Aquilino
Come nasce e
prende corpo “Le donne di Ilio”
Dopo le Baccanti e la
Medea mi domando: che cosa fare l’anno prossimo? Parto da Euripide, e mi fermo
ancora a Euripide senza bisogno di ricorrere a Eschilo o a Sofocle. Le Troiane,
o Troadi. Avevo già pensato, tempo fa, a quest’opera. Avevo già letto le
versioni di Seneca e di Sartre. Rileggo tutto, annoto. Leggo qualche saggio
critico. Mi metto a scrivere. Voglio un’opera breve. Rimescolo i personaggi
delle varie versioni ed ecco il mio cast. Cinque uomini: Agamennone, Menelao,
Odisseo, Pirro, Taltibio (quattro eroi e un messaggero). Cinque donne:
Andromaca, Cassandra, Ecuba, Elena, Polissena. In un secondo momento aggiungo
Priamo, già morto.
Rimango fedele a
grandi linee alla vicenda classica: dopo la caduta di Ilio, le prigioniere
attendono di sapere a chi saranno assegnate come schiave. Prima dell’imbarco,
Polissena viene sacrificata sulla tomba di Achille, apparso al figlio Pirro per
esigere il proprio bottino. Poi è la volta di Astianatte, l’ultimo maschio
della dinastia. Gli eroi greci vogliono che muoia per timore che da adulto
faccia risorgere Ilio. Tutti meno Agamennone, che già aveva tentato di salvare
Polissena. Non per pietà, ma per timore di offendere gli dei e di dovere
affrontare un difficile ritorno. È sempre Pirro, l’uccisore di anziani e di bambini,
a buttarlo giù dalla torre. Le donne possono essere imbarcate.
Lo schema è
questo:
-
Priamo
ha la battuta di introduzione
-
gli
eroi chiudono le prigioniere nelle tende-celle
-
Taltibio
li presenta uno dopo l’altro, ma viene più volte interrotto dalle donne
-
coro
delle donne contro la guerra
-
dialogo
tra Ecuba e lo spirito di Priamo
-
coro
delle donne per esprimere l’ansia della destinazione
-
Taltibio
annuncia chi sarà il padrone di ciascuna
-
coro
delle donne contro la schiavitù
-
danza
di Cassandra
-
dialogo
tra Cassandra e Agamennone
-
dialogo
tra Pirro e Agamennone circa il destino di Polissena
-
Andromaca
racconta come è morta Polissena
-
dialogo
tra Andromaca e Odisseo che è in cerca di Astianatte
-
coro
delle donne a commento della morte di Astianatte
-
dialogo
tra Elena e Menelao, con interventi di Ecuba, Polissena e Priamo
-
Elena
descrive la morte di Astianatte
-
Cassandra
chiama a raccolta le donne: vengono imbarcate
-
Cassandra e coro: “Venite a piangere, donne
del mondo.”
L’opera affronta,
amplia e approfondisce il ruolo di prevaricazione dell’uomo sulla donna. È un
ruolo di consolidamento delle proprie virtù di forza e di dominio. La debolezza
della donna, la sua inconsistenza sociale, la sua diversa visione dei valori
riaffermano lo status dell’uomo che si è autoproclamato essere superiore.
L’uomo è la guida della famiglia e della società, la donna è al loro servizio.
Le donne imprigionate
sono spogliate di ogni bene, ma soprattutto di ogni diritto e di ogni dignità.
Vengono portate in Grecia come prove viventi della vittoria, ridotte in
schiavitù affinché sia lampante il rapporto di forza tra i greci e i nemici.
Nemici che non esistono più: tutti i maschi, di ogni età, sono stati trucidati.
Quelle che sono le qualità
intrinseche di ogni donna vengono del tutto ignorate. Andromaca non è più una
madre. Ecuba non è più una regina. Cassandra non è più una profetessa.
Polissena non è più una bambina. Elena non è più una greca.
Ma l’uomo può disporre
a proprio piacimento di ogni categoria senza che questo lo indebolisca. Menelao
può confessare che non ha ancora deciso se accordare a Elena lo status di
greca, e di conseguenza accettarne il pentimento e riprenderla come moglie; o
se condannarla a morte come barbara, con una pubblica esecuzione a Sparta,
lapidata dalle donne oneste: per volere dell’uomo, le donne uccidono le donne.
Le prigioniere di
guerra vengono sorteggiate, caricate sulle navi come bestiame e portate nelle
dimore dei vincitori. Le poche fortunate diverranno concubine, eviteranno i
lavori più faticosi e abiteranno in ricche dimore. Le altre saranno prostitute
e serve.
Non c’è supplica, non
c’è pianto disperato che possa impietosire i guerrieri. Nemmeno le maledizioni
di Ecuba provocano reazioni. “Dobbiamo gioire, quando il nemico piange” dice
Menelao.
Le considerazioni di
Agamennone sulla tenera età di Polissena non hanno alcun effetto su Pirro. Una
bambina viene uccisa sulla tomba di Achille per diventarne la sposa
nell’aldilà. Un’aberrazione che viene accettata perché i diritti degli eroi
travalicano la vita e si estendono anche nel regno dei morti. Pirro prende
decisioni come una macchina programmata, mostruosa marionetta i cui fili sono
mossi da valori oscuri e confusi, sui quali si regge una società di
ingiustizie.
Astianatte non è più
solo un bambino, ma una minaccia oscura. Gli eroi paranoici temono che da
adulto possa regnare. Invano Andromaca tenta di farli ragionare: “Regnare su
che cosa? Non lo vedi? Siamo al centro del nulla.”
La sua morte è il
simbolo più straziante di Ilio.
La città è diventata
la più grande, la più forte, la più opulenta, e anche la più invidiata. Ma ora
è crollata. Non rimangono che macerie.
Come in un rituale, il
bambino viene condotto sulla torre da dove Priamo controllava il campo di
battaglia. I soldati non capiscono. Già si sono commossi per Polissena. Non
capiscono perché in guerra si debbano uccidere anche i bambini. Ma il loro
canto funebre, gli sguardi desolati fissi sulla torre non fermano Pirro.
Spinge Astianatte nel
vuoto, a fracassarsi sulle rovine della città conquistata.
Ecco, non solo il
presente, ma anche il futuro di Ilio scompare nel ventre della bestia che fa la
guerra per avidità e per soddisfare le proprie voglie di piacere e di violenza.
Non c’è consolazione,
come dice Priamo: “La guerra non uccide i guerrieri, ma le donne, gli anziani,
e i bambini. Tutti i nostri bambini sono morti! Ci avvelenano il presente e ci
rubano il futuro. Questo fanno quelli che comandano. Non c’è consolazione, non
c’è nessuna consolazione.”
Breve presentazione
dei personaggi.
AGAMENNONE. È il capo
supremo, si sente quindi investito di un potere superiore, come se facesse da
tramite fra le divinità e i sudditi. La compassione che mostra per Astianatte e
Polissena è solo ipocrisia. Da politico accorto, vuole dare un’immagine di uomo
pietoso e comprensivo. L’alta opinione che ha di sé lo rende cieco. Non dà
quindi peso alle parole di Cassandra che predicono la loro morte per mano di
Clitennestra.
MENELAO. È un debole.
Cerca quindi un esempio da seguire. Lo trova in Pirro. Vuole dimostrare al
fratello Agamennone, al quale si è sempre sentito inferiore, di essere virile.
Si mostra quindi insensibile e spietato. Ma si fa dominare perfino da Elena. Le
minacce nei suoi confronti sono fasulle. Elena è la sua moglie-madre, in grado
di guidarlo nelle decisioni. Rappresenta anche il suo status: nessun altro ha
una donna così bella e famosa.
