venerdì 12 dicembre 2014

IL TEATRO DEL RIORDINO (prima parte)

Quando incomincio un laboratorio o una messa in scena, con un nuovo gruppo e un nuovo testo, i primi passi sono quelli esitanti di un neonato che gattona sul pavimento. L’istinto gli fa assumere la posizione seduta e dopo il training iniziale lo spinge in su, verso la posizione eretta. Ma ci vogliono tempo, pazienza, intuizione e intraprendenza. Per il momento il bimbo sembra muoversi a caso, attratto da ciò che desta la curiosità, in uno zigzagare insensato, verso cose che non conosce ancora, lasciando scie di suoni ora gutturali ora tintinnanti o striduli. Spesso inciampa in se stesso: quattro arti non sono facili da coordinare; e allunga la mano illudendosi di raggiungere la lontananza sfocata; e se s’impossessa di un oggetto lo usa in modo improprio, e magari lo rompe; se raggiunge un cassetto aperto, lo svuota senza motivo. Poi, di colpo, s’immobilizza in una meditazione senza pensieri, perplesso e confuso da un mondo molto complicato, che gli sfugge.

Un’agitazione, quella del bimbo, disordinata e inconcludente. Paragonabile a quella del principiante che si ritrova sulla scena, magari sotto un riflettore, con qualcuno che lo osserva, qualcun altro che gli dà istruzioni. Sa che cosa deve fare: assumere una postura, compiere un movimento, pronunciare una frase. Ma non sa come farlo. Brancola in un sentimento composito, come un pasticcio con troppi ingredienti: vertigine, inadeguatezza, imbarazzo, incomprensione, paura. Come qualcuno colto sul fatto durante un’azione riprovevole e vergognosa. Il mio interprete vive il momento tragico con intensità diversa, a seconda della sua personalità. C’è addirittura chi sfodera una teatralità istintiva e accattivante, guadagnandosi gli applausi dei compagni. Ma anche in questo caso il senso di disordine permane. Non c’è armonia tra l’interprete che muove i primi passi sulla scena, lo spazio che lo avvolge e gli dà una consistenza tridimensionale, gli oggetti che lo circondano e lo invitano a interagire, la musica e la luce nelle quali si muove. Come il neonato, egli si pone al centro del mondo e le sue aspettative sono che il mondo si conformi ai suoi bisogni e ai suoi desideri. Non ha esperienza, non ha conoscenze, non ha rispetto per l’ambiente.

Guardatelo: qualsiasi movimento è sgraziato, o inquinato da un utilizzo strumentale degli arti; sia nel silenzio sia nella musica il corpo è una macchina che procede a balzelloni, incapace di volare e di compiere evoluzioni. Guardate il suo viso, come rimane rigido, fisso in un’espressione inespressiva. Osservate quanto è goffo nel rapporto con gli oggetti di scena. Se c’è un sedile, sembra quello di un fastfood, non quello di uno spazio immaginifico. E con i partner? Non sa dove guardare, rifugge dall’incontro degli occhi, e se deve toccare qualcuno è come se volesse aggredirlo. Ascoltatene la voce. Ora un pigolio snervato ora un gridare inconsulto. E quando la luce lo accarezza e la musica tenta di renderlo liquido, il nostro principiante è una roccia sorda, che si muove con passi da troll.
Osservando e ascoltando, si coglie il senso del fare teatro. Non si tratta solo di una questione tecnica: impostare la voce, curare la dizione, addomesticare il corpo al movimento fluido ed espressivo, rendere il viso una maschera mutevole a comando, trasmettere al pubblico la convinzione delle emozioni… Tutto questo rientra nel carattere generale del teatro, quello che lo rende tale. Prima ancora che atto di culto o forma di comunicazione o azione politica o specchio sociale o catarsi o divertimento… Il teatro è prima di tutto riordino del caos quotidiano, nel quale ogni bellezza è svilita e la sintonia con il mondo è inquinata dall’utilitarismo e dal piacere individuale.


Il principiante va preso per mano e invitato a ripercorrere le strade del passato facendole convergere in una piazza di pochi metri quadrati, il palcoscenico. Il corpo, la voce, il movimento, l’energia interiore, l’immaginazione, lo spazio, la musica, la luce, l’immagine, la danza, la parola… si devono riallineare su un unico spartito, che è come dire un unico copione. Il teatro è mettere ordine. Dare un senso estetico al corpo che si muove nello spazio e nel tempo, nella musica e nella luce, insieme ad altri corpi, armonizzando per accordo o contrasto le voci, raccontando storie che si ispirano alla necessità illogica dei sogni, dove ogni cosa è al proprio posto e ha un senso misterioso, che non va indagato, ma accolto. Tutti gli elementi che costituiscono il teatro devono confluire sulla tela bianca, e formare un quadro unitario, la cui complessità si scioglie in una visione semplice. Lo spettacolo di natura è così: ordinato in un ecosistema nel quale anche gli elementi più diversi e dissonanti si armonizzano nell’obiettivo comune: mantenerlo vivo.

Nessun commento: