Il riccio sa attendere il crepuscolo
quando la vita è meno densa, ma io che vivo il giorno
mi tormenta il chiasso dei vicini
imprecano parole di semantica vile
i protagonisti, nuovi barbari
corrono il mondo depredando la bellezza -
e noi? che di poesia bisbigliamo
alle bacche dell’ilex imporporate
di pudore offeso? destinati a soccombere? e non ci sono eroi
relegati in un passato di dei -
e noi?
che altro se non poesia?
declamiamola agli dei e
deploriamo insieme a loro.
Sotto l’aspidistria il riccio ore diciannove e
trenta gli porto cibo divora tutto ha i piccoli?
ciambella pesca pasta crocchette per gatti
ore diciannove e trenta
quattro ascolto mahler sinfonia uno
sotto l’aspidistria un nido di seccume
fitto i piccoli l’anno scorso mangiavano
dalle mie mani poi l’esca per lumache
li ha uccisi dio cattivo io
diciannove ore e trenta
sette un piccione tuba cielo di nuvole
rotte oggi piovasco domani passeggiata
lungo il Ticino il coniglio
lo sguardo fisso altrove
mi lasciò fare ancora tre passi
prima di scappare per sempre.
Non ha misura la zucchina d’Albenga
cui ho predisposto una rete edile elettrosaldata
di tutta comodità
l’ha soverchiata lanciando tralci aitanti
oltre la recinzione serpenti
che figliano serpi attorte di pelle liscia
gialla e verdina
un dono non voluto ai vicini
che nemmeno ci sono: la casa
è invenduta, l’erba irta alta e
il piracanta farnetica contro il cielo.
Sul tetto
della villa invenduta tuba
e il modesto ululato non pare
ciancia di fine giornata
questa uu di crepuscolo è un allarme
dolente alla notte: arriva
il buuuio, e altro non sa dire che:
il buuio, il buuio -
ma non è cosa da poco,
per un piccione ritenuto stupido
da chi al buio non pensa,
e muore cieco.
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