Quest’anno ho due laboratori di teatro. Che
cosa propongo per il secondo? Devo andare in scena ai primi di marzo 2018, una
cosa breve. Mi torna voglia di Cappuccetto Rosso. L’ho già allestito anni fa
per la scuola materna, tutto messo in metrica e rima, con il bosco animato e un
lupo che viene curato dal dottore. Poi nel 2014 ho fatto un “Cappuccetto Lupo”
ambientalista, con i veri cattivi uccisori di animali selvatici e distruttori
di foreste. Ora voglio qualcosa di più profondo. Ricerche in internet e due
libri mi aprono nuovi scenari. “Bambine nel bosco” di Susanna Borsotti e
soprattutto “L’ago e la spilla” di Yvonne Verdier.
La fiaba si sposta nel campo delle
fabulazioni popolari. Non tratta più dell’incontro tra una bambina e un lupo,
ma delle dinamiche familiari intergenerazionali. Ecco il titolo, tre donne e un
lupo. La mamma comanda la bambina, che però sta crescendo e si appresta a
diventare a sua volta mamma. A questo punto, la mamma deve prendere il posto
della nonna, che deve quindi scomparire. È la ruota della vita: i vecchi devono
farsi da parte (anche non volontariamente: ci pensa la morte) e i giovani si
assumono le responsabilità della conduzione di un gruppo (familiare o sociale).
Il lupo, di conseguenza, rappresenta la
morte e quello che fa lo fa secondo natura, come si narra in uno dei racconti:
il lupo fa la sua parte come è tenuto a fare.
Chi sfugge alla morte e alle insidie della
vita? La bambina, che è astuta (con buona pace di Perrault che voleva mettere
in guardia le fanciulle ingenue o imprudenti).
Le storie della tradizione orale raccolte
alla fine del secolo XIX in Francia e nel Tirolo fanno riferimento alla
trasmissione sapienziale. Il lupo domanda: prendi il sentiero degli aghi o
degli spilli? Verdier ci informa che a quindici anni le ragazze erano mandate
per un inverno da una sarta che insegnava non solo a cucire, ma a comportarsi
da donne adulte. Spilli e aghi, inoltre, richiamano l’idea di sangue. In questo
caso di sangue mestruale: la bambina deve affrontare un percorso di iniziazione.
L’incontro con il lupo e le vicende successive sono quindi un rito di
passaggio: dall’infanzia all’età adulta.
La trama si fa più complessa, rispetto alle
fiabe conosciute da tutti. Per non parlare della banalizzazione dell’industria
Disney che sforna stereotipi uno dopo l’altro.
Il lupo mangia la nonna, ma ne raccoglie il
sangue in una bottiglia e ne tiene da parte pezzi di carne. Offre il “vino”
alla bambina e le serve la carne cotta. Il cannibalismo di Cappuccetto Rosso rientra
in questo quadro di iniziazione: solo
divorando la nonna può assumere il ruolo di madre.
Seguono poi implicazioni sessuali che nelle
fiabe best-seller non compaiono. Il lupo-nonna comanda alla bambina di
spogliarsi e di entrare nel letto. La bambina, tuttavia, sembra intuire che
cosa l’aspetta e con furbizia evita la violenza. Chiede e ottiene di assentarsi
per un bisognino. Si cala giù nella stalla… e qui ci sono diverse versioni.
Scappa inseguita dal lupo, ma le lavandaie del fiume Giordano aiutano lei e
affogano il lupo: dopo l’avvenuta iniziazione, la bambina è riaccolta in
società.
Una società tutta di donne che con i
racconti antichi trasmettono i valori.
Il lupo, con un taglio psicanalitico,
rappresenta certo il maschio forte e prevaricatore che può essere controllato
con l’astuzia. L’altro maschio, il cacciatore, è un’aggiunta dei fratelli
Grimm, effettuata per onorare i criteri moralistici e ottimistici dell’era
Vittoriana.
Bisogna tenere conto anche di una fiaba
italiana di origine abruzzese, “La finta nonna”. La trovate nella raccolta di
Italo Calvino. Qui, oltre al fiume Giordano, c’è la Porta Rastrello. Invece del
lupo c’è un’Orca. Per la precisione, un’Orca pelosa.
