Mi chiamo Aquilino e scrivo per ragazzi, per adulti e per il teatro. Ho una compagnia stabile a Milano, Lupusagnus, che si appoggia al Piccolo Teatro e ho un gruppo di ragazzi, invece, a Oleggio, il Teatro dei Passeri. Il 12 maggio ci sarà la rappresentazione: è il terzo anno che facciamo teatro e ci sono ragazzi dalla prima media alla prima superiore.
Cosa vuol dire essere scrittori?
Essere scrittori vuol dire dedicare la propria vita alla scrittura perché è un lavoro quotidiano, non si scrive solo quando ci si siede davanti al computer, ma un'opera la si porta avanti tutta la giornata e anche di notte. Spesso ci si continua a pensare tanto che la si sogna; e i sogni aiutano, insieme a quello stato di dormiveglia in cui c'è il sogno a occhi aperti. Lo sfrutto molto per identificare i personaggi, portare avanti le trame, con i meccanismi automatici del subconscio. Fare gli scrittori a tempo pieno è possibile se c'è il successo commerciale, per cui uno non deve pensare ad altro per vivere. Per quanto riguarda il teatro, anche i giovani attori di Milano, pur essendo dei professionisti, devono arrabattarsi con la pubblicità e i call center. È diventato sempre più difficile ottenere repliche, il guadagno è limitatissimo e le spese sono enormi. Quello che va alla grande è il teatro di varietà, il teatro musicale, quello che assomiglia alla televisione.
Che differenza c'è tra scrivere per ragazzi e per adulti?
Per ragazzi ho sempre scritto volentieri. È stato uno sbocco naturale perché, oltre a essere stato insegnante, ho sempre avviato iniziative private. Svolgevo animazione con i comuni nella zona, avevo la Bottega dei Ragazzi con attività relative a disegno, pittura, scrittura, un po' di tutto. Quindi sono sempre stato a contatto con i ragazzi e ho conosciuto a fondo il loro mondo. Mi è sembrato naturale scrivere per loro. In Italia la letteratura per ragazzi è molto controllata. Quando un libro arriva dall'estero fan passare tutto: qui, se parli di divorzio, omosessualità, droga, il risultato è un "mmmh! non si può!" Il finale deve essere gratificante. A me è capitato di cambiarlo, su richiesta della casa editrice, perché troppo amaro. Anche se la realtà è quella che è, la casa editrice segue la politica che ai bambini bisogna sempre mostrare una visione positiva e ottimistica. Io sono d'accordo fino ad un certo punto: bisogna mostrargli anche l'altra faccia della medaglia, e insegnare loro a difendersi dal mondo. Quando poi c'è stata la crisi dell'editoria, ho deciso di scrivere per adulti. Non sapevo però come e che cosa scrivere, perché avevo la mente orientata verso un altro stile. Mi sono lanciato, e ho avuto quest'idea di far intervenire gli Dei nella mia vita. Non volevo né il giallo, che in Italia va per la maggiore, né la storia borghese di rapporti familiari. Volevo una dimensione personale e originale; l'ho trovata con il mio alter ego, Albino Guidi. Prima di lasciare del tutto il mondo per ragazzi, ho mandato l'ultimo inedito, "Orrendi per sempre", alla Giunti e sono rimasti entusiasti, tirandomi dentro di nuovo. A maggio esce il secondo, in autunno è previsto il terzo. Ma questa è l'ultima serie che porto avanti per ragazzi. Non si hanno più sbocchi, ormai. Soprattutto quando, come nel mio caso, non si condividono alcuni punti di vista, alcuni argomenti da trattare. I libri ormai non girano: si vendono nei centri commerciali, non più nelle librerie, nemmeno le mamme ci entrano più con i loro figli, se non con quelli piccoli. Poi c'è stata la maledizione di Geronimo Stilton. Ha fatto fuori i classici: ormai non li comprano, tanto c'è il remake di Stilton. I volumoni sono tutti suoi, poi, quando li apri, ti sorprendi: non è un libro. È scritto dalla redazione, è scritto male, i contenuti non ci sono... Sta facendo fuori anche i fantasy, ormai vengono tutti rimpiazzati dal topo. È una maledizione biblica.
Come nasce e come cresce un libro?
