Quando, a
ottobre, abbiamo svolto i primi giochi-esercizi per familiarizzare con il
teatro, oltre all’imbarazzo si manifestava la mancanza di competenze per
quanto riguardava spazio, voce, gestica, immedesimazione, relazione con il
pubblico e improvvisazione. Giovedì, terminata la prova, propongo un gioco
semplice: pescate dagli scatoloni qualche telo, travestitevi e intratteneteci.
Il gruppo esce per fare modo all’interprete di prepararsi in tre minuti.
Rientriamo, ci accomodiamo e l’attore di turno sbuca dal paravento. La prima
tematica è relativa alla cacca. Inevitabile, dopo che l’alunno è stato sorpreso
dalla maestra mentre redigeva un “Libro sulla cacca” (più che altro inerente
alla tecnica) che è stato letto alla classe con grande divertimento. Poi si
passa alla follia: un’alluvione di parole quasi in libertà, nel cui flusso si
perde la logica, all’inseguimento di suggestioni fiabesche e televisive. La
recitazione è sicura, divertita e divertente; l’improvvisazione è fluida e continua.
È teatro che si fa gioco, e gioco che diventa teatro. Come in tutti i giochi,
ci sono regole da rispettare e abilità da acquisire; bisogna esercitare il
controllo delle proprie azioni, conquistare l’”adgredi” (“L’etimologia
della parola stessa ad gredi, significa andare verso... verso gli altri,
verso la vita, verso la realizzazione di sé. È forza vitale e positiva,
promuove il movimento del bambino verso l’autonomia, l’esplorazione”, da pediatiapratica.it).
Solo così il gioco si fa appassionante. E non si vorrebbe smettere mai.
Nessun commento:
Posta un commento