“Auge del sangue” è un’opera drammatica rappresentata
in Oleggio il 25 novembre 2015.
Sinossi.
IL MITO. Aleo, re di Tegea in Arcadia, avvertito da
un oracolo che un eventuale nipote avrebbe ucciso gli zii e avrebbe regnato al
loro posto, ha dedicato la figlia Auge al tempio di Atena. Un giorno Eracle
viene ospitato nel tempio e violenta la sacerdotessa, sempre a causa degli
accessi di follia che gli causa la dea Era.
Aleo, non osando uccidere la figlia, incarica re
Nauplio di affogarla, mentre il bambino viene abbandonato nel bosco. Nauplio,
invece, la cede ai mercanti che a loro volta la vendono a Teutrante, re di Misia.
Là Auge si ricongiunge con il figlio Telefo.
NEL MIO TESTO, Auge è minacciata di morte da Eracle
che tenta di sfondare la porta del tempio. Dai dialoghi con il padre, la dea
Atena e l’indovino Calcante scopre di essere sempre stata vittima degli uomini.
Viene anche a sapere che il figlio Telefo, una volta cresciuto, guiderà i greci
a Troia. Evoca gli spettri di Achille, Ettore, Odisseo, eroi pentiti, e fa loro
aprire la porta che la separa da Eracle. Il suo sacrificio vuole impedire che
scoppi la guerra. È quindi la storia di una donna che patisce violenza dagli
uomini, ma si ribella e si sacrifica per il bene comune.
La condizione di Auge è di essere sottomessa, corpo e
spirito, alla dea Atena della quale è sacerdotessa. Tale condizione la solleva
dal diventare moglie-schiava di un uomo attraverso il matrimonio e la pone al
riparo dalla prostituzione che diventa l’estrema risorsa di una donna priva di
protezione familiare maschile. Ma è una condizione di assoluta schiavitù di
corpo e di spirito. Auge non può lasciare il tempio e non le è concesso alcun
pensiero diverso da quello della dea e della società androcratica.
Atena è la dea della giustizia, ma anche della guerra.
La giustizia si ottiene quindi con la guerra al crimine, senza mediazioni quali
l’empatia, la comprensione, il recupero sociale. La guerra, in tutte le sue
forme, viene ampiamente giustificata e santificata, divenendo la soluzione più
efficace dal punto di vista economico e politico. Atena è soprattutto la dea
che, secondo le parole di Eschilo, ha assegnato al maschio la supremazia. La
donna non è creatrice di vita, è solo un contenitore del potere generativo dell’uomo.
Lei stessa è nata direttamente da Zeus, senza alcun intervento da parte di una
femmina. Atena legittima quindi la supremazia maschile. Insieme ad Apollo
manipola l’aeropago, il supremo tribunale di Atene, affinché Clitennestra venga
condannata per l’assassinio di Agamennone, mentre Oreste, che ha poi vendicato
il padre uccidendola, sia assolto. L’uomo, in conclusione, ha sempre validi
motivi per uccidere; la donna mai. L’uomo è innocente per il fatto stesso che è
uomo, la donna colpevole a causa del suo status di femmina.
Sarebbe semplicistico ridurre la questione a
misoginia. Essa è molto più ampia e profonda e concerne una visione conflittuale
tra i sessi che non possono convivere senza una sottomissione. È un pensiero
perverso che guida l’umanità da migliaia di anni: solo al maschio maturo spetta
la conduzione della società; a lui devono obbedire ciecamente bambini, giovani
e donne.
Faccio riferimento ai libri di Marija Gimbutas per
quanto riguarda l’Europa Antica a carattere ginocentrico, ossia centrata
intorno alla donna e alla madre, dal settimo al quarto millennio a.C. del Neolitico.
Dalla Treccani: “Gilania.
Organizzazione sociale anteriore al patriarcato, esistita in Europa tra il 7000
e il 3500 a.C. e caratterizzata dall’eguaglianza tra sessi e dalla sostanziale
assenza di gerarchia e autorità centralizzata. Tra il 4300 e il 2800 a.C. la g.
sarebbe stata soppiantata da un'altra cultura neolitica, quella dei kurgan, una
società androcratica e patrilineare emersa dal bacino del Volga. Il termine è
stato coniato dall'archeologa di origine lituana M. Gimbutas utilizzando le
radici greche gy (donna) e an (uomo)."
Nella prefazione a “La civiltà della dea” scrive:
“Secondo le ipotesi degli archeologi e degli storici
la civiltà implica un’organizzazione politica e religiosa di tipo gerarchico,
un’economia bellica, una stratificazione sociale e una divisione complessa del
lavoro (…) Io contesto la tesi che la civiltà si associ esclusivamente a società
guerriere androcratiche. Il principio su cui si fonda ogni civiltà si trova a
livello della sua civiltà artistica, nei suoi progressi estetici, nella
produzione di valori non materiali e nella garanzia della libertà individuale
che rendono significativa e piacevole la vita di tutti i cittadini, nel quadro
di un equilibrio di potere equamente ripartito tra i sessi.”
Nessuna contestazione può togliere alla Gimbutas il
merito di avere riportato l’attenzione degli studiosi sull’importanza della
donna agli albori dell’umanità. Ella ci mostra un Neolitico di comunità pacifiche
che vivevano in capanne affrescate riunite in villaggi privi di fortificazioni,
con ricca produzione di ceramiche decorate, un commercio vivo e ampio, un’agricoltura
sapiente, una religione non punitiva ma rasserenante, un legame forte e
profondo con la natura. Gimbutas ci presenta la contrapposizione tra l’uomo
(autocratico, guerrafondaio, consumista, distruttivo, misogino) e la donna (democratica,
pacifista, ambientalista, collaborativa, costruttiva).
Un’altra studiosa la
supera, Riane Eisler. In due libri “Il Calice e la Spada. La civiltà della
Grande Dea dal Neolitico a oggi” e “Il piacere è sacro. Il potere e la
sacralità del corpo e della terra dalla preistoria a oggi”, ci racconta come
all’inizio dell’umanità vigesse un modello di partnership tra maschi e femmine,
in comunità dedite all’agricoltura e unite da un senso di sacralità femminile
della vita e della natura. L’invasione degli indoeuropei o di chi per essi, di
popolazioni comunque dedite alla pastorizia, ha imposto un sistema di dominanza
indotto, scrive la Eisler, da condizioni di vita difficili che hanno spinto l’uomo
verso una visione punitiva della natura, violenta e distruttiva. Da una natura
femmina a una natura maschio contro cui combattere.
Ciò che importa è che al modello della partnership,
ossia della comunità democratica collaborante, si è sostituito quello della
dominanza maschile, fondato sul dispotismo e sulla guerra.
Basta così, a parte la raccomandazione di leggere i
testi delle due studiose, magari solo quelli della Eisler che ricorda e
sintetizza la Gimbutas.
Come si inserisce “Auge del sangue” in questo
scenario?
Auge si confronta con una società maschilista (il re,
il sacerdote, il guerriero) e scopre di non avere dalla sua parte nemmeno l’unica
femmina, la dea Atena che appoggia le scelte di dominanza degli uomini. Dopo il
Neolitico, con l’età del Bronzo e quella successiva del Ferro e con il sorgere
della Grecia classica, molte dee hanno subito mutamenti coerenti con la nuova
società. Afrodite non è più la forza creatrice della natura, lei che nasce dal
brodo primordiale del mare; ma diventa la rappresentazione della seduzione e
degli intrighi amorosi. Di queste cose la invita a occuparsi Zeus, e non della
guerra di Troia; e a chi va in sposa? Al
dio che più degli altri richiama il maschio primitivo e bruto, Efesto. E di chi
è l’amante? Del dio della violenza, Ares. Efesto e Ares sono i suoi custodi.
Era, più che madre degli dei, impersona la donna matura bizzosa e gelosa,
prepotente e vendicativa che trama nell’ombra. I greci andavano alla ricerca di
giustificazioni per rinchiudere le donne nel gineceo e tenerle lontane dalla
vita pubblica. Artemide? Non più la Signora degli animali, ma la cacciatrice. L’uomo
cacciatore si sostituisce all’agricoltore; anzi, alla donna raccoglitrice e
seminatrice, e il rapporto con la natura diventa violento. Estia rappresenta l’ideale
femminino tutto casa e chiesa. Demetra e Core-Persefone perdono sempre più i
caratteri originari e diventano figure minori, salvate solo dagli adepti dei
misteri orfici e pitagorici.
Auge si ritrova in balia dei grandi poteri. Scopre
che il padre l’ha sacrificata fin da piccola al tempio per evitare le
conseguenze di un oracolo. Si scontra con il profeta-sacerdote Calcante sulle
diverse visioni del mondo; lei propone l’integrazione tra i popoli e la pace,
Calcante la contrapposizione e la guerra. Assiste allo svolgimento dell’esistenza
del figlio Telefo, strappatole alla nascita. Egli diventa re, ma pur di guarire
da una ferita che lo tormenta vende ai greci gli alleati troiani. Insomma, Auge
si ritrova emarginata e in opposizione contro tutta la società maschilista e
guerrafondaia. Nemmeno gli dei sono dalla sua parte.
A che cosa può fare appello? Al dialogo e alla
persuasione. Ella fa appello ai grandi eroi della guerra di Troia, che vorrebbe
scongiurare. Achille, Ettore e Odisseo, non più divisi e nemici, hanno potuto
riflettere, nella morte, sull’assurdità della condizione umana. L’uomo, invece
di cercare la vita e la felicità, alimenta il fuoco della distruzione.
Ripudiano lo status di Eroi, in nome della pace. Che cosa contano più gli onori
e il bottino, dopo la morte? Aiutano Auge a conseguire il proprio obiettivo.
Non patriarcato contro matriarcato, non uomo contro donna,
e nemmeno il contrario. Il ritorno alla natura, alla tolleranza, all’accettazione
del diverso, alla coesistenza pacifica, al benessere sostenibile. La ricerca
della felicità passa attraverso la collaborazione di tutti con tutti, unica
strategia per superare le inevitabili difficoltà che sia la natura sia la
convivenza presentano.
Auge è un grido contro la dominanza.
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