Tanto teatro, ma non diventa
troppo. Tempo fa non l’avrei sostenuto, mi sarei ingarbugliato nei rovi e sarei
inciampato sulle radici affioranti, avrei preso i rami bassi in faccia, sarei caduto sui sassi. Oggi cammino
abbastanza spedito nella foresta delle scene e nell’intrico della recitazione,
nonostante che gli interpreti non siano attori in quanto non hanno alcuna
preparazione.
Teatro di fortuna, il mio. Nel
doppio senso di speranza di incappare in interpreti istintivi, che sentono i ritmi,
e sanno come esprimere emozioni, e si rapportano ai partner, e hanno una percezione
innata dello spazio; e nel senso di fortunale, tempesta, burrasca che prima o
poi finisce e il cielo schiarisce e il sole mostra l’isola del debutto, sulla
quale i naufraghi trovano conforto e gioia.
Vediamo un po’. Collaboro alla
nuova produzione di Tecneke, Un’altra Eva. Due atti molto comici.
Difficile, la comicità, più difficile del dramma. Se non si azzecca la giusta
condotta in scena il pubblico si raffredda e si estranea; mentre su una scena
tragica male interpretata storce il naso e aspetta di vedere il seguito.
Finora, tutto bene.
Il gruppo di Piccole ma donne
è una sfida: affidare a bambini dai nove ai dodici anni testi di Euripide,
Shakespeare, Goldoni, Lorca… Ho già un rifiuto: non riesco a memorizzare Yerma,
è difficile. Lo studio a memoria nella scuola è declassato. Un’attività del
passato che non è più giudicata produttiva. Ahi ahi, maestre, ahi ahi. A
livello interpretativo, per il momento non emergono difficoltà specifiche.
Entusiasmo per Romeo e Giulietta, il che consolida l’opinione che i
preadolescenti sono molto interessati all’amore in tutte le sue sfaccettature.
Forse ne sentono il bisogno. Abbiamo provato la scena del balcone un paio di
volte. Il balcone è il trabattello che sta facendo un ottimo servizio (per Un’altra
Eva è il cielo da cui emerge l’angelo; per Eracle il palazzo
da cui si affaccia il tiranno Lico…). Giulietta è fresca, il suo innamoramento
è spontaneo e sbarazzino, non certo passionale; Romeo si muove tra la folla
seduta sul pavimento che ascolta con attenzione il dialogo. In pochi minuti si
condensa l’opera di Shakespeare, dalla festa nel palazzo dei Capuleti al finale
nella cripta. Un Reader’s Digest drammaturgico? No, di più. La ricerca
di una sintesi emotiva che poggia sulla sinergia espressiva di voce, movimento,
spazio, musica. Anche Otello ci regala emozioni. Non c’è difficoltà di
comprensione, da parte dei ragazzi, che anzi sono affascinati da queste
scorrerie nel mondo adulto. I testi sono ridotti e adattati, in modo da
semplificare la sintassi e il lessico; e questo consente di entrare meglio in
sintonia con i loro ritmi, dato che a undici anni non c’è il tempo lungo del
monologo shakespeariano. Parola e azione dai tempi rapidi, variazioni continue,
sincronia e sintonia. La scelta testuale consente di affrontare la questione della
scenografia, dei costumi e delle musiche. Impensabile uno stile mimetico, e
nemmeno di coerenza storica. Si va alla ricerca di suggestioni semplici: un
drappo, un colore, un oggetto. E la colonna sonora mescola senza timidezze un
minuetto a un brano punk.
Poi c’è Ragazzi coraggiosi.
Con una classe quinta. Tre quadri per raccontare le ansie di un bambino Al primo
giorno di scuola media: la casa (con i Disastri e i Ladri), la strada (con le Automobili
e le Perturbazioni) e la scuola (con la prof.ssa Lastrega e la bidella
Licantropa). Anche qui, il ricorso continuo a coreografie, musiche in piena
libertà, effetti sonori, sorprese collaudate (palloncini colorati, automobiline
elettriche…). Il teatro come un videogioco veloce e divertente.
Segue Rospo. Una prima
media. Diversità e bullismo. Tre streghe minacciate di rogo fanno un
incantesimo che colpisce uno sprovveduto ragazzino lì per caso. Ne esce con la
faccia verde e si ritrova in un altro tempo e in un luogo sconosciuto. Viene
preso di mira dai bulli, ma le streghe tornano per aiutarlo. Nell’esplorazione
iniziale c’è timidezza, paura di esporsi di fronte a un pubblico. Alla prima
prova, quando sentono che la musica è la loro musica, che la gestione del corpo
è ludica, che si tratta di un gioco entusiasmante… tutti partecipano con brio e
interesse, e si divertono.
Con ben sette lettori e un
suonatore di tablas indiane metto in scena una lettura di Eracle
di Euripide. Anche in questo caso ho operato aggiustamenti del testo,
accorciando e semplificando, in modo che la lettura espressiva sia facilitata e
sia più comprensibile. Una semplice coreografia dell’insieme, con piani diversi
(il citato trabattello) e spostamenti, attenua la monotonia della lettura, mentre
la ritmica dei tamburi e la suggestione della musica registrata appoggia il
recitato. Una serata precedente serve a illustrare il quinto secolo in Grecia
(storia, pensiero, arte e letteratura) e la struttura della tragedia.
Tra poco Tecneke si prepara alla
serata sulla “famiglia fantasma”, ovvero
sulle unioni civili. Letture di brani sull’affettività omosessuale. Anche qui,
tornare alla parola antica, che non era solo declamata, ma cantata ed espressa
con il corpo in movimento.
In prospettiva, forse la riedizione di Mamma
mammazza. E qui davvero scandaglio lo scheletro del teatro. Un teatro quasi
senza scenografia, senza un forte supporto tecnico, senza un luogo adeguato in
cui provare, senza interpreti con una preparazione sia pur minima, senza possibilità
di repliche (teatro dell’effimero, spesso si esaurisce con il debutto), senza recensioni e senza
riconoscimenti. Eppure, nonostante i limiti notevoli, non me la sento di
declassarlo ad attività del tempo libero. Si fa teatro con niente come
lo si è sempre fatto prima del proliferare degli edifici privati e delle scuole
di formazione dell’attore. Un teatro senza la presunzione e la prosopopea intellettuale
del divismo, e per fortuna senza il formalismo e l’ipocrisia del foyer. Un
teatro, però, che non annoia. Forse perché non pretende di cambiare il mondo,
ma solo di raccontare quanto il mondo è vita, e quanto la vita è movimento e
suono, ritmo e musica, sinergia e cooperazione.
Nessun commento:
Posta un commento