mercoledì 29 ottobre 2014

LE MIE TRAGEDIE


Ci ho lavorato per tutta l'estate e concluderò il progetto tra un mese. Mi ero prefissato di scrivere dieci "tragedie" a partire da quelle classiche. Ho esteso le fonti ai miti. Le procedure sono diverse. In alcuni casi ho prodotto variazioni del tema, in altri ho travolto il materiale, quasi sempre ho mescolato passato e presente, magari solo per qualche accenno a realtà e problematiche contemporanee. I titoli sono:
ELENA IN ESILIO, TIRSO, GANIMEDE, ANDROMACA DEVE MORIRE, ACHILLE SULL'ISOLA DEI SERPENTI. Queste opere sono già state presentate sul blog (http://aquilinoaquilino.blogspot.it/2014/07/letture-e-scritture-per-lestate.html).
Poi viene CLITENNESTRA VERSUS APOLLO. Ecco la sua rhesis iniziale, il monologo programmatico.

Parlo di un tempo lontano, che è sempre il mio presente. 
Ruggine sui giorni, sugli istanti, sempre.
Io sono l’assassina, la belva, l’empia,
la sanguinaria.
Ho ucciso mio marito. Gli ho ucciso la concubina.
Continuo a uccidere con le parole
dei libri e del teatro. Dove va in scena
Eschilo, io uccido ogni sera. Così, con gesti forti
e sicuri. Non mi è mai tremata la mano, ho l’arte
della mietitrice.
Ruggine colore del sangue. Tutto in me è rugginoso,
mi muovo lenta, devo rubare ogni respiro,
acre il sapore dell’aria viva nella gola.
Io vengo dal Tartaro e sono morta.
Spine sotto i miei piedi!
Anche le malattie uccidono, e l’anzianità uccide, e la furia
della natura, e le guerre, e le scelte economiche dei governi, e le
multinazionali uccidono, e i fanatici religiosi e le droghe e l’inquinamento 
e i pesticidi uccidono, e i cibi e perfino i medicinali uccidono.
Sono stata giudicata e condannata, ma non sono mai stata ascoltata.
Io vengo dal Tartaro e sono morta.
Spine sotto i miei piedi!
Va’, mi hanno detto i morti, parla
per tutti noi, ti diamo il potere
di chi non ne ha più, così che nessuno glielo può togliere.
Va’, benedetta, tu che raccogli maledizioni.
E parla per tutti noi. Non tornare senza avere parlato.
Noi facciamo quello a cui siamo condannati: aspettiamo.
Ecco perché sono qui. Non per desiderio degli dei. Nemmeno le dee
hanno mostrato comprensione per me.
Chi non si è allineato
ha comunque girato la testa per non vedere 
come la giustizia si prostituisce nei tribunali.
Gli dei sono tali perché mentono. Io non ho interesse a mentire. 
Sono morta, sono in pace, non miro a riabilitare il mio nome. 
Anche i nomi sono solo parole. 
Sono qui per il diritto universale 
di essere ascoltati. 
Come donna condannata al silenzio, 
posso parlare al mondo grazie al teatro. Sono personaggio 
venuto a recitare non la verità, che è invenzione,
ma la storia dentro la storia che nessuno mai vede. 
Il mondo è governato dai ciechi.

Contro di lei Apollo, che antepone gli uomini alle donne (secondo la dottrina aristotelica) e un coro di magistrati ciechi. E anche Atena, che sa che alla fine vince sempre l'Olimpo. La figlia Elettra segue il nuovo processo alla madre con odio che si trasforma in dubbio.
ELETTRA               Non capisco, no, non capisco niente. Sono venuta per l’amore di mio padre, per renderlo orgoglioso di me. Volevo smascherarti e sbugiardarti e svergognarti di fronte a tutti, e godere della tua sconfitta, e gridarti: non tornare mai più dall’inferno! Ma ho solo voglia di andare via. Non capisco più chi sono io, chi è mio padre, chi sei tu. E voglio andare via. Apollo, riportami giù!

AUGE DEL SANGUE è una rivisitazione di uno degli episodi di prepotenza di Eracle. Violenta una sacerdotessa di Atena che gli dà il figlio Telefo, colui che guiderà i greci verso Troia. Nell'opera, Auge accusa il padre, la dea ed Eracle stesso che sta per sfondare la porta per ucciderla. Un atto di accusa contro le violenze di genere. Inoltre, non vuole generare chi faciliterà lo scoppio della guerra.
Peresonaggi: AUGE, ATENA, CORO DI TRE ATTORI: UNO (Aleo, Calcante, Achille), DUE (Telefo, Ettore), TRE (servo di Telefo, soldato, Agamennone, Odisseo).
Ecco il finale.

ACHILLE      Vuoi che ti uccida, ma non vuoi morire?
AUGE            Voglio che uccida mio figlio.
ETTORE        Telefo?
AUGE            Non potrà condurvi a Troia.
ODISSEO      Vuoi impedire la guerra?
AUGEA         Voglio tentare.
ACHILLE      Gli dei sono potenti. Troveranno un altro modo.
AUGE            Non con mio figlio.
ETTORE        Siamo dunque qui come testimoni?
AUGE            Siete qui per compiere un’altra impresa: aprire la porta, fare entrare la bestia.
ODISSEO      Possiamo farlo?
ACHILLE      Noi non possiamo più niente, ma se da vivi abbiamo sempre tentato l’impossibile…
ETTORE        Siamo ombre, ma ombre di eroi. L’impossibile ci appartiene.
ODISSEO      Senza la guerra che cosa saremo? È stata la guerra a trasformarci in eroi.
ACHILLE      Forse saremo più vivi. Forse ci toglieremo la sensazione di sangue sulle mani, sulle braccia, sul viso, negli occhi, nelle radici dei capelli, nei pensieri, in ogni respiro.
ODISSEO      Vuoi ripensarci, ragazza?
AUGE            No.
ETTORE        Ti balzerà addosso come…
AUGE            Lo so.
ACHILLE      Poi scorteremo te e tuo figlio nel Tartaro.
ETTORE        Sarai sotto la protezione degli eroi.
ODISSEO      Hai bei ricordi che possano consolarti?
AUGE            Sì, questo.

ESODO

CALCANTE  Che tu sia maledetta!
AUGE            Dai vivi, ma i morti mi onorano.
ATENA          Torna tra le ombre, sprofonda nell’oblio. T’illudi, se speri di ostacolare gli dei. Noi possiamo tutto, anche l’impossibile. La guerra di Troia si farà. I Greci la vinceranno. Troia sarà distrutta. Il suo popolo sterminato o reso schiavo. Così deve essere, così sia.


Ed eccoci a PRIAMO SUPPLICE. Uno scenario fantascientifico da "il giorno dopo" accoglie Priamo e Polissena in viaggio verso l'accampamento greco. Vanno a supplicare per il cadavere di Ettore. 

PRIAMO        Siamo al centro del niente.
POLISSENA  Troia, laggiù, è la città che oppone mura possenti al deserto. Trai forza da lei.
PRIAMO      Allunga lo sguardo da questa parte, Polissena. Non vedi la barriera di tronchi che i greci hanno eretto contro i nostri assalti?
POLISSENA  Non voglio vederla.
PRIAMO        Ma vi siamo diretti. Vuoi tornare indietro?
POLISSENA  Non posso. Devo incontrarlo.
PRIAMO        E che cosa gli dirai? Che ti ha preso il più amato dei fratelli?
POLISSENA  Non lo so. Non so più che cosa sia il pensiero.
PRIAMO        Nemmeno io. Siamo al centro del niente.
POLISSENA  Se grido: ooohhh! nessuno sente, nessuno risponde. È terribile gridare al niente. Ooohhh! Forse qualcuno sente, ma mi ignora. Grido più forte: ooohhh! Niente, il mio grido è gravido di silenzio.
PRIAMO        Sta’ buona, Polissena. Ricorda perché siamo venuti.
POLISSENA  Qui c’era la nostra foresta. I greci hanno abbattuto gli alberi. Ne hanno fatto pali per le loro difese. Quanti erano, gli alberi, milioni? Poi i carri e i cavalli e la marcia di corsa degli spartani hanno arato il suolo. Napalm e defolianti. Non un filo d’erba è sopravvissuto agli ordini dei capi.

Achille s'è innamorato di Polissena, la figlia minore del re. Mediante Cassandra, Polissena conosce il futuro: Paride/Alessandro la userà per uccidere Achille in un agguato, poi il figlio di Achille Neottolemo la sacrificherà per onorare il padre. Un inno contro la guerra. Il finale:

PRIAMO        Scorgo un tremolio lontano, in quest’aria allucinata.
POLISSENA  Tua moglie Ecabe ci viene incontro.
PRIAMO        Un tempo, sarebbe uscita per accogliere regnanti e ambasciatori.
POLISSENA  Ora corre verso il figlio morto.
PRIAMO        La segue qualcuno?
POLISSENA  Alessandro, e uno stuolo di guerrieri.
PRIAMO        Che cosa le dico?
POLISSENA  Niente. D’ora in avanti, solo il silenzio tra le lamentazioni funebri. In silenzio mia madre mi fa cenno di seguirla al tempio. La seguo, fingendo di non notare Alessandro e gli altri, in agguato. Lui giunge convinto di incontrare la sposa, e abbraccia il tradimento. La freccia del dio gli spezza la vita. Io non grido. È un nemico, quello che muore. Torno nella mia stanza, mia madre esultante al fianco, indemoniata di vendetta. Paziente, aspetto Neottolemo. Muoio. E poi, poi nemmeno Cassandra sa dirmi che cosa succede. 
CORO            Tra la polvere niente, se non ossa
                        di guerrieri caduti combattendo.
                        In aria non c’è niente, se non l’eco
                        delle grida di guerra e degli affanni.
                        Dentro gli occhi del re non c’è più niente,
se non la stanza vuota in cui sospira.
            La regina sul viso non ha niente,
            se non rughe di lacrime e di rabbia.
            È una cagna furiosa che si annega
            nella sua stessa bava e poi silenzio,
            silenzio dentro Troia. 

DAFNI AMA PAN segna una svolta, motivata dall'uso ateniese di far seguire un dramma satiresco alla trilogia tragica. Anche questa è una tragedia, ma stemperata dalla comicità farsesca di Pan. Seguirà un ANFITRIO del tutto comico, che spero di terminare entro dicembre (la storia di Dafni e Pan la sto scrivendo ora). Ermes è deluso dal figlio Dafni che rifiuta l'amore e che è molto strano, quasi autistico. Dapprima spinge le ninfe a fargli violenza, ma loro rifiutano. Allora, incarica l'altro figlio Pan di farselo amico e di educarlo all'erotismo. Dafni, però, s'innamora di Pan, disposto a offrirgli il corpo, ma non l'anima, che è materiale e votata al piacere. Dafni è disperato e alle ninfe non rimane che averne pietà e trasformarlo in una statua di pietra.

ERMES      Ho bisogno di te.
PAN           Altrimenti, perché un padre dovrebbe incontrare un figlio?
ERMES      Conosci Dafni?
PAN           Sono un reietto, non frequento la società.
ERMES      Un pastorello.
PAN           Vuoi che mi mostri a lui per farlo cacare sotto dallo spavento?
ERMES      Perché mai dovrebbe spaventarsi?
PAN           Già. Perché mai?
ERMES      Non devi saltargli addosso. Non è una ninfa.
PAN           È brutto anche lui?
ERMES      Al contrario, è molto avvenente.
PAN           Avvenente. Ti esprimi proprio da dio.
ERMES      Che t’importa se è bello o brutto?
PAN           Non vorrai che mi scopi un rospo.
ERMES      Che cosa ti sei messo in testa?
PAN           Hai detto di avere bisogno di me. Io so fare solo quello.
ERMES      Ascoltami, depravato. Voglio che tu gli stia vicino.
PAN           Vedi che pensiamo la stessa cosa?
ERMES      Vicino e basta. Come due amici.
PAN           Amici? Io?
ERMES      Voglio che parliate.
PAN           E di che cosa?
ERMES      Della vita e delle sue gioie.
PAN           Fottere.
ERMES      Voglio che gli infonda sicurezza. Ha paura di tutto. E non ha mai… non ha mai fatto sesso. Gli fa ribrezzo.
PAN           Un pastore che non si fotte le pecore?
ERMES      Del tutto vergine, in ogni senso.
PAN           Ma vive? Respira?
ERMES      Certo che respira!
PAN           Chi respira, fotte.
ERMES      Voglio che lo attiri a te, non so in quale modo, pensaci tu, non sei un seduttore? Piano piano lo motivi a fare esperienza. Con dolcezza, però.
PAN           Dolcezza, io?
ERMES      Ricorri alle malizie che si usano per catturare la fiducia di una donna e farle aprire le gambe in un sospiro d’amore.
PAN           Padre… io uso una tattica più svelta e decisa.
ERMES      Procedi per gradi. Il piacere della visione di belle forme piene, poi quello dell’immaginazione scatenata, quindi le carezze titubanti e impudiche, per continuare con gli abbracci e i baci, da quelli casti a quelli osceni, concludendo con l’esplorazione delle parti intime e coronando la conquista con un amplesso esplosivo.
PAN           Ma senti quanta fatica. Un mucchio di tempo per un risultato che ottengo in tre passi: scelta, balzo, copula.





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