Insomma, Cappuccetto Rosso affronta e
supera una prova importante che le consente di crescere. Verdier si chiede, a
un certo punto, se non sia lei il vero mostro della storia, dato che anche lei
divora la nonna.
Ma che cosa rappresenta il lupo? La natura
selvaggia e pericolosa? L’inconscio freudiano? Tutto ciò che si pone al di
fuori della società? Il maschio predatore?...
Innumerevoli possono essere le risposte.
Eccoci dunque qua: otto attrici dai nove
agli undici anni e due attori di undici. Si fa per dire. Attori da costruire.
Sono debuttanti. Non c’è un copione. Scrivo una cartella di battute per dare il
via alla storia. Il lupo fa entrare le bambine. Disordinate e scatenate,
vengono fermate e invitate a rientrare: il maschio che limita e disciplina
l’energia femminile. Il lupo si presenta: “Io sono il capofamiglia. Il
presidente. Il dirigente. Io sono l’uomo. Il maschio. Io sono il lupo. Il
mostro. E voi siete spaventate.”
Non ottiene però l’effetto desiderato. Le
ragazze non intendono sottomettersi al suo potere. Le risposte sono spiazzanti:
“Uh, come siamo spaventate… Quando si fa l’intervallo?... Scusa, Lupo, dov’è il
bagno?... Ragazze, sarà pure un presidente, ma non sa organizzare.” E così via.
Il lupo entra in crisi. Soprattutto quando
le bambine gli annunciano la sua fine: “Cacciatore, fucile, mira, grilletto,
pum! Tu morto.”
Esasperato, le insulta: “Stupide bambine
fuori di testa!”
Ma le risposte sono una rivendicazione di
dignità e di forza: “Non siamo stupide bambine… Siamo donne forti.”
Ecco, questo è l’inizio.
Ma come si sviluppa? Di preciso, non lo so.
Per la prima volta mi affido alle improvvisazioni e al dibattito. Di volta in
volta, sfrutto gli spunti emersi per avviare, in un mix di registri, la
visualizzazione delle storie e gli approfondimenti.
Accolgo quindi l’inatteso in tutte le sue
forme. La prima sorpresa viene dalla richiesta di inserimento di un altro
attore, con il quale ho già lavorato. Ero felice per la compattezza del cast:
otto “donne” e un “uomo”, che è il lupo. Devo rivedere la struttura. Che cosa
faccio fare all’ultimo arrivato? Voglio evitare di mettere in scena il
cacciatore. Non resta che Cappuccetto Rosso. Gli infilo la mantellina con
cappuccio acquistata su Amazon e gli domando: te la senti di fare Cappuccetto?
Certo. La questione viene girata alle otto donne. Si stupiscono: Cappuccetto
Rosso è femmina! Si consultano. Intanto, faccio invocare all’interprete la
parità di diritti contro la discriminazione di genere. Accettato. E funziona.
La seconda sorpresa? Un altro attore. Eh,
va bene… ma poi basta. Che cosa gli faccio fare? Il cacciatore. Lascio comunque
la scelta ai due nuovi arrivati. Va bene così: un Cappuccetto alto e
chiaramente maschio e un cacciatore piccolo (quarta elementare) e di sicuro non
violento.
Possiamo andare avanti?
Ecco come. Il lupo invita Cappuccetto a
leggere il finale della fiaba di Perrault, morale compresa. Ma Cappuccetto non
vuole certo morire. Fa leggere da una narratrice la versione dell’oralità
Nivernese, il “Racconto della nonna” (tratto da Y. Verdier, L’ago e la spilla,
EDB).
Il gruppo recita le battute dei dialoghi e
mima. Che cosa succede? Che Cappuccetto beffa il lupo e si rifugia nella
casa-famiglia.
Bene, ci sono cose da affrontare. I
sentieri degli aghi e degli spilli e soprattutto il cannibalismo di Cappuccetto
che beve, a sua insaputa, il sangue della nonna e ne mangia la carne cotta dal
lupo.
Brividi.
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