Ci ho lavorato per tutta l'estate e concluderò il progetto tra un mese. Mi ero prefissato di scrivere dieci "tragedie" a partire da quelle classiche. Ho esteso le fonti ai miti. Le procedure sono diverse. In alcuni casi ho prodotto variazioni del tema, in altri ho travolto il materiale, quasi sempre ho mescolato passato e presente, magari solo per qualche accenno a realtà e problematiche contemporanee. I titoli sono:
ELENA IN ESILIO, TIRSO, GANIMEDE, ANDROMACA DEVE MORIRE, ACHILLE SULL'ISOLA DEI SERPENTI. Queste opere sono già state presentate sul blog (http://aquilinoaquilino.blogspot.it/2014/07/letture-e-scritture-per-lestate.html).
Poi viene CLITENNESTRA VERSUS APOLLO. Ecco la sua rhesis iniziale, il monologo programmatico.
Parlo di un tempo lontano, che è sempre il mio presente.
Ruggine sui giorni, sugli istanti, sempre.
Io sono l’assassina, la belva, l’empia,
la sanguinaria.
Ho ucciso mio marito. Gli ho ucciso la concubina.
Continuo a uccidere con le parole
dei libri e del teatro. Dove va in scena
Eschilo, io uccido ogni sera. Così, con gesti forti
e sicuri. Non mi è mai tremata la mano, ho l’arte
della mietitrice.
Ruggine colore del sangue. Tutto in me è rugginoso,
mi muovo lenta, devo rubare ogni respiro,
acre il sapore dell’aria viva nella gola.
Io vengo dal Tartaro e sono morta.
Spine sotto i miei piedi!
Anche le malattie uccidono, e l’anzianità uccide, e la furia
della natura, e le guerre, e le scelte economiche dei governi, e le
multinazionali uccidono, e i fanatici religiosi e le droghe e l’inquinamento
e i pesticidi uccidono, e i cibi e perfino i medicinali uccidono.
Sono stata giudicata e condannata, ma non sono mai stata ascoltata.
Io vengo dal Tartaro e sono morta.
Spine sotto i miei piedi!
Va’, mi hanno detto i morti, parla
per tutti noi, ti diamo il potere
di chi non ne ha più, così che nessuno glielo può togliere.
Va’, benedetta, tu che raccogli maledizioni.
E parla per tutti noi. Non tornare senza avere parlato.
Noi facciamo quello a cui siamo condannati: aspettiamo.
Ecco perché sono qui. Non per desiderio degli dei. Nemmeno le dee
hanno mostrato comprensione per me.
Chi non si è allineato
ha comunque girato la testa per non vedere
come la giustizia si prostituisce nei tribunali.
Gli dei sono tali perché mentono. Io non ho interesse a mentire.
Sono morta, sono in pace, non miro a riabilitare il mio nome.
Anche i nomi sono solo parole.
Sono qui per il diritto universale
di essere ascoltati.
Come donna condannata al silenzio,
posso parlare al mondo grazie al teatro. Sono personaggio
venuto a recitare non la verità, che è invenzione,
ma la storia dentro la storia che nessuno mai vede.
Il mondo è governato dai ciechi.
Contro di lei Apollo, che antepone gli uomini alle donne (secondo la dottrina aristotelica) e un coro di magistrati ciechi. E anche Atena, che sa che alla fine vince sempre l'Olimpo. La figlia Elettra segue il nuovo processo alla madre con odio che si trasforma in dubbio.
ELETTRA Non capisco, no, non capisco
niente. Sono venuta per l’amore di mio padre, per renderlo orgoglioso di me.
Volevo smascherarti e sbugiardarti e svergognarti di fronte a tutti, e godere
della tua sconfitta, e gridarti: non tornare mai più dall’inferno! Ma ho solo
voglia di andare via. Non capisco più chi sono io, chi è mio padre, chi sei tu.
E voglio andare via. Apollo, riportami giù!
AUGE DEL SANGUE è una rivisitazione di uno degli episodi di prepotenza di Eracle. Violenta una sacerdotessa di Atena che gli dà il figlio Telefo, colui che guiderà i greci verso Troia. Nell'opera, Auge accusa il padre, la dea ed Eracle stesso che sta per sfondare la porta per ucciderla. Un atto di accusa contro le violenze di genere. Inoltre, non vuole generare chi faciliterà lo scoppio della guerra.
Peresonaggi: AUGE, ATENA, CORO DI TRE ATTORI: UNO (Aleo, Calcante, Achille), DUE
(Telefo, Ettore), TRE (servo di Telefo, soldato, Agamennone, Odisseo).
Ecco il finale.
ACHILLE Vuoi che ti uccida, ma non vuoi morire?
AUGE Voglio che uccida mio figlio.
ETTORE Telefo?
AUGE Non potrà condurvi a Troia.
ODISSEO Vuoi impedire la guerra?
AUGEA Voglio tentare.
ACHILLE Gli dei sono potenti. Troveranno un altro
modo.
AUGE Non con mio figlio.
ETTORE Siamo dunque qui come testimoni?
AUGE Siete qui per compiere un’altra
impresa: aprire la porta, fare entrare la bestia.
ODISSEO Possiamo farlo?
ACHILLE Noi non possiamo più niente, ma se da vivi
abbiamo sempre tentato l’impossibile…
ETTORE Siamo ombre, ma ombre di eroi. L’impossibile
ci appartiene.
ODISSEO Senza la guerra che cosa saremo? È stata
la guerra a trasformarci in eroi.
ACHILLE Forse saremo più vivi. Forse ci toglieremo
la sensazione di sangue sulle mani, sulle braccia, sul viso, negli occhi, nelle
radici dei capelli, nei pensieri, in ogni respiro.
ODISSEO Vuoi ripensarci, ragazza?
AUGE No.
ETTORE Ti balzerà addosso come…
AUGE Lo so.
ACHILLE Poi scorteremo te e tuo figlio nel
Tartaro.
ETTORE Sarai sotto la protezione degli eroi.
ODISSEO Hai bei ricordi che possano consolarti?
AUGE Sì, questo.
ESODO
CALCANTE Che tu sia maledetta!
AUGE Dai vivi, ma i morti mi onorano.
ATENA Torna tra le ombre, sprofonda
nell’oblio. T’illudi, se speri di ostacolare gli dei. Noi possiamo tutto, anche
l’impossibile. La guerra di Troia si farà. I Greci la vinceranno. Troia sarà
distrutta. Il suo popolo sterminato o reso schiavo. Così deve essere, così sia.
Ed eccoci a PRIAMO SUPPLICE. Uno scenario fantascientifico da "il giorno dopo" accoglie Priamo e Polissena in viaggio verso l'accampamento greco. Vanno a supplicare per il cadavere di Ettore.
PRIAMO Siamo al centro del niente.
POLISSENA Troia, laggiù, è la città che oppone mura
possenti al deserto. Trai forza da lei.
PRIAMO Allunga lo sguardo da questa parte,
Polissena. Non vedi la barriera di tronchi che i greci hanno eretto contro i
nostri assalti?
POLISSENA Non voglio vederla.
PRIAMO Ma vi siamo diretti. Vuoi tornare
indietro?
POLISSENA Non posso. Devo incontrarlo.
PRIAMO E che cosa gli dirai? Che ti ha preso il
più amato dei fratelli?
POLISSENA Non lo so. Non so più che cosa sia il
pensiero.
PRIAMO Nemmeno io. Siamo al centro del niente.
POLISSENA Se grido: ooohhh! nessuno sente, nessuno risponde.
È terribile gridare al niente. Ooohhh! Forse qualcuno sente, ma mi ignora.
Grido più forte: ooohhh! Niente, il mio grido è gravido di silenzio.
PRIAMO Sta’ buona, Polissena. Ricorda perché
siamo venuti.
POLISSENA Qui c’era la nostra foresta. I greci hanno
abbattuto gli alberi. Ne hanno fatto pali per le loro difese. Quanti erano, gli
alberi, milioni? Poi i carri e i cavalli e la marcia di corsa degli spartani
hanno arato il suolo. Napalm e defolianti. Non un filo d’erba è sopravvissuto agli
ordini dei capi.
Achille s'è innamorato di Polissena, la figlia minore del re. Mediante Cassandra, Polissena conosce il futuro: Paride/Alessandro la userà per uccidere Achille in un agguato, poi il figlio di Achille Neottolemo la sacrificherà per onorare il padre. Un inno contro la guerra. Il finale:
PRIAMO Scorgo un tremolio lontano, in
quest’aria allucinata.
POLISSENA Tua moglie Ecabe ci viene incontro.
PRIAMO Un tempo, sarebbe uscita per accogliere
regnanti e ambasciatori.
POLISSENA Ora corre verso il figlio morto.
PRIAMO La segue qualcuno?
POLISSENA Alessandro, e uno stuolo di guerrieri.
PRIAMO Che cosa le dico?
POLISSENA Niente. D’ora in avanti, solo il silenzio tra
le lamentazioni funebri. In silenzio mia madre mi fa cenno di seguirla al
tempio. La seguo, fingendo di non notare Alessandro e gli altri, in agguato.
Lui giunge convinto di incontrare la sposa, e abbraccia il tradimento. La
freccia del dio gli spezza la vita. Io non grido. È un nemico, quello che
muore. Torno nella mia stanza, mia madre esultante al fianco, indemoniata di
vendetta. Paziente, aspetto Neottolemo. Muoio. E poi, poi nemmeno Cassandra sa
dirmi che cosa succede.
CORO Tra la polvere niente, se non ossa
di guerrieri caduti
combattendo.
In aria non c’è niente,
se non l’eco
delle grida di guerra e
degli affanni.
Dentro gli occhi del re
non c’è più niente,
se non la
stanza vuota in cui sospira.
La regina sul viso non ha niente,
se non rughe di lacrime e di rabbia.
È una cagna furiosa che si annega
nella sua stessa bava e poi
silenzio,
silenzio dentro Troia.
DAFNI AMA PAN segna una svolta, motivata dall'uso ateniese di far seguire un dramma satiresco alla trilogia tragica. Anche questa è una tragedia, ma stemperata dalla comicità farsesca di Pan. Seguirà un ANFITRIO del tutto comico, che spero di terminare entro dicembre (la storia di Dafni e Pan la sto scrivendo ora). Ermes è deluso dal figlio Dafni che rifiuta l'amore e che è molto strano, quasi autistico. Dapprima spinge le ninfe a fargli violenza, ma loro rifiutano. Allora, incarica l'altro figlio Pan di farselo amico e di educarlo all'erotismo. Dafni, però, s'innamora di Pan, disposto a offrirgli il corpo, ma non l'anima, che è materiale e votata al piacere. Dafni è disperato e alle ninfe non rimane che averne pietà e trasformarlo in una statua di pietra.
ERMES Ho bisogno
di te.
PAN Altrimenti, perché un padre dovrebbe
incontrare un figlio?
ERMES Conosci Dafni?
PAN Sono un reietto, non frequento la
società.
ERMES Un pastorello.
PAN Vuoi che mi mostri a lui per farlo
cacare sotto dallo spavento?
ERMES Perché mai dovrebbe spaventarsi?
PAN Già. Perché mai?
ERMES Non devi saltargli addosso. Non è una
ninfa.
PAN È brutto anche lui?
ERMES Al contrario, è molto avvenente.
PAN Avvenente. Ti esprimi proprio da dio.
ERMES Che t’importa se è bello o brutto?
PAN Non vorrai che mi scopi un rospo.
ERMES Che cosa ti sei messo in testa?
PAN Hai detto di avere bisogno di me. Io
so fare solo quello.
ERMES Ascoltami, depravato. Voglio che tu gli
stia vicino.
PAN Vedi che pensiamo la stessa cosa?
ERMES Vicino e basta. Come due amici.
PAN Amici? Io?
ERMES Voglio che parliate.
PAN E di che cosa?
ERMES Della vita e delle sue gioie.
PAN Fottere.
ERMES Voglio che gli infonda sicurezza. Ha paura
di tutto. E non ha mai… non ha mai fatto sesso. Gli fa ribrezzo.
PAN Un pastore che non si fotte le
pecore?
ERMES Del tutto vergine, in ogni senso.
PAN Ma vive? Respira?
ERMES Certo che respira!
PAN Chi respira, fotte.
ERMES Voglio che lo attiri a te, non so in quale
modo, pensaci tu, non sei un seduttore? Piano piano lo motivi a fare
esperienza. Con dolcezza, però.
PAN Dolcezza, io?
ERMES Ricorri alle malizie che si usano per
catturare la fiducia di una donna e farle aprire le gambe in un sospiro
d’amore.
PAN Padre… io uso una tattica più svelta
e decisa.
ERMES Procedi per gradi. Il piacere della
visione di belle forme piene, poi quello dell’immaginazione scatenata, quindi
le carezze titubanti e impudiche, per continuare con gli abbracci e i baci, da
quelli casti a quelli osceni, concludendo con l’esplorazione delle parti intime
e coronando la conquista con un amplesso esplosivo.
PAN Ma senti quanta fatica. Un mucchio di
tempo per un risultato che ottengo in tre passi: scelta, balzo, copula.
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