Il mito narra che l’egiziano Tamuz,
su una nave diretta in Italia, davanti all’isola di Paxos udì il lamento “Thamuz
pan-megas Tethneke”, intendendolo come “Tamuz, il grande Pan è morto”.
L’imperatore Tiberio, quando venne a conoscenza della notizia, ordinò di
indagare e scoprì che si trattava proprio del dio Pan. Anche Plutarco,
sacerdote di Delfi durante la seconda metà del primo secolo a.C., credette a
questa storia e la pubblicò nel “De defectu oraculorum 17”. Tuttavia, quando lo
scrittore e geografo Pausania fece un viaggio in Grecia un secolo dopo, scoprì
che i santuari, gli altari e le grotte sacre di Pan erano ancora molto
frequentati. Soprattutto per alcuni commentatori cristiani, in questa leggenda
è simboleggiata la fine degli dei pagani. Molti poeti, come Elizabeth Browning,
Gabriele D’annunzio ed Ezra Pound, scrissero poesie al riguardo.
“Il grande dio Pan morì quando
Cristo divenne il sovrano assoluto. Leggende teologiche li descrivono in
opposizione inconciliabile, e il conflitto dura tuttora, giacché las figura del
Diavolo non è altro che Pan visto attraverso l’immaginazione cristiana”. (James
Hillman, “Saggio su Pan”)
TETHNEKE, morire. In un
teatro di vita il punto di partenza non può essere che la morte. Solo
dall’accettazione della morte può venire la rinascita e quindi il rinnovamento.
Il teatro non può ignorare le proprie radici, che sono mitiche. Il riferimento
a Pan ci riconduce ai tragici greci e al mito. Ci fa uscire dall’ambito della
cultura cristiano-occidentale, per cercare altrove e anche in altri tempi
modalità di spettacolo diverse. Soprattutto, stimola a evadere dal soffocante
teatro borghese, con le sue storie piccole, la sua gestione noiosa dello spazio
teatrale e della drammaturgia, la sua mancanza di contrapposizione alla società
e alla cultura dominante.
Una ricerca teatrale
deve anche indicare in quali modi vuole conseguire una propria originalità.
Ecco allora che TETH
diventa TEC. La morte viene allontanata, posta sullo sfondo, per dare spazio
all’energia vitale. Perché TEC? Perché fare teatro significa anzitutto
impadronirsi delle tecniche, e non solo; significa scoprire tecniche nuove,
nuovi modi espressivi. Questo teatro mette quindi tutto in discussione. L’idea
di palcoscenico, di ruolo, di personaggio, di declamazione, di interpretazione…
e cerca vie proprie. TEC anche perché la tecnologia non viene vista con
diffidenza, ma utilizzata in tutte le sue potenzialità. TEC perché sul
palcoscenico non ci sono primi attori, protagonisti e comparse. Ci sono tecnici
dell’arte teatrale che chiamiamo “agonisti”. Essi accedono al palcoscenico come
su una pista, per misurarsi in un “agone”, in un gioco-sfida. Teatro, quindi,
come gara e disputa, duello e scontro. I ruoli si scambiano e si confondono:
stessi agonisti per più ruoli, musicisti che recitano, attori che entrano ed
escono dalla parte, metateatro.
TECNEKE è una realtà tutta da scoprire,
tutta da fare. Opera di dilettanti, ma senza presunzioni. Non si butta via
niente del passato, da qualunque forma teatrale si può imparare. Ma lo slancio
è per il cambiamento.
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