Il gruppo è composto da
quattordici ragazzi dai dieci ai tredici anni. Dato che il carico di lavoro
deve essere sempre equilibrato (non ci sono protagonisti), risulterebbe
impossibile una distribuzione fedele al testo delle parti, comprese quelle minori.
Le ragazze sono solo sei, e formano il coro, il tiaso delle baccanti. Per
fortuna l’idea base della messa in scena richiede un secondo “coro” che sia l’interfaccia
per il pubblico. Devo creare cioè un filtro per mediare il testo euripideo in
modo che l’azione sia sviluppata per sequenze intervallate dagli interventi dei
“narratori”.
Quattro ragazzi se ne stanno
quindi su un lato del palcoscenico e commentano, spiegano, guidano le emozioni
del pubblico, rendendo più chiaro e comprensibile l’allestimento agli stessi
interpreti. Ma chi sono questi quattro coristi? Essi sono pubblico, dato che
assistono alla rappresentazione. Ma un pubblico preparato, che va a teatro con
un bagaglio culturale. Un pubblico attivo, che non solo si emoziona, ma valuta
e giudica. Ma… il pubblico del Quinto secolo a.C. o il contemporaneo? Senza
dubbio il contemporaneo, un pubblico che non solo è attivo, ma entra nella
scena, ne determina il ritmo. Addirittura, interferisce. Dal ruolo iniziale di
osservatori, i quattro nel finale si affiancano alle Baccanti e tentano di
fermare Agave. Impresa impossibile. La necessità porta ogni cosa a compimento:
Penteo deve morire.
Questa coro inconsueto di
ragazzini a volte petulanti che battibeccano tra di loro, forma anche l’orchestra:
due djembe, una chitarra, uno xilofono, un gong, un flauto. Ecco che la loro
partecipazione è non solo intellettuale ed emotiva, ma anche fisica, affidata
al ritmo che impongono alla scena.
Le sei ragazze delle Baccanti non
hanno individualità. Il tiaso è compatto e la sua volontà assorbe quella di ognuna
di loro. Ho leggermente spinto, con l’aggiunta di qualche battuta, verso l’interpretazione
della baccante-ribelle, sia perché la questione donna è ancora drammaticamente attuale
sia per rispettare il dato storico della condizione femminile nell’Atene di
Euripide. Ma più che sul testo esse agiscono sul ritmo. La musica le guida in
brevi coreografie che loro stesse hanno ideato e i cori sono simili a
filastrocche scandite.
Gli altri quattro ragazzi
interpretano Dioniso, Penteo, Cadmo (e la prima guardia), Tiresia (e la seconda
guardia). Le guardie assorbono in sé i ruoli di servo-messaggero.
Dioniso. I ragazzi non sono
attori, non posso lavorare sull’interiorizzazione di un personaggio per
tentarne l’immedesimazione. E nemmeno mi interessa. Ci si muove su margini di
definizione semplificati, cercando più l’efficacia che la sottigliezza. Per
interpretare Dioniso ci siamo affidati alla definizione che lui stesso dà di
sé: un dio dolcissimo e terribile. Due voci, due atteggiamenti; la voce
suadente, che si fa anche canto, perfino melensa, quasi disumana, del seduttore;
e quella secca, dura, del terremoto e della morte.
Penteo non assume uno spicco
particolare. La necessaria riduzione del testo e l’impossibilità di farne
interpretazioni complesse hanno spinto verso una scelta corale, di atmosfere,
di emozioni affidate più al movimento e ai colori che alle parole. Di lui che
cosa emerge? La misoginia conflittuale, odio e attrazione morbosa per le donne;
il senso fragile di onnipotenza; l’impotenza di fronte allo scatenarsi di forze
incontrollabili e devastanti; la mano che tende verso il viso di Agave, prima
di essere fatto a pezzi, nel momento in cui il coro di narratori non dice più “madre”,
ma “mamma”, una mamma che uccide.
Cadmo e Tiresia viaggiano in
coppia, come anche le due guardie. Personaggi qui secondari, affiancano il coro
maschile nel rendere più comprensibili gli avvenimenti e nell’approfondirli.
Sono anche loro narratori con il compito di veicolare ciò che non può essere
visto, ciò che è lontano, ciò che è al di là delle leggi naturali, ciò che è
mistero e limite della razionalità.
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