, fantasmi della letteratura? però non manca ahi ahi! la Rowling).
Buona lettura. Buona fuga. Buon viaggio tra i mondi. Buona carezza dell'immaginazione. Buon sogno. Buona consolazione. Buona esaltazione. Buona emozione. Buona vita di carta. Buona vita di parole. Meglio un giorno di libri che cento di realtà.

giovedì 20 dicembre 2007

IL FANTASMA DELL'ISOLA DI CASA


Ogni tanto qualcuno mi richiede IL FANTASMA DELL'ISOLA DI CASA, che la Piemme ha messo fuori catalogo. Sto pensando di riscriverlo e di rivedere il contestato finale.
Mi emoziona incontrare di nuovo Romolo. Ognuno dei due sarà cambiato e dal confronto non nascerà un nuovo libro, ma un libro più ricco e più equilibrato. Un libro più di cuore, forse. Di sicuro un libro più autentico.
Vorrei trovare una piccola casa editrice o pubblicarlo in proprio. In questo caso, c'è il problema della distribuzione. Ho preso in considerazione anche LAMPI DI STAMPA. Vedrò. Non mi interessano i diritti d'autore. Voglio solo che il libro torni a vivere. Che Romolo torni a vivere.

domenica 2 dicembre 2007

coniglio


Lo vedo per la terza volta. Lo fotografo da lontano. Lui sempre di profilo. Mi avvicino. Viene a mangiare il becchime degli uccelli? Abita ormai nel mio giardino? Mi avvicino troppo e lui... floppete floppete... scappa via nel prato dietro il cedro, scompare.