GianPaolo Cisotto
TRADATE-RESCALDINA
SOLO ANDATA
(articolo pubblicato su "La Concordia", mensile parrocchiale di Tradate)
Per compiere questo percorso in treno bisogna andare fino a
Saronno e prendere poi quello per Novara: oggi come nel 1944, solo che i nostri
protagonisti hanno usato altri mezzi. Nel titolo si parla di “solo andata” non
perché il ritorno avvenne in altro modo, ma perché là finì la loro breve vita:
si sta parlando quindi o di partigiani o di aderenti al partito Fascista. Le
prossime celebrazioni del 25 Aprile fanno propendere per la prima opzione. Ai
nostri tre protagonisti sono state intitolate altrettante vie di Tradate (due
in zona Ceppine e una ad Abbiate) in seguito alle vicende narrate qui, e che
una parte dei lettori conoscerà già.
A Tradate la presenza di esponenti della Repubblica di Salò
era marcata in quanto il castello Stroppa (in quel periodo di proprietà
comunale) dal 1 dicembre 1943 era stato requisito per alloggiarvi i
Paracadutisti, con l’intento di riunificare i vari reparti di questa
specialità, che utilizzavano l’aeroporto di Venegono per i loro lanci
addestrativi. Reparti di alleati tedeschi
si trovavano in altri edifici
della cittadina, del resto la pulizia etnica perpetrata a scapito degli Ebrei
non sarebbe stata possibile senza di loro. Era inevitabile quindi che i
partigiani cercassero di contrastarli e trovare persone adatte a questo compito
non era certamente facile: il gruppo che si formò, non limitato ai tre presi in
considerazione, era composto da tradatesi e immigrati. I comandi partigiani della
brigata “Marcobi”stabilirono di compiere un atto di sabotaggio, non è ben
chiaro quale fosse l’obbiettivo, e da Tradate partirono i sei che dovevano
raggiungere Rescaldina, che forse non era la meta finale, perché non c’erano
particolari punti sensibili, a meno che si trattasse di un convoglio
ferroviario. Il giorno prescelto fu giovedì 14 dicembre, di buon mattino i sei
partirono armati il minimo indispensabile, a loro disposizione mezzi di
trasporto veramente minimi, ovvero biciclette, si presume; scelsero di
attraversare i boschi seguendo il corso del torrente Fontanile e in alcuni
tratti avrebbero potuto sfruttare il suo letto in quanto asciutto in dicembre.
Pur attraversando una zona boschiva dovettero comunque stare all’erta perché in
quegli anni gli alberi erano stati per la maggior parte abbattuti in quanto
servivano come combustibile, lo si nota dalle fotografie aeree scattate dalla
RAF e dalla cartografia preparata dall’esercito degli USA in scala 1:50000,
entrambi risalenti proprio al 1944. Non si sa con quanta esperienza il gruppo
affrontò l’impresa inserita in quella che è stata considerata una guerra civile.
Dei sei partigiani seguiamo le vicende di
Aquilino Bresolin in quanto la sorella Gina ci ha lasciato testimonianze
dirette raccolte dal nipote del partigiano, anche lui col medesimo nome: costui
ha poi scritto un testo teatrale che ha ricevuto il premio <>. La famiglia Bresolin era originaria di Riese in
provincia di Treviso, è il paese dove nacque Giuseppe Sarto divenuto papa nel
1903 col nome di Pio X. Nonostante ciò il paese non offriva molte occasioni di
lavoro per cui il capofamiglia decise di trasferirsi con alcuni famigliari in
Libia, dove il regime prometteva grandi cose, ma non fu così. Dovettero quindi
tornare in Italia e si stabilirono a Camerlata di Como dove c’era un fratello
del padre e la famiglia si ricompose, ma lasciarono anche questa città e
approdare infine a Tradate. Gina trovò
lavoro nella tessitura Castellanza & Borri (erede della Lonati spa), ma
soprattutto fu a servizio dai Crosti,
tra i maggiori possidenti terrieri, per i quali lavorarono le terre in
Vignalunga il padre e il fratello maggiore. In modo più o meno convinto i
Crosti avevano contatti con il regime e Gina incontrava alcuni loro esponenti
durante le feste di ballo che si svolgevano nel palazzo di fianco alla
parrocchiale, organizzate dai proprietari, Giuseppe Crosti, detto Peppino,
grande appassionato di caccia (concluderà la sua vita terrena nel 1945) e la
moglie Brunelli (si risposerà qualche anno dopo). Qui di seguito alcuni brani del testo teatrale.
GINA Io non mi faccio vedere che
ho paura. I lavori li porto avanti lo stesso e la signora non si lamenta.
