Verginella - una ragazzina di undici anni - in fuga dall‟istituto a cui è stata affidata in custodia, si rifugia in una chiesa. Gli adulti che si occupavano di lei, la madre e lo zio, sono stati arrestati dalle forze dell‟ordine con l‟accusa di molestie sessuali. In chiesa, di fronte ad una silenziosa statua di Gesù, Verginella racconta la sua storia, descritta attraverso la percezione distorta e drammaticamente contraddittoria del suo devastato mondo affettivo. Allo stesso tempo, in un serrato montaggio drammaturgico, assistiamo alle reazioni dei due adulti sotto accusa.
“Tematiche come questa - spiega Stefano de Luca - non possono essere affidate soltanto alla informazione spettacolarizzata né semplicemente all’aspetto giudiziario delle vicende di pedofilia. Noi crediamo che il teatro possa e debba offrire il suo contributo allo sviluppo di una società matura”. Un ulteriore spazio di elaborazione e di coinvolgimento è previsto per il pubblico grazie a momenti di discussione a seguito della visione dello spettacolo. “Questi incontri - conclude il regista - sono parte integrante del lavoro di Lupusagnus e costituiscono un elemento distintivo del nostro modo di intendere il teatro e la relazione con il pubblico”. Dopo il successo di Mamma mammazza, la compagnia Lupusagnus diretta da Stefano de Luca – regista e attori formati alla scuola di Giorgio Strehler – presenta Verginella, il secondo tassello di una trilogia sulla famiglia che si è conclusa con l‟antimusical Canicani.
La poetica di Lupusagnus affronta e approfondisce tematiche legate alla violenza e all‟emarginazione. Alla ricerca di una riflessione che superi la semplice reazione emotiva davanti al mostro di turno e riesca ad indagare invece sulle complesse dinamiche di potere e di sopraffazione che si annidano nelle relazioni umane e sociali, anche e soprattutto all‟interno della famiglia. “Quando il teatro riesce a parlarci di argomenti su cui ci sembra di sapere tutto, o di aver già sentito abbastanza con forza espressiva ed immagini nuove senza dover dire troppo, o fare troppo o arricchire troppo la scena, allora siamo di fronte al teatro che ci fa emozionare anche a sipario chiuso, nella strada verso casa, il giorno successivo appena svegli. Allora abbiamo visto, forse, il teatro così come dovrebbe essere” (V. Colizzi).
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