martedì 15 luglio 2008

BRICCONIA - IMPRONTE


Quando sfondano la porta e me li trovo davanti, inarco le sopracciglia e rimango in attesa che mi spieghino il motivo di un’irruzione così poco civile.
“Tu sei una m…!” gridano. Io replico che forse si sbagliano, perché ho un nome e un cognome e una storia di vita documentata che mi qualifica come essere umano prima e cittadino poi.
“Non dire c…! Tu sei una m…!” insistono picchiandomi un poco. A questo punto, non ho più niente da dire. Mi spiegano urlando che i miei diritti sono tutelati, anche se non ne possiedo più, essendo una m… Loro urlano e agiscono secondo la legge che hanno modificato per adattarla alle m… come me.
“Tu sei una m… e ora te lo dimostriamo!”
Quando c’è la volontà di dimostrare una teoria con i fatti, la democrazia è ancora salva. Mi prelevano le impronte digitali. Quelle vocali. Dell’iride. Poi il dna. Mi scattano cinquantasette fotografie. Mi filmano mentre cammino, saltello, canto e declamo alcune poesie e anche mentre recito un monologo di Shakespeare. Mi fanno depositare saliva, lacrime, sudore, orina, feci e sperma. Mi costringono a scrivere dodici confessioni diverse, molto fantasiose. Mi fanno dire cose strane e ambigue, tipo: Mia madre sarebbe ancora sulla strada se io non l’avessi messa incinta per partorirmi in un bordello frequentato dagli immigrati.
I risultati delle analisi arrivano dopo appena dodici minuti.
“Abbiamo le prove! Sei davvero una m…!”
Tutto scientifico, tutto democratico.
Non mi portano nemmeno via, mi eliminano dove mi trovo, seduto davanti al computer, pam! pam! pam! (o pum? troppo tempo che non leggo più fumetti), la testa crolla sulla tastiera, sullo schermo appare una lettera: m? No, è l (ho la vista appannata).
Forse sono già morto, ma la testa è scossa dagli ultimi sussulti e sullo schermo scorgo altre due lettere: i, b.
Poi basta, smetto di esserci.

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