Non
manca molto al futuro raccontato nel romanzo. Un futuro di degrado sociale
assoluto. Lo strapotere di una dittatura nemmeno nascosta dietro ipocrisie di
rito ha consegnato il mondo a un’elite. Niente di nuovo, viene da dire. La
novità è rappresentata dalla comparsa, nel deposito di auto rottamate custodito
dall’anziano Duilio, di una novantenne che di sé conosce solo il nome:
Racheles. Vecchia, ma forte. Tanto da smontare veicoli e uccidere mostri a mani
nude. Insomma, un Eracle al femminile mandato a purificare di nuovo la terra.
Non Euristeo ne determina il destino, ma la governatrice Minerva. Alle sue
dipendenze, subendone i ricatti, Racheles sviluppa una coscienza sociale che la
conduce addirittura ad abbandonare l’idea di uccidere, per abbracciare quella
di una rivoluzione da fare insieme ai reietti.
Sinossi
Periferia
di Milano, anno 2030. Duilio, il custode del deposito di auto rottamate, trova
una novantenne discinta dal brutto carattere. Pensa che sia una senzatetto e le
offre ospitalità. Scopre poi che la sconosciuta possiede una forza spaventosa
e, cosa che lo inquieta ancora di più, che ringiovanisce dopo ogni “impresa”.
Si chiama Racheles e dopo che ha ucciso un mostruoso cane-leone viene
ingaggiata dalla potente Minerva, la governatrice della Regione Settentrionale.
Per lei uccide l’Idra, un mostro delle fogne. Cattura la cerva d’oro. Risolve
il problema dell’invasione dei cinghiali. Minerva medita di demolire il deposito
e l’agglomerato urbano che costituisce il mondo di Duilio, e ora anche di
Racheles. I due le dichiarano guerra, affiancati da Fosco, un investigatore, e
da Glider, un giovane hacker. Traslocano la comunità a Muregocio (Mergozzo),
zona dichiarata off-limits da Minerva, che l’ha cancellata perfino dalla
memoria collettiva. Faceva parte della Repubblica dell’Ossola e di nuovo, dai
monti, scendono disobbedienti pronti a opporsi alla dittatura. Racheles ha
sempre avuto la consapevolezza di essere tornata in vita per uccidere qualcuno.
Pensava che il suo obiettivo fosse lo scienziato Nefesto. Scopre che si tratta
invece di Minerva, sua madre. Ma non la ucciderà. La combatterà.
Incipit
Una
settimana prima, fine maggio 2030
Duilio Magistris, l’unico custode del deposito
metropolitano di veicoli rottamati, se ne sta a naso in su a fissare la
carcassa cinque metri sopra di sé. Ne è quasi sicuro (ha superato i settanta,
qualche deficit intellettivo comincia a farsi sentire): il giorno prima non
c’era. Chi ce l’ha messa? I ladri di autoricambi, di questo è certo. Ma quale
delle cinque bande che visitano con regolarità il deposito? Non può saperlo. Ha
tanto raccomandato a tutti quanti, dai sudamericani ai romeni, dai nigeriani
agli scandinavi: prendete quello che volete ma lontano dalla mia casa, perché
occhio non vede cuore non duole. E le telecamere sono state tutte fracassate a
sassate o pistolettate. Perlomeno quelle visibili.
Imbecilli!
Lo sanno che rischia il posto!
“L’hanno fatto stanotte” pensa a voce alta.
“Credevo che erano i gatti in amore e invece erano quei deficienti.”
Dopo un’ultima occhiata, se ne torna a casa
scuotendo il capo deluso.
“E questo è il ringraziamento?” grida alla
desolazione.
Ma perché faticare a poggiarla là in alto,
sopra due piani di rottami?
“Stranieri. Ognuno la pensa a modo suo.”
Sì, va bene, ma non se lo toglie dalla
testa: perché fare la fatica di depositare un’auto là sopra le altre? Proprio
non lo capisce. E le cose che non si capiscono meglio non pensarci più, che
tanto il mondo fa schifo lo stesso.
Gli ci vuole un grappino per tirarsi su.
Un incipit ossuto e strabiliante
Ho gli occhi chiusi, mi vedo dentro. Sento
il respiro, so di essere qui. Viva. Ogni respiro un grido: io! io! io!... ma io
chi?
Odori dai meno gradevoli ai più smaniosi,
tra i quali uno di aglio mi tormenta: va dritto allo stomaco e me lo strizza.
Voci lontane, cinguettii rallentati di uno stormo di migratori. Straccetti di
sole sulla pelle, e a tratti un tocco di brezza modesta. Che altro? La
scomodità della posizione, un fastidio doloroso alle natiche: devo spostarmi.
Con cautela, però. Mi sento instabile.
Ma dove sono?
Non mi resta che aprire gli occhi (il
respiro ora è più calmo, passata è la tempesta).
Dritto davanti a me un vetro sozzo, curvo e
incrinato, mentre a destra e a sinistra niente. I finestrini laterali rotti, ne
scorgo i frammenti sul pavimento dell’utilitaria nella quale sono seduta.
Lercio anche il pavimento, strie di fanghiglia. Puzza di acqua marcia, infatti.
Divelto il volante, scomparso il secondo sedile, uno squarcio nel tettuccio:
ah, ecco da dove entra il sole.
Sospiro lungo, profondo, un mea culpa. Ma
non è colpa mia. Io non ho fatto niente. Non ricordo e quindi non ammetto
colpe. Perché ho così paura di essere accusata di qualcosa? Non guidavo io, ne
sono certa. Oh, sull’aletta parasole c’è ancora lo specchietto. Merda. Non è la
faccia di un pirata della strada, quella che vedo. Ma di una donna anziana.
Faccia rugosa e livida, capelli bianchi radi, occhiaie da… da che cosa?
Insonnia, droga, sbronza, depressione, malattia, premorte? Brutta faccia. Ne
avrei preferita un’altra. Giovane, soprattutto. Ho paura di essere quella che
sono. Un rottame anch’io. Mi spaventa, la mia faccia. Muso da bestia vecchia,
da abbattere. Più che ansia, è angoscia. Profonda, emerge con la potenza di uno
squalo. Mi morde a sangue. La faccia di una zombi. Gli occhi umidi e rossi…
Miei e dello squalo. La stessa creatura, io e lui.
Oh, povera vecchia, che cosa ci fai qui?
Che cosa ti è successo?
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