Nasce da un'intuizione, che può essere anche piccolissima. Alcuni miei libri sono nati da un titolo, ma anche opere di teatro, come Canicani, data a febbraio a Milano. È nata proprio dal vedere qualche cane randagio sulle rive del Ticino: cani cani... che bel titolo, e si mette in moto. Per gli "Orrendi per sempre" mi è venuta in mente la parola "orrendi". Da lì mi sono chiesto quali personaggi potevano essere orrendi, e via. Quindi ci può essere questo pungolo iniziale, che tu sai già che contiene un libro. Alcuni, però, si fermano: basta già mezza pagina e ti rendi conto che non scatta la molla. Non viene il piacere il di scrivere, non continua il discorso che prima filava. Non sono uno di quelli che apre il giornale e sceglie con criterio i problemi che interessano. Non è una riflessione, ma un'intuizione.
Nei suoi libri presenta, nelle prime pagine, situazioni molto difficili, per poi andarle a risolvere lentamente. È una sua scelta?
La molla di un libro è sempre e comunque la crisi, il cambiamento. Il libro è storia: la storia c'è quando ciò che esiste ora viene sostituito da qualcos'altro e quindi c'è un divenire; affinché ci sia un divenire occorre una scossa, qualcosa che controbatta o entri per cambiare. Una crisi, un avvenimento straordinario, qualcosa che modifica la realtà. La letteratura è sempre specchio e cambiamento della realtà, per cui la crisi è la base della letteratura.
Tra i suoi libri, qual è il suo preferito?
I libri della mia vita sono questi della serie di Albino Guidi, quindi "Un fauno in legnaia" che è nato un po' timidamente, "D'Armonia, di sangue" e quello che ho da poco inviato all'editore, "Se muore un Arlecchino". Ci sono dentro io, io come mi vorrei, un alter ego in cui mi rispecchio tanto.
E da giovane?
Libri d'avventura. Salgari, Verne... Tempo fa, ho riletto "I figli del capitano Grant". Me lo ricordavo molto più intenso. Ai tempi non c'era tv, cinema, videogiochi: ciò che ora, in un libro, sembra una piccola meraviglia, in passato era una grande meraviglia. Ora ci sono cose troppo scenografiche, troppo grandi: 3d, effetti speciali. Queste bruciano l'immaginazione.
Come si arriva a pubblicare.
Ho avuto la fortuna di cominciare vincendo il premio Battello a Vapore della Piemme, e quindi mi hanno fatto fare la scala di colpo. Dal '94 ho sempre avuto continuità di pubblicazione. Per quanto riguarda gli adulti, essendo settori molto diversificati, i miei contatti non valevano. È anche controproducente che uno scrittore per ragazzi si metta a scrivere per adulti. Perciò mi sono spulciato l'elenco su internet e ho trovato 5-6 piccole case a cui ho inviato "Un fauno in legnaia" e "Le crociate dei Santi innocenti", incontrando quasi per caso l'editrice Robin di Roma. A sorpresa è arrivata la proposta di pubblicarli perché il direttore, molto contento di questi libri, ci ha creduto. Mi ha chiesto un contributo limitato solo per le Crociate, perché secondo lui non avrebbero interessato molto.
Lo scrittore che si autofinanzia è lo scrittore del futuro?
Il timore è quello, perché se noi guardiamo sanità, scuola, è tutto ormai a pagamento. La filosofia è questa: se vuoi una cosa, te la paghi. Magari dopo ti fa guadagnare 10 volte di più, ma intanto te la devi pagare. Questo corrisponde anche alla morte della rivista letteraria: ultimi rimasugli sono i blog, ma non è più l'epoca delle riviste e dei grandi critici. Gli scrittori critici, il dialogo tra scrittori... a me sembra che l'ambiente culturale impoverito al massimo. Non c'è più il fermento che c'è stato nel 900. Da questo si può intuire che, ormai, la letteratura non premia, ma offre un servizio. E, come tutti i servizi, è a pagamento.
I suoi progetti per il futuro?
Gli "Orrendi per sempre", sto scrivendo il quarto episodio. Poi teatro, le nuove opere per Lupusagnus, tra cui forse una riduzione per la scena degli Orrendi. Ho appena spedito il terzo libro di Albino Guidi, l'editore l'ha accettato, dovrebbe uscire in primavera. Sto progettando il quarto episodio, una specie di giallo. E poi... il poi indossa cento maschere una sopra l'altra, inutile cercare di dargli un'identità.
http://www.comune.suno.novara.it/istruzione/intervista-allo-scrittore-aquilino