Corso di teatro propostomi da Arci Novara in collaborazione con l'oratorio di Sant'Agabio per ragazze di religione islamica. Lo spettacolo sarà presentato ai primi di novembre.
Eccoci qua. Giovanni mi fa da assistente. Prende il nome delle ragazze: Naoures, Imen, Amel, Sirine, Maha.
Propongo una riedizione di “Dietro la
porta”, adattato alla loro età e alla tematica dell’integrazione.
È un format che si può applicare alle
situazioni più diverse, valido per bambini e adulti. Ho preparato una pagina di
testo e di musiche o effetti sonori, per dare una prima valutazione riguardo gestione
della voce e del corpo, inibizioni emotive, intraprendenza e motivazione.
Cominciamo. Utilizzo musiche free che si trovano facilmente in internet. Sulla
prima, le ragazze entrano in successione con postura “di dignità, di orgoglio,
di fierezza di sé”, come suggerisco. Si distribuiscono nello spazio delimitato
e s’immobilizzano (illustro lo stop)
in una posa che presuppone un livello pre-espressivo (“non fermatevi e basta,
inventatevi la motivazione, tipo l’intenzione di sedersi, la scoperta del
pubblico, un pensiero improvviso, la volontà di rivolgersi a una compagna…”).
La quinta ragazza entra e rovescia tutte le sedie disposte a caso, con secchi tonfi
che fanno sobbalzare le altre. Seconda musica: una scansione di timpani cui
segue una melodia. Le ragazze camminano a ritmo sul posto, poi muovendosi intersecandosi
nello spazio scenico. La terza musica è orecchiabile, dolce: lente, raddrizzano
le sedie, le dispongono ad arco e prendono posto.
Quando
poi, al momento dei commenti, mi chiedono che cosa significa, rispondo che
andiamo alla ricerca della ristrutturazione dei movimenti quotidiani, per
offrire uno spettacolo di coreografie e scansioni che trasmetta armonia e suggestione.
In quanto all’interpretazione, dico che ogni spettatore può avere una visione sua
personale. Per esempio, l’inizio potrebbe raccontarsi così: le donne hanno una
loro dignità e un loro orgoglio, ma non è facile affermarli e le sedie
rovesciate sono gli ostacoli, le difficoltà e le violenze piccole e grandi; bisogna
agire, mettersi in cammino; e riparare i torti e le ingiustizie, trovando un
posto per sé, e quindi uscendo dall’ombra e dall’inerzia.
Lavoriamo
molto sull’incipit narrativo. Il cellulare di una ragazza squilla: è la madre.
Proviamo dapprima la versione madre irritata e figlia spaesata, poi madre
apprensiva e figlia angosciata… e scegliamo quella che ci sembra più efficace.
Tutte provano, così cominciamo ad affrontare i problemi della voce: intensità,
scansione, pausa espressiva, corrispondenza con il movimento e la gestualità
eccetera. Ripetizione: a tutte squilla il cellulare, tutte rispondono e
ripetono le stesse cose.
Siamo alla filastrocca:
C’era
una volta la porta
di
questa favola corta.
Chiusa
la porta, ancora cammina,
dove
credi di andare, bambina?
Vado
lontano mille futuri,
dove
non vivi tra quattro muri.
Dietro
la porta un mistero:
sarà
falso ciò che è vero?
Attenta,
bambina che vai lontano,
chiedi
a qualcuno di darti la mano.
Apro
la porta e vado da sola,
un
passo, un altro e poi via si vola!
La
porta s’è aperta e richiusa,
la
storia qui sembra conclusa.
Ma
un’altra bambina arriva gridando:
apriti,
porta, son io che comando!
Distribuisco i versi, definisco i cori e
i movimenti. Al termine, una va a bussare alla porta. Si sente il ruggito di un
leone. Una serie di dialoghi con ripetizioni corali. Infine, la scoperta che la
porta d’ingresso è sprangata. Sono chiuse nella stanza. Perché sono lì? Perché rinchiuse?
A queste e ad altre domande dovranno rispondere dipanando il filo di una
narrazione che sia significativa ed esprima concetti importanti e utili.
Le ragazze sono contente. Non si
aspettavano un teatro così. Sono contento anch’io perché la collaborazione è al
massimo e i risultati si vedono all’istante. Viva il teatro.
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