La settimana scorsa ero scoraggiato. Mancanza di memorizzazione, perdita di energia, distrazione, scarso convincimento… Oggi provo con il gruppo dell’Arlechin, mentre Marina aiuta il gruppo A a mandare a memoria le parti. Nel frattempo, approfittando della chiusura della scuola, Gianna stende sul pavimento il fondale; ritaglia nel cartoncino le sagome di porta e finestre della locanda e traccia i contorni sulla tela. La settimana prossima, con la collaborazione di Annamaria, comincia a stendere il colore.
Provo e va tutto bene. Non solo i più recalcitranti hanno studiato (devo ringraziare gli interventi preziosi delle mamme e dei miei due aiutoregisti, Lorenzo ed Elio), ma il gruppo comincia finalmente a capire che cos’è l’interazione e soprattutto si diverte a fare teatro. Bravi, ragazzi!
Beh, i problemi da affrontare sono tanti: la divisione in due gruppi con la conseguente frammentazione del lavoro e la perdita di concentrazione, la dimestichezza sempre più scarsa con la memorizzazione, l’inadeguatezza psicomotoria e quindi la disarmonia dei movimenti, la pratica ormai scomparsa della gestualità, gli imbarazzi tipici del preadolescente riguardo al proprio corpo e alla cooperazione con persone di sesso diverso, l’inespressività del parlato…
Oggi ho visto che qualcosa prende forma.
Lo spazio non intimidisce più; si comincia a utilizzarlo in tutte le sue potenzialità. Il corpo comincia a sciogliersi, si esplorano i gesti. La voce si fa più sicura e coerente con ciò che vuole esprimere la parola. C’è più voglia di giocare senza timori e senza vergogna.
Fare teatro è modellare un blocco amorfo di creta per farne un oggetto bello ed emozionante.
Non rimane molto tempo e so comunque che a maggio saremo pronti, ma pronti per modo di dire. Ci vorrebbero due anni (con un ritmo settimanale spesso interrotto da vacanze e impegni vari: una quarantina di ore in tutto per mettere su un palcoscenico quindici “passeri” in un’opera complessa e ambiziosa) per una messa in scena davvero rifinita. Ma siamo passeri e i passeri, si sa, sono impulsivi e vogliono tutto subito, altrimenti volano via da un’altra parte.
Provo e va tutto bene. Non solo i più recalcitranti hanno studiato (devo ringraziare gli interventi preziosi delle mamme e dei miei due aiutoregisti, Lorenzo ed Elio), ma il gruppo comincia finalmente a capire che cos’è l’interazione e soprattutto si diverte a fare teatro. Bravi, ragazzi!
Beh, i problemi da affrontare sono tanti: la divisione in due gruppi con la conseguente frammentazione del lavoro e la perdita di concentrazione, la dimestichezza sempre più scarsa con la memorizzazione, l’inadeguatezza psicomotoria e quindi la disarmonia dei movimenti, la pratica ormai scomparsa della gestualità, gli imbarazzi tipici del preadolescente riguardo al proprio corpo e alla cooperazione con persone di sesso diverso, l’inespressività del parlato…
Oggi ho visto che qualcosa prende forma.
Lo spazio non intimidisce più; si comincia a utilizzarlo in tutte le sue potenzialità. Il corpo comincia a sciogliersi, si esplorano i gesti. La voce si fa più sicura e coerente con ciò che vuole esprimere la parola. C’è più voglia di giocare senza timori e senza vergogna.
Fare teatro è modellare un blocco amorfo di creta per farne un oggetto bello ed emozionante.
Non rimane molto tempo e so comunque che a maggio saremo pronti, ma pronti per modo di dire. Ci vorrebbero due anni (con un ritmo settimanale spesso interrotto da vacanze e impegni vari: una quarantina di ore in tutto per mettere su un palcoscenico quindici “passeri” in un’opera complessa e ambiziosa) per una messa in scena davvero rifinita. Ma siamo passeri e i passeri, si sa, sono impulsivi e vogliono tutto subito, altrimenti volano via da un’altra parte.
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