lunedì 6 novembre 2017

LA SCRITTURA È UN'ALTRA VITA

Quando domandate a uno scrittore, soprattutto se debuttante o fortunosamente baciato dalla fortuna fin dalla sua prima pubblicazione: “Che cos’è la scrittura per te?”… facile che vi risponda: “È la mia vita.” E i più facondi aggiungono: è tutto, senza scrivere non potrei vivere, la vita non avrebbe senso. E altre amenità simili.

Alla stessa domanda quanti danno la medesima risposta? Prendiamo in considerazione solo quelli animati da una forte passione. La lista è lunga: l’imprenditore, l’insegnante, l’infermiera, il politico, il pittore, la ballerina, il cantante… Potete fare le vostre aggiunte.
La scrittura, come senso della vita, non si differenzia dall’erigere palazzi o dal presenziare a riunioni di partito o dal partecipare a festival canori.
Ognuno di questi protagonisti cerca con affanno una distinzione che confermi la sua scelta “di vita”. Proprio come andare alla ricerca di un blasone. Nella vita di tutti i giorni scrivere non contempla solo un’inventiva esasperata e aristocratica, ma anche una documentazione prosastica, un logorio mentale da travet, una commercializzazione della genialità mediante contatti a volte conflittuali con le case editrici, incontri con i lettori a volte frustranti, stesura di sinossi e presentazioni da bandella, rancori con il fisco… La scrittura è costruita non solo con la digitazione alla tastiera, ma con una serie di attività che richiedono pazienza, sopportazione, costanza… in netta contrapposizione con la purezza dell’atto creativo.

Se la scrittura si identificasse davvero con la vita, quanti momenti “plebei” presenterebbe!
Quando gli scrittori si confessano al pubblico ristretto delle presentazioni in biblioteca, raccontano di sé cose accattivanti e tacciono le miserie che farebbero della letteratura un emporio di cose fuori moda.
Molti nascondono l’ambizione, offrendo di sé un’immagine sofferta di missionari della parola. Altri la manifestano in modo sfacciato, perché l’ambizione è il viagra delle persone con attributi e senso di responsabilità verso sé stessi.
Se l’editore adotta una strategia on demand (stampa solo su ordinazione), oppure richiede l’acquisto di una cinquantina di copie, è meglio non farlo sapere. Se il testo (in origine piuttosto acciaccato), è stato risanato dall’intervento massiccio di un editor, non lo si dice. Se il libro è frutto di un’intesa redazionale che insegue la moda del momento, lo si taccia.
La pubblicazione dà per certa l’assunzione dello status di scrittore. Come chi spiaccica colori su una tela si autodefinisce pittore. Come chi viene sbattuto su un palcoscenico per mancanza di altre opzioni si sente subito attore.
L’apprendimento di un’arte appartiene al passato. Ora si è quello che si vuole diventare. E alla risposta: che cos’è per te…? il soggetto risponde spavaldo: la mia vita!

C’è un altro tipo di scrittore. Quello vero.
Sì, sì, anche per lui la scrittura è tutta la vita… per quanto nella vita ci siano altre cose desiderabili, forse. In realtà, se la scrittura fosse la sua vita, dovrebbe mettere in conto l’ambizione sfrenata, la frequentazione dei salotti letterari, la partecipazione ai premi letterari, la frenesia di una apparizione televisiva, e infine il delirio di un best-seller.
Ma per questo scrittore l’arte della prosa e della poesia non è vita, è non vita.
Si rende conto che i medesimi processi politici e sociali che hanno portato alla divisione in classi, all’inquinamento, alla guerra, alla sottomissione delle masse… sono presenti nell’ambiente artistico.
D’altronde, il comportamento umano non cambia nemmeno di fronte a un quadro di Leonardo. È sempre predatorio e opportunista. Oltre che bugiardo.

Questo scrittore scrive per insoddisfazione. È deluso dalla vita, ne cerca un’altra. Non può fare l’astronauta e andarsene su Marte. Non può entrare in chiesa in cerca di consolazione, non crede in dio. Non può accontentarsi dei premi, li danno a cani e porci. Non gli interessa diventare famoso, si troverebbe in cattiva compagnia. Non vuole nemmeno diventare molto ricco, i soldi sono un peso. E la fama eterna? Sì, quella ha un certo senso, perché rappresenta comunque una fuga dalla realtà. Ama pensare che i propri lettori non siano qui e ora, ma altrove e nel futuro.
Se la vita attuale non dà soddisfazioni, perché non immaginarne un’altra?
Ecco che cosa fa questo scrittore. Non fugge da sé stesso. La nuova vita è solo una modalità virtuale di manovrare persone e fatti, di manipolare i luoghi e il tempo, di inventare l’impossibile, di specchiarsi nell’irrazionale, di diventare un dio che racconta la propria creazione.
Tutto qui il senso della sua scrittura.

Giocare a fare dio non è scevro da pericoli.
Pagina dopo pagina, la vita perde sempre più le sue attrattive. Si avvia verso un autunno privo di colori, e un inverno di suicidi.
La scrittura è l’unico rifugio di un’anima malata. Sempre più incapace di relazioni. Che non comprende il fascino del viaggio, perché ogni luogo è nella mente. Non apprezza un’opera d’arte se non quella che ha eletto a alter-ego. Non valuta più di tanto la sensibilità altrui, perché trabocca della propria. Addirittura, prova fastidio se il discorso naviga verso le isole delle sue opere presenti e future: sono isole di un altro oceano, che non risulta sul mappamondo.
Non gli interessano gli interventi critici e nemmeno gli apprezzamenti e tantomeno le stroncature: l’unico giudizio valido è il suo.
Ma non dà nemmeno giudizi. Scrive e prima ancora di finire un’opera rimescola nella mente e nel cuore gli ingredienti per la prossima.
Il suo compito non è soffermarsi su un mondo che ha creato, ma produrne altri, senza sosta. In questo caso sì che si può dire che ogni pagina è un respiro e che la scrittura è la sua vita.
Ma non questa. Un’altra.
Nella quale nemmeno i lettori possono entrare.



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