martedì 10 agosto 2010

ANCORA SULL'ARLECHIN


Ho scritto il primo atto, sei scene. Se non avessi vincoli, in pochi giorni completerei l'opera. E invece la scrittura procede lenta e guardinga, attenta a non prendere strade sbagliate. Dubbi, esitazioni, timore di non farcela, notti agitate. Se non avessi vincoli, procederei lungo le vie maestre dell'efficacia narrativa, del personaggio principe, della situazione madre... insomma, sarei padrone di trattare i personaggi con la massima libertà.

E invece sono sopraffatto.

Quindici personaggi più il suggeritore (che quest'anno interagisce di più) mi obbligano a una revisione continua. Ecco che cosa succede.

Finito il primo atto, conto le battute e il numero di scene in cui compare ogni personaggio. Ne risulta che, poniamo, Marianna e Scerlocco compaiono solo in due scene, ma lei ha 43 battute e lui solo 6. Può succedere che due personaggi si siano un poco persi per strada e bisogna quindi recuperarli per aqssicurare loro una pari dignità.
Eh, sì, siamo proprio nel campo delle pari opportunità.
Devo stare attento che i personaggi abbiano una durata scenica equilibrata e soprattutto che siano tutti caratterizzati e significativi. L'ho già scritto, qui si tratta di combinare insieme sedici protagonisti.
Intanto, ho identificato le tre tematiche della commedia: il comizio elettorale dei tre conti, la strage dei gatti, il rapimento di un bambino.
Tutti i personaggi, nell'unità di tempo e di luogo, sono coinvolti nelle tre vicende, in un intersecarsi di situazioni comiche, drammatiche e patetiche. Un bel garbuglio!
Passo secondo: ipotizzo la trama delle sei scene del secondo atto, distribuendo i personaggi in modo da raggiungere l'equilibrio di cui sopra. E questo l'ho fatto. Da domani mattina vado con la scrittura.
Ma tutto ciò non toglie spontaneità, non fa rischiare un andamento macchinoso, non rischia di lasciare lati oscuri?
Non lo so, e non m'interessa più di tanto. E' un lavoro che faccio volentieri perché è un ottimo esercizio di scrittura teatrale. Non mi concentro tanto sulla chiarezza dello sviluppo drammatico quanto sull'efficacia delle singole scene. Voglio che il pubblico affronti un percorso obbligato di risate ed emozioni durante il quale non gli è dato il tempo di chiedersi se ha proprio capito tutto. C'è un livello di chiarezza estetica e di piacere che sta al di sopra di quello logico, del quale comunque non fa per niente a meno.
Finito qui?
No, c'è la questione della lingua. Alcuni personaggi parlano in italiano, altri in un veneto addomesticato. Non ho ancora raggiunto i risultati che vorrei. Mi piacerebbe aggiungere un altro idioma, un italiano un poco grammelot. Mi sono organizzato in questo modo: internet (siti di dizionari, proverbi, filastrocche in veneto...), dizionario italiano-veneto Vallardi, I Dialoghi del Ruzante tradotti da Aldo Busi, commedie di Goldoni (Baruffe, Rusteghi, Antiquario), La Venexiana di anonimo, Citazioni in latino...
Riepilogo: non scrivo lasciando che siano i personaggi a derminare le situazioni e a prendere per mano lo scrittore (altrimenti ne ricaverei un'opera squilibrata riguardo al "peso" di ogni personaggio), ma preparo una struttura di contenimento, in modo che alla fine le tre tematiche e i sedici personaggi non sgomitino tra di loro e non si facciano ombra.
Ecco l'esercizio di scrittura: imporre un equilibrio delle parti cercando di non sacrificare la spontaneità, il ritmo, l'efficacia, la comprensione.
A maggio dell'anno prossimo saprò se qualcosa di buono ne è venuto fuori.
Altrimenti ci riproverò.

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