ODISSEO. Pragmatico,
sa valutare con oggettività ogni situazione, soppesando rischi e vantaggi,
senza farsi influenzare dai sentimenti. Non si oppone alle uccisioni di
Polissena e di Astianatte, utili alla causa (la prima in difesa del passato, la
gloria di Achille; la seconda del futuro, la sicurezza di una impossibile
rinascita di Ilio). Dà l’impressione di non avere cuore. La vita è solo un
gioco di inganni e il più furbo vince.
PIRRO. Rozzo,
fanatico, fedele al pensiero unico, spietato. Ha ucciso il vecchio Priamo, ora
uccide due bambini senza alcun ripensamento. Ciò che ritiene necessario va
fatto. Non ha la complessità conflittuale e infantile di Achille. È solo una
macchina di conquista. Il migliore frutto dell’addestramento militare.
TALTIBIO. A differenza
degli eroi, non reprime le emozioni. Prova sentimenti contrastanti, ma alla
fine a prevalere è comunque la fedeltà alla madrepatria. “Tu sei buono,
Taltibio. Ma servi uomini malvagi” gli dice Cassandra. Impersona l’uomo comune
che potrebbe fare la differenza, se si ribellasse al sistema. Ma non ce la fa a
superare i limiti imposti da religione e politica. L’obbedienza è la sua virtù
e allo stesso tempo la sua dannazione.
ECUBA. Se ne sta
appartata, non perché voglia tenere le distanze, ma per una sorta di vergogna e
disperazione. Lei che era tutto, non è più niente. Si pone al confine tra la vita
e la morte, poiché le hanno ucciso i figli e la morte è quello che anche lei
desidera. Ma rimane combattiva e le maledizioni contro i greci e contro Elena
in particolare ne denunciano la vitalità.
ANDROMACA. Donna senza
qualità particolari, se non quelle del focolare, onora la memoria di Ettore
coltivando una fantasia impossibile: che il figlio Astianatte faccia risorgere
Ilio. Rappresenta la donna annientata: le uccidono il marito, poi il figlio, e
deve diventare schiava del suo assassino, Pirro.
CASSANDRA. Canta la
morte propria, di Ecuba e di Agamennone, oltre a quella di molti eroi greci, destinati
a scomparire durante il ritorno in patria. Si illude che la lunga serie di
lutti le dia gioia, ma la sua somiglia più a una forma di disperazione
isterica.
POLISSENA. La sua
tristezza deriva non solo dalla necessità di morire, ma dalla consapevolezza di
essere desiderata come sposa da Achille, colui che le ha ucciso i fratelli. Sposata
a un cadavere, sposa cadavere lei stessa. È uno spirito rassegnato, svuotato.
“I morti sanno più dei vivi” dice.
ELENA. La più
irriducibile. Dopo la morte di Paride, sposa un altro principe troiano, Deifobo,
ma poi lo consegna ai greci che lo uccidono. Ora intende tornare con Menelao.
Bugiarda e infedele, tiene testa a tutti. “La regina dei due mondi non perde la
corona” declama il coro.
PRIAMO. È morto, ma il
suo spirito aleggia su Ilio. Abbigliato come un idolo. Solo ora ha capito che
cosa sia veramente la guerra. Si sente corresponsabile, ma è troppo tardi per
riparare i danni compiuti. Ha perso tutto e tutti.
Come gli anni scorsi
(ma allora erano quattro), un interprete stabilisce un rapporto diretto con il
pubblico, facendo da “mediatore”. Costui è Taltibio. A lui il compito di
commentare, presentare, spiegare, esprimere dubbi. Il popolo vive di persona
gli avvenimenti, ma non è in grado dei cambiarli.
Tutto questo in undici
pagine.
Un testo denso che gli
interpreti (dai dieci ai dodici anni) devono memorizzare durante l’estate. A settembre
si parte per mettere in scena l’opera ai primi di marzo, in occasione della
Festa della Donna.
Ho cercato di ridurre
all’osso la scrittura.
Monologhi brevi,
dialoghi serrati. Cori semplici e ridotti. La struttura della tragedia classica
(prologo, parodo, episodi e stasimi, esodo) è ancora presente, ma rimodellata
in modo tale da renderla quasi irriconoscibile.
Colonna sonora.
In un primo momento ho
pensato di utilizzare rifacimenti moderni di musica greca antica, che ho
scaricato da internet. Poi ho immaginato, data anche la brevità della prosa, di
accoppiare l’opera a musiche dal vivo. Ho cercato alcune collaborazioni. Il
professor Suppa dell’I.C. Verjus di Oleggio, sezione musicale, con due allievi per
le percussioni. La scuola di musica Dedalo di Novara per il violino, uno o due
strumenti a fiato. Ma come e dove sistemare i musicisti?
Sul palco non ci può
stare nessun altro oltre agli interpreti. Le percussioni prevedo di piazzarle
sotto il palcoscenico, a livello del pubblico. Gli altri musicisti in sala,
seduti a guardare lo spettacolo: si alzano poco prima dell’esecuzione.
Vado a parlare con
Elena Sant’Andrea di Dedalo. Mi suggerisce di utilizzare non i solisti, ma un
gruppo concertistico. Ribatto che accetterei volentieri le due soluzioni: un
gruppo in un palco e due solisti in sala.
Quest’estate esamina
il testo con i colleghi e propone la collaborazione ad alcuni allievi. A
settembre avrò la risposta.
Che cosa succede
durante le esecuzioni musicali? Drammaturgia e concerto viaggiano su binari
paralleli, ma non mi va certo di fermare l’azione scenica per consentire
l’ascolto unilaterale. La scena, per tutta la durata di un’opera, rimane viva.
Prevedo una coreografia
non invasiva, a luci abbassate, con movimenti lenti, coerente con la situazione
emozionale.
Mi metto in contatto
con Elisabetta Pistochini, insegnante di yoga e di danza moderna, con la quale
ho già collaborato (per “Auge del sangue”). È contenta di collaborare. E anche
questa è fatta.
La scenografia
è piuttosto semplice. Guardando il palco, a sinistra la sagoma di una nave (ne
ho in solaio una, da restaurare, utilizzata per una recita sull’Odissea), con
tanto di vela e sartiame, intorno alla quale si danno da fare gli eroi.
Al centro e a destra,
arretrati, tre pallet in piedi con due aste alla base per la stabilità e due verticali
che sostengono un telo, ora tenda e poi vela: sono le celle di tre delle donne.
Sul pavimento (l’anno scorso, per Medea, un ampio telo bianco, bianco come
l’abito di Medea e delle sue figlie) un “tappeto” lucido nero (o sacchi della
spazzatura o plastica da pacciamatura) davanti al quale, sul proscenio, si
allunga un lunghissimo telo azzurro che una volta sollevato formerà il mare.
Sulla destra sta
accasciata Ecuba. Qua e là si sposta Polissena. Priamo è un’anima irrequieta,
vaga in continuazione dalla platea (dove sosta per fissare gli spettatori in
modo triste e inquietante) al palco, dove fissa i vivi come se non li
riconoscesse più.
Costumi.
Le donne sono del
tutto rivestite di stoffa nera, libere solo le mani e il viso (che per Polissena
sono imbiancate). Gli eroi indossano calzoni pakistani simili a quelli di
foggia turca su tonalità spente (trovati in un banco del Centro commerciale di
Gravellona); sul torso nudo una sorta di gilet diverso per ognuno; in testa una
fascia che nasconde i capelli.
I ragazzi stanno
costruendo due spade micenee.
Ecco, questa è la
partenza. L’arrivo… quante cose cambieranno prima di marzo!
Personaggi e
interpreti.
Andromaca, Lucia
Cavazza – Cassandra, Angelica Roman – Ecuba, Giorgia Picaro – Elena, Viola
Beghelli, Polissena, Lucrezia Balbo.
Agamennone, Francesco
Schirò – Menelao, Giulio Gallarate – Odisseo, Raffaele Giannantonio – Pirro, Luca
Andrico – Taltibio, Francesco Divisoli.
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