Si
riflette poco, travolti dagli avvenimenti, su quanto importanti siano i
cambiamenti di vita nella vita. Su come bisogna saperli accettare e sfruttare,
chiudendo in modo inesorabile con il passato e aprendosi al futuro. Nella vita
si cambia, ma non solo; la vita cambia, e per fortuna è così. Ho avuto più
volte la sensazione di avere a disposizione non una ma molteplici esistenze. Sono
da considerare, ognuna, non come un blocco omogeneo, ma come una vita a sé, che
raccoglie dal passato e anticipa il futuro con la disponibilità al cambiamento.
E così ho avuto gli anni della scrittura velleitaria e narcisistica, quando accatastavo
poesie e fallivo romanzi, giocando a fare il critico letterario e il vincitore
di premi. L’esperienza mi ha dato modo di conoscere il sottobosco dell’editoria
degli anni ottanta, con le riviste provinciali e le pubblicazioni faidate in tipografia,
magari con la prefazione mercenaria del barone universitario o del critico
blasonato. Da lì sono scivolato nelle attività espressive per bambini e
ragazzi, con sgomitamenti nella psicoterapia; diplomi di psicologia della scrittura
e del disegno, di ipnosi e psicosomatica e altro che non ricordo. Su un altro
binario frequentavo corsi di teatro locali e uno con Dario Fo, avviando sperimentazioni
azzardate con gruppi di preadolescenti per i quali mi misi a scrivere i testi.
Cogliendo occasioni, mi tuffai anche nel teatro adulto, con una filodrammatica
di paese, un gruppo femminile e un altro extrapaesano; regista e attore (un
Molière, tra l’altro). Era la fase delle attività matte, dei carnevali e dei
laboratori di tutto un po’, dei centri estivi e delle castagnate. Mi sono
divertito? Tanto.
La
terza fase ha avuto inizio nel 1994. Basta teatro, mi ero detto, troppa fatica.
E basta animazione, idem. Vinco il “Battello a vapore” e mi metto a scrivere
per ragazzi. Va bene, pubblico più di trenta libri, mi faccio un nome, vado in
giro per l’Italia, vinco premi. Mi sono divertito? A scrivere tantissimo, ma
poco in quanto a incontri di scrittura, rapporti con le case editrici o (scarsi)
con i compagni d’arte. Nello stesso anno vinco anche un premio del Piccolo
Teatro di Milano per un laboratorio di drammaturgia. Cioè, arrivo in finale,
non ho proprio vinto. Ma mi si riapre la ferita del teatro, mai cicatrizzata. E
scrivo e scrivo. Sono quindi due le attività che mi riempiono le giornate: la
scrittura per ragazzi e il teatro come scrittura e come messa in scena con le
scuole (materna e primaria). Collaboro con una compagnia di professionisti,
Lupusagnus; e dirigo un gruppo di ragazzi, Il teatro dei passeri.
L’editoria
entra in crisi, i libri per ragazzi non si vendono più, ma soprattutto mi sento
logorato da anni di rapporti mediocri con editor e case editrici. Scrivo alcuni
libri per adulti. Ma non è questo a dare una nuova svolta. È il teatro.
Come
a volte si fa, in passato ho agito da incosciente, scrivendo per il teatro e
facendo teatro senza approfondirne la conoscenza. Ma ogni cosa ha il suo tempo.
Ed eccolo qua. Mi metto a scrivere il quinto libro della serie di Albino Guidi,
ma non ci provo gusto. Lo sospendo. Ho voglia di palcoscenico. Ho voglia di
capire che cosa penso io del teatro, e che cosa è la mia drammaturgia. Come
scrivo, io? Come vorrei scrivere? E per chi e per che cosa? Tutto ha inizio con
alcune intuizioni, vaghe e confuse, ma molto affascinanti. Teatro e mitologia.
Pan, l’uomo-bestia-dio mortale, il mostro che fa musica, l’erotomane, l’emarginato.
Rifletto sulla mia scrittura di teatro, fatta di filastrocche, di sintesi, di
ritmo, di assurdo, di grottesco, di passioni… Ne esce un articolo che pubblica
Stratagemmi. Scarico più di duecento opere classiche e contemporanee e leggo
leggo leggo. Compro libri di teatro e drammaturgia e leggo. Ho l’idea vincente:
scrivere un’opera nuova e accompagnare la scrittura con riflessioni che la
studino e la generino. Apprendere il teatro scrivendolo in modo consapevole e
interrogandosi. Metodo socratico. Ecco quindi “Cataus. La casa dei gatti”. Grazie
al diario e a diciassette riscritture elaboro un metodo: “La drammaturgia del
luogo chiuso”. Ora però devo applicarlo, il metodo. Scrivo un’altra opera. Anzi,
la sto scrivendo: “Artaus. La casa dell’arte”. Applico il metodo, e lo
perfeziono.
Tutto
questo per dire che questo riempire le giornate di teatro segna la mia fine
come scrittore per ragazzi. Qualcosa d’occasione potrei scriverla ancora, ma mi
rendo finalmente conto, dopo alcuni mesi, che nella mia testa i libri per
ragazzi non ci sono più.
Sembra
cinico. Dopo diciott’anni di cure quotidiane (scrivi, correggi, spedisci, rispondi,
scrivi, viaggia, incontra, pubblica…) com’è possibile che mi sia tolto tutto di
torno, senza un profondo dispiacere? Mi sembra solo un poco strano, ma non ho
rimpianti. È stato così quando ho lasciato la scuola. Che strano, una nuova
vita. Ma che sollievo, anche, poter cambiare vita. Addio, libri per ragazzi. Mi
avete dato tanto, ma io ho dato di più, ne sono sicuro. E ora sono felice di
non pensare più in piccolo, perché in Italia purtroppo l’editoria per ragazzi
funziona così, che se pensi in grande, se esci dagli schemi, se non stai in una
certa dimensione pseudoeducativa o paratelevisiva… ahi ahi, ce l’hai dura.
Ora
respiro. Intorno a me ci sono i libri di teatro e quelli di James Hillman, i tre
copioni degli spettacoli dell’anno, la documentazione dell’associazione
Tecneke (facciamo sul serio), fogli di appunti e di sintesi, progetti e
programmi…
Dentro
di me c’è la gioia di avere tutto qui e di poter fare tutto qui, con il
computer e i ragazzi di Techneke, con i libri di teatro e i fecondi dormiveglia
nei quali elaboro le drammaturgie. Non voglio più domandarmi: mi pubblicano l’inedito?
avrà successo il libro? vincerò il premio? Non me ne importa niente. Ho una
passione, tanto mi basta.
Questo
però me lo domando: avrò tempo per altri cambiamenti di vita? Sì, sì, di tempo
ce n’è sempre per qualunque cosa; e quando non ce n’è più, basta chiudere gli
occhi.
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