
La “recita” è di tipo
mimetico-rappresentativo, ma non solo. Agli alunni-attori sono state richieste doti
di interpretazione sia come immedesimazione per esprimere sentimenti ed emozioni; sia come coordinazione motoria e sintonia di gruppo. Lo spettacolo non si basa
quindi solo sul “parlato”, ma anche su schemi di movimento e su espressività mimica.
Il tutto, naturalmente,
dosato e finalizzato alla riuscita nel suo insieme. Con un totale di poco più
di quaranta ore di prove, non si riesce
a dare una formazione completa a ognuno (in questo caso un gruppo di sedici);
ma è possibile fornire gli strumenti per sostenere il palcoscenico e il
rapporto con il pubblico. Più che svolgere esercizi preparatori, per i quali
non c’è tempo, si lavora in itinere, fondendo le prove con le scoperte dello
spazio, del corpo nello spazio, del corpo in relazione con altri corpi, della
voce, del rispetto dei tempi, dell’efficacia di una sintesi personale di
movimento-voce-gestualità.
Interpretazione di un
personaggio, quindi, insieme a partecipazione corale e coreografica, sullo
spunto di filastrocche e canzoni. Sul palcoscenico non c’è mai un bambino
impettito che snocciola a memoria parole che forse non ha nemmeno capito, ma un
bambino in azione, che gioca e si diverte, credendo in quello che fa, memore di…
facciamo che io sono e tu sei. Un
bambino che nel movimento e nella gestualità ritrova i giochi di strada (ma
sopravvivono ancora?), basati su formule e rituali. E anche un bambino che fa
tesoro della propria cultura, compresa quella televisiva, musicale e
cinematografica, diventando coprotagonista di una regia ludica.
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