mercoledì 8 marzo 2017

IL DIARIO DI MEDEA (tredici)


La tensione aumenta. Una defezione per motivi di salute, lo spostamento della data di rappresentazione, la memoria ancora da perfezionare, le assenze dovute a settimana bianca, gite, influenze… Ogni anno mi auguro, di nascosto anche da me stesso, che sia l’ultimo. Lavorare con i ragazzi è faticoso, soprattutto se si ha questa ambizione, forse assurda, di non accontentarsi del genere brillante o fiabesco. Il testo è molto difficile, l’opera è sempre più lunga di quanto ci si aspettava e pare di non arrivare mai alla fine. O di arrivarci zoppicando.

Ne vale la pena? Sinceramente, non lo so. Due rappresentazioni, una al mattino e una alla sera, e poi basta, il lavoro di un anno muore lì, sull’unico palcoscenico riservatoci. Troppo complicato portare in giro quattordici ragazzi per le repliche. In compenso, io imparo molto, i ragazzi anche.

Molti di loro ora modulano la voce in sintonia con le emozioni che il personaggio ispira. Si muovono con una maggiore consapevolezza. Sanno tenere la scena. Tengono conto dei partner. Insomma, la partita è giocata bene.

Se si giudica dalle foto, sembra impossibile che da un’aula scolastica ingombra di tutto fino a diventare quasi soffocante possa scaturire una rappresentazione pulita, perfino scarna nella sua essenzialità, composti di momenti emotivi forti, di suoni e musiche suggestivi, di parole parole parole che ci parlano di un intrico di sentimenti forti.

Tante parole, è vero. Forse troppe. Ma il mio è un teatro di parole, è ispirato dalla tragedia greca che non prevedeva acrobazie ed effetti speciali, ma solo il suono e il significato delle parole, così come le trattavano gli aedi di fronte a un uditorio che si incantava grazie alla propria immaginazione. Parole e immaginazione, ecco che cosa propongo ai ragazzi.

A volte li sgrido in modo secco e perentorio perché giocano, si distraggono, disturbano… a volte invece vorrei subissarli di complimenti tanto sono vivi e veri, efficaci e commoventi. Ma ho sempre paura che poi se ne approfittino e misurino al ribasso l’impegno.

Mancano pochi incontri e poi si va in scena. Al momento mi sembra impossibile, non sono pronti. Ma lo saranno. Devono esserlo. Non si scappa. In scena si va quando si è pronti, e loro lo saranno. Altrimenti, che senso ha tutta questa fatica?


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