Anzi, mi dice che sono brava e che è contenta di avermi preso. Io tengo la
testa bassa e dico grazie, ma la voce mi esce appena. Mi mette in soggezione,
la signora. È sempre elegante e sa parlare con tutti, con i contadini e con i
fascisti che invita alle feste. I fascisti stanno su al castello, ma vengono
qui quasi tutti i giorni. Alla sera ballano. Quando ballano, la signora vuole
che mi fermo a servire la cena e a pulire in cucina.
MADRE Là, sola, in mezzo a tutti i fascistoni.
Ma che cosa poso fare? A noialtri tocca sempre abbassare la testa, sempre.
GINA Torno a casa che ormai è buio
e…
MADRE Corri, se te hai paura, corri!
GINA Sì che ho paura! I fascisti
bevono e qualche volta ci sono anche i tedeschi. Mi guardano in un modo… Mi
viene addosso un freddo... Allora scappo in cucina.
E se mi vengono
dietro? Che cosa faccio, io? Come faccio a dire a un fascista di lasciarmi
stare? Peggio ancora a un tedesco. Nemmeno mi capisce, quello. E i tedeschi
lo sanno tutti che non puoi mica dirgli di no. Sono capaci di ammazzarti,
loro, se gli dici di no.
Per fortuna la mia
casa è vicina. Appena dietro la chiesa.
Corro lungo il muro della chiesa e mi sento protetta dalla Madonna e
dai santi. Entro nella corte, sento i versi dei tacchini e delle vacche e mi
sento meglio. In casa c’è il papà che beve il vino. I fratelli più piccoli
dormono già. Tu, mamma, non sei ancora tornata. Appena fa scuro vai su nei
boschi. Io non lo so come fai a fare la strada al buio, che se ti vedono ti
portano in prigione.
MADRE Bisogna pure che qualcuno pensi a
chi si nasconde. Dormono sotto le frasche, o in qualche capanno. Qualcun bisogna
che porti loro da mangiare.
GINA C’è anche suo figlio, con i
partigiani. Il più piccolo, di due anni minore di me. Il più bello di tutti i
fratelli. Ha i capelli lunghi e se li tiene pettinati indietro. Io gli dico
che sembra un leone. Qualche volta lo incontro mentre vado in villa. Lui se
ne sta lì, appoggiato al muro.
Aspetta che qualcuno gli dia un
lavoro. E magari invece dopo se ne va chissà dove a mettere una bomba insieme
ai suoi compagni. Io lo so che prima o poi… che prima o poi… perché lui non
ha mai paura di niente. Gli dico: basta, la guerra è quasi finita, devi
smetterla, se no prima o poi ti prendono e allora… e allora lo ammazzano. Ma
lui ride e dice che i fascisti sono troppo stupidi per prenderlo.
MADRE E’ questa la paura più grande. Di
perdere i figli. Peggio che morire, quando a morire è un figliolo.
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Invece il 14 dicembre 1944
capitò:
GINA Sono solo sogni, mamma. Torna
a dormire.
Ma io ho un brutto
presentimento. I sogni non sono mai solo sogni. Vado a lavorare in villa che
non ci sto con la testa. Ombre sui pensieri. Il respiro che manca. La signora
mi osserva e sospira. Pensa che sono innamorata e sorride. Dei partigiani non
vuole nemmeno sentirne parlare.
Pulisco l’argenteria. La signora si
fida solo di me. Solo io la pulisco come piace a lei.
Si avvicina un
fascista, è giovedì 14 dicembre.
È un ragazzo che
ogni tanto mi guarda e io so che ha una simpatia. Ho vent’anni, ormai sono
una donna. Già in tanti mi dicono che sono bella. A me non interessa. Penso
solo a lavorare, io. Non voglio morosi. Ce l’ho già il moroso. Anche se
quando penso a lui mi viene da disperarmi.
VOCE Se vuoi vedere tuo fratello,
va’ a Rescaldina.
GINA Ma che cosa vuole? Quale mio
fratello? I miei fratelli sono nei campi o in fabbrica. Che cosa ne sa lui
dei miei fratelli? Continuo a pulire senza guardarlo in faccia.
VOCE
Lo vuoi vedere, tuo
fratello? Va’ a Rescaldina!
GINA Io ho già capito. Ma certe
cose si capiscono senza volerle capire. Io so già che cosa trovo, a
Rescaldina. Una voce dentro di me grida e un’altra le sussurra: sta’ zitta,
sta’ zitta, sta’ zitta. La voce che grida mi dice la verità, ma l’altra non
la vuole sentire. Non riesco più a muovermi, non riesco nemmeno a parlare.
VOCE Corri, stupida!
GINA Me lo
dice di nascosto dagli altri. Ha simpatia per me, lo so. Mi viene come un
buio davanti agli
occhi. Con una scusa esco fuori nel giardino e riprendo a respirare. Oh,
mamma, mamma!
Omissis
GINA Corro via sulla bicicletta
che sembro un vento di tempesta. Va’ giù per Gorla, ha detto Carlo. E dopo
chiedi a un paesano. E quando arrivo e domando a due donne se sanno qualcosa
dei giovani di Tradate una mi fa: là,
al cimitero.
Là, al cimitero,
di Rescaldina.
Me lo dice
astiosa, con due occhi duri e cattivi.
Là, al cimitero.
Me lo dice come se
fosse contenta di mandarmi là, al cimitero.
Corro lungo il
viale del cimitero. La ghiaia scricchiola. Scivolo. Cado. Mi tiro su con la
voglia di piangere, ma non piango. Una donna si alza dalla tomba dove pregava
e mi fa un segno… là, devo andare là?… e poi abbassa gli occhi e scappa via.
Mi guardo intorno.
Ci sono solo io. Sono qua, tutta sola. Oh, mamma, mamma.
C’è buio, nella
cappella mortuaria.
Ma i miei occhi
vedono con il cuore. Lui è lì. Cado in ginocchio. Lui è qui, sotto le mie
mani e sotto le mie lacrime. Vorrei morire come è morto lui, perché forse
così ci incontriamo ancora e scoppiamo tutti e due a ridere e lui mi dice: bello scherzo che ti ho combinato!
Guarda quanto
sangue.
Che cosa gli hanno
fatto, i maledetti? Che cosa gli hanno fatto? Me l’hanno ammazzato, me
l’hanno ammazzato per sempre.
VOCE Va’ via. Hanno chiamato i
fascisti.
GINA E lui? Qui da solo? Chi gli
tiene la mano?
VOCE Stanotte il prete se lo porta
in parrocchia. Adesso scappa che i fascisti vengono a prendere anche te.
GINA E lui lo lascio qui? Con i
capelli sporchi di sangue? Ma prima gli chiudo gli occhi. Non deve più
vedere. Ci sono anche i suoi amici. Uno lì, l’altro là. Buttati sul pavimento
come roba vecchia che non serve più. Non deve vedere che li hanno ammazzati
tutti.
Omissis
GINA Pedalo e piango e grido e
maledico. E quando rientro in villa mi asciugo le lacrime e la signora mi
chiede: Gina, ma dov’eri finita? Il
fascista mi guarda forse con pietà, ma io gli caverei gli occhi. Quando torno
a casa, non dico niente a nessuno. Non ho il coraggio di dirlo alla mamma. Mi
tengo dentro la morte. Di notte sento sparare e gridare, ma è solo un sogno.
Un altro brutto sogno. Il brutto sogno di lui e degli altri partigiani della
brigata Marcobi. Traditi da un compagno anima nera. Sorpresi in un bar dai
fascisti e dai tedeschi. Ammazzati tutti.
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I sei
partigiani partiti da Tradate quella mattina del 14 dicembre 1944 si erano
fermati in una osteria situata tra la ferrovia e il centro di Rescaldina in
attesa di compiere l’azione, oppure il traditore aveva scelto quel luogo che
riteneva più adatto all’imboscata. Ernesto Restelli nel suo libro “Tradate,
profilo storico” così descrive l’evento: <>. Aquilino
aveva 18 anni, Ferdinando 23 e Carlo 19.
L’osteria
dell’eccidio, in via Matteotti 85, non esiste più, però è stata posta una
lapide a cura dell’ANPI e con il contributo dei comuni di Tradate e Rescaldina
il 3 febbraio 1946.
Dida foto
1 –
Aquilino Bresolin
2 mappa
Tradate – I principali luoghi di Tradate correlati alle vicende narrate.
3 –
Cortile dove hanno abitato i Bresolin.
4 –
Rescaldina, via Matteotti oggi.
5 –
Particolare della lapide posta sul luogo dell’eccidio.
1 commento:
Buongiorno. Ho letto con attenzione il suo articolo. Io sono di Rescaldina e sull'argomento ho scritto un racconto, poi diventato uno spettacolo teatrale che qualche anno fa abbiamo portato un pò in giro tra alto milanese e basso varesotto (ma mai a Tradate), dal titolo "14 dicembre San Venanzio". Se mai ce ne fosse occasione e se interessato, glielo farei leggere con piacere. Grazie dell'attenzione. Mauro Scotti
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