giovedì 31 ottobre 2013

IL TEATRO DEL CONFLITTO

Ogni volta che inizio l’allestimento di un nuovo spettacolo, sia su testo mio sia altrui, mi ritrovo nel conflitto tra espressione verbale e non verbale. Che è come dire fra testo e ambiente. Non fra testo e corpo? Non fra testo e immagine? No, fra testo e ambiente. Se passeggio in una foresta e possiedo sufficienti cognizioni per dare un senso scientifico a tutto ciò che colpisce i miei sensi, mi trovo nel conflitto tra: a) godere in tutta semplicità delle visioni fugaci degli animali e dei rumori misteriosi o dei versi degli uccelli e della tavolozza vegetale e delle forme di fiori e piante e insetti…; b) attribuire i nomi ai singoli elementi, stabilire relazioni tra gli elementi, analizzare l’esperienza sensoriale e raccontarla…
Si direbbe un conflitto tra senso e ragione.


Il teatro sembra nascere come rito di comunicazione mistica tra l’uomo e le forze naturali o le divinità e tra l’uomo e la comunità. Nasce come parola o come danza? Penso che nasca come parola danzata, o perlomeno gestualizzata. Nasce come relazione spontanea tra l’uomo e l’ambiente. Come comunicazione dell’uomo con l’universo. Parole semplici, all’inizio, rafforzate da imitazioni di suoni naturali e magari da glossolalie. Poi la religione e il potere civile hanno sostituito i suoni con i discorsi, i dogmi, le invenzioni, i divieti, gli anatemi, gli inni. Allo stesso tempo, gli oppositori dello strapotere religioso e civile hanno prodotto parole di libertà, individualismo e protesta.
Via via, la parola è diventata sempre più importante rispetto alla musica, alla danza, alla pantomima. Dalla tragedia alla commedia, dal dramma al cabaret, dal teatro civile alla rappresentazione cinematografica della vita contemporanea.
La danza si è messa per conto proprio, così come il canto e il mimo.  
Perché conflitto fra testo e ambiente?
Quando gli attori cominciano a recitare il copione, ho l’impressione di esseri alieni  travestiti da umani sbarcati su un pianeta sconosciuto. Si muovono in una dissociazione corpo/mente, non stabiliscono relazioni sensate con lo spazio, utilizzano con diffidenza gli oggetti di scena, tra loro non c’è comunicazione, la performance risulta priva di valore estetico, sgradevole e inconsulta.
La parola non è ecologica, non rispetta e non entra in sintonia con l’ambiente scenico, avendo invece come obiettivo la simbiosi.
Ciò avviene anzitutto se la parola s’incarna, si fa corpo. Un testo letto non fa teatro, un testo vissuto fisicamente definisce l’entità attoriale che deve inserirsi in modo attivo e congruo nell’ambiente scenico.
La parola incarnata attinge alle risorse del mimo, della danza, del canto. L’ambiente scenico è composto dallo spazio, dalle luci, dagli oggetti e dalle interazioni tra di loro e con gli attori.
Il conflitto è vissuto in psicologia come una situazione instabile che deve essere risolta. Il conflitto porta a una scelta e la scelta deve essere effettuata in modo consapevole, per non rischiare una fuga dalla realtà o l’incidenza negativa del conflitto spostato nell’inconscio.
In teatro, tuttavia, e spesso anche nella vita, il conflitto può essere svelato e accettato in tutta la sua potenza disgregante. Esso diviene il motore di un dinamismo costruttivo, uno stimolo ad accettare una realtà complessa e contraddittoria, che viene conservata tale. Il mantenimento del conflitto ci evita la facile razionalizzazione del reale che porta sì al consenso e all’integrazione, ma anche alla perdita di potenzialità.
Parola e ambiente (inteso come visione, suono e movimento) trovano nel conflitto vivente l’opportunità di non sacrificarsi l’una all’altro. Il conflitto stimola la ricerca di modalità di convivenza espressiva, verso un’ecologia del palcoscenico nella quale ogni elemento trae senso e forza dall’insieme.
La via appare più ostica e complessa che non concentrare gli sforzi sulla recitazione naturalistica, degradando l’ambiente a sfondo con funzione solo estetica; o sulla suggestione di un ambiente complesso nel quale però la parola viene sacrificata, resa quasi incomprensibile.
La parola è spazio, lo spazio si fa parola, il movimento parla, al testo vanno date gambe e ali, la parola recitata vira in canto, il canto esprime il testo, la luce si fonde con le parole, tutto si fa ritmo, un cuore grande e complesso batte sulla scena, vi scorre un sangue-parola che ha senso solo se si fonde in un organismo.    

  

martedì 29 ottobre 2013

STRANIE



“Stranie” è una performance su accoglienza e integrazione che dura circa mezz’ora, allestita in dieci incontri presso “La Pinetina” di via Cervina, a Sant’Agabio. Si inserisce in una serie di laboratori promossi da Regione e Provincia con la mediazione della Parrocchia, in collaborazione con diverse associazioni, tra le quali Tecