L'introduzione.
"State per leggere un
testo di teatro, un monologo. A volte monologhi già rodati, arricchiti dalle
improvvisazioni dell’attore, diventano prosa. E su questo non c’è niente da
dire. Ma capita che si utilizzino pagine di prosa per mettere in scena
monologhi. In questo caso, non è raro che lo spettatore rimpianga il ruolo di
lettore, quando la velocità di assimilazione e godimento dell’oggetto artistico
dipende solo dalla sua tecnica (un po’ come guardare un film noiosino registrato,
il telecomando si rivela prezioso).
Lo scrittore di prosa, in
un soliloquio, di solito si concentra su: suggestioni ambientali e
paesaggistiche, ricordi, progetti, autoanalisi, messa a fuoco di emozioni e
sentimenti. Tutto questo può essere dirottato su un palcoscenico e diventare
spettacolare (non arricciate il naso, il termine “spettacolare” suona volgare,
ma rende l’idea; il teatro è spettacolo, piacere intellettuale, emotivo e
sensoriale)? Sì, certo, ma il rischio è che la drammaturgia abbia un forte
sapore di letteratura e lo spettatore può avere l’impressione di essersi
accomodato nel ristorante sbagliato.
Se leggere un libro è
un’esperienza diversa dall’andare a teatro, anche la scrittura di un monologo
si differenzia a seconda che si pensi a un racconto in prosa o a un
allestimento teatrale.
Il prosatore si riferisce
generalmente al lettore non tanto come persona fisica, bensì come mente e
cuore. Il referente del drammaturgo è il pubblico considerato nella sua
fisicità: un gruppo di persone che manifesta in modo visibile le emozioni con
mimiche facciali, applausi, brontolii, schiamazzi. Lo scrittore in prosa si
affida alla propria sensibilità letteraria per amalgamare efficacia narrativa
ed estetica, concedendo alla parola spazi ampi e modellandola da protagonista
unico dell’evento artistico. L’autore di teatro mette al centro della
creatività una “drammaturgia della misura” che più che esaltare la parola
sembra sacrificarla. Egli sa che lo spettatore, fruitore in mente e corpo, non
ha il tempo e gli strumenti per assimilare letteratura; egli assiste/partecipa
con una sinestesia che fonde comprensione, emozione, messaggio, visione,
ascolto.
Il drammaturgo non
descrive il personaggio, ma è il personaggio. Non si annulla in lui, altrimenti
non ci sarebbe più lo sguardo distaccato e produttivo dell’artista. L’autore
diventa il personaggio rimanendo sé stesso e da questa simbiosi nasce la
partecipazione emotiva alla storia.
Non descrive il
personaggio anche perché è destinato a essere interpretato da una serie di
attori diversi. Ogni personaggio di teatro nasce senza fisionomia e ne assume
mille nel corso delle rappresentazioni. Esso è uno e molteplice
(pirandelliano). Il drammaturgo non simula il personaggio nel suo habitat. Il
monologo non è un documentario, racconta una storia e tutto, dall’ambientazione
allo scorrere del tempo, si sottomette all’efficacia della narrazione
rappresentata. Il drammaturgo non dimentica mai che sta scrivendo per il teatro
e che il suo personaggio vive su un palcoscenico. La drammaturgia misura la
parola affinché non prenda il sopravvento sulla “teatralità” e inoltre si
misura con lo spazio e le risorse tecniche dei luoghi di rappresentazione.
Il drammaturgo sa che la
parola teatralizzata suggerisce e suggestiona, accenna e stimola, e soprattutto
fa sintesi. Misura, sintesi, condensare nel tempo e nello spazio grandi cose.
Sa pure che la parola,
quando si ritira, lascia la ribalta alla musica, ai suoni, alle pantomime, alle
luci, ai colori, ai silenzi…
Il monologo che state per
leggere non dev’essere rappresentato per forza da un solo attore. Io lo metto
in scena con un gruppo di ragazzi. Le voci narranti si alternano, sostenute da
cori, azioni mimiche, musiche e rumori. Il monologo si trasforma in dramma. E
voi? Come lo “visualizzate”? Questo è il teatro. Teatro Panico. Sorprende.
Proteiforme.
Buona lettura."