Il “Teatro dei passeri” apre ogni spettacolo con la parata degli attori. Essi accedono al palcoscenico dal fondo della sala, quasi fossero ancora i girovaghi del carro di Tespi. L’entrata è gioiosa e ognuno presenta il proprio personaggio con frizzi e lazzi, ma soprattutto accennando alle interrelazioni ancora confuse e non significative. Perché è proprio dalle relazioni tra di loro che nasce l’azione scenica. Ma in che modo?
Il copione, a ben vedere, presenta la vicenda drammatica inscatolata in scene e dialoghi e anche se alla lettura tutto scorre liscio, comprensibile ed emozionante, tuttavia non si può negare che la realtà viene frammentata e irrigidita, come conseguenza della necessaria scelta operata dall’autore tra le infine possibilità espressive che gli si presentano. Ogni volta che egli dà la parola a un personaggio, la toglie a tutti gli altri; ogni volta che porta un personaggio sotto la luce dei riflettori, mette in ombra tutti gli altri. È una logica di alternanza di protagonismo: ora tocca a me, poi tocca a lui, e dopo a lei… e così via. Tuttavia, mentre un personaggio si esprime, gli altri sono ancora partecipi dell’azione drammatica, solo che non hanno la parola e sono stati mandati altrove, lontano dagli sguardi del pubblico.
Quando sono fuori scena, che cosa fanno i personaggi? Rimangono tali o ridiventano attori per briciole di tempo che impiegano per concentrarsi sulla parte o per rilassarsi o per bere un sorso d’acqua o mandare un sms?
Se rimangono personaggi, devono sentirsi spaesati, dietro i fondali, in un mondo che non è più quello del dramma, ma quello tecnico che ne sostiene la rappresentazione, nel quale il personaggio non ha più senso, né diritto di esistere. Egli non può fare che una cosa: ritornare sulla scena anche se non è il proprio turno e cercare un senso alla propria assenza temporanea trasformandola in presenza discreta e sensata. In fondo, quello è il suo spazio, quello è il suo tempo, quelle sono le persone con le quali ha relazioni che conosce. Un tecnico per lui non è altro che un alieno.
Ma, in concreto, che cosa fa un personaggio se si ripresenta sul palcoscenico fuori tempo, nell’intervallo oscuro durante il quale non ha battute, quindi nel suo periodo di ombra; anzi, di non esistenza. Egli non ha il diritto di interferire con l’azione in corso: non ha nulla da dire, non ha nulla da fare assieme agli altri personaggi.
In effetti, egli è sullo sfondo. Utilizza lo spazio che gli è familiare perché è stato costruito anche per lui; addirittura, ha il potere di dilatarlo e quella che era una via diventa una città. Si muove in questa città che è la sua città e incontra spettri che fanno comunque parte del dramma, perché fanno parte della sua vita; oppure ripensa al recente passato e si prepara all’imminente futuro; e spia, spia quello che gli altri personaggi combinano, se lo sviluppo della vicenda glielo consente.
Per procedere su questa strada di personaggi che si rendono autonomi dal testo e continuano a vivere al di là delle battute a loro riservate, c’è anzitutto bisogno di uno spazio che si dilati all’infinito: una stanza è la casa, una via la città, una città il mondo.
C’è poi bisogno di ripensare alle relazioni tra i personaggi, che non sono più legate solo al qui e ora, ma si dilatano come lo spazio, perché chi non ha la battuta è comunque presente altrove e pensa a sé e agli altri e a quanto è successo, succede e succederà.
Uno sguardo può rendersi indispensabile, oppure può essere di troppo e rendere falsa una relazione costruita con tanta cura dal regista.
Ecco il lavoro che intende fare Il “Teatro dei passeri” con “L’Arlechin ladro e ladron”.
Il punto di partenza è il testo.
La rete di battute sono i CONTATTI verbali, visivi e fisici tra i personaggi in scena. Le battute comprendono anche i silenzi, che suggeriscono o stimolano a prendere in considerazione. Esse offrono lo spunto al regista per la mimica e i movimenti, ai quali fa da supporto la colonna sonora.
Questi contatti nascono dalle RELAZIONI che preesistono o che si stabiliscono tra i personaggi in base allo sviluppo della trama. Essi sono anche fonte di nuovo relazioni, in un processo di legami che si fa sempre più complesso e instabile fino allo scioglimento finale dove essi si definiscono e si rinsaldano.
Che cosa rende significative le relazioni? Gli ATTEGGIAMENTI (Con il termine atteggiamento si indica la disposizione di ogni persona di produrre risposte, determinate dall'ambiente familiare o sociale, riguardo a situazioni, gruppi o oggetti – Wikipedia).
Ogni personaggio è quindi definito, più che da un’indagine psicologica individuale, dalla rete di relazioni in cui è coinvolto e dalle reazioni personali nei riguardi di persone e fatti.
Se invece il personaggio fuori scena ridiventa attore, che cosa succede? Penso che la metamorfosi da attore a personaggio debba mantenersi fluida, in modo che la persona possa viaggiare nei due sensi (attore-personaggio) senza mai staccarsi definitivamente dall’uno o dall’altro, sviluppando la capacità di spostarsi rapidamente per porte lasciate aperte, con disinvoltura e senza stacchi.
Ma questo fa parte della nostra sperimentazione.
Tutto ciò nasce dall’esigenza di definire il ruolo del personaggio fuori scena e anche di fornire ai ragazzi una via d’interpretazione che non sia psicologica. Essi devono interpretare personaggi adulti delle cui dinamiche interiori non hanno alcuna esperienza. Che cosa ne sa un ragazzo della meschinità di un Pantalone, avaro e adultero?
Il ragazzo si muove meglio nelle relazioni, poiché la sua è l’età dei rapporti sempre più allargati e importanti; l’età dell’amicizia e del gruppo; l’età dei contatti; l’età in cui si formano gli atteggiamenti che ne definiranno la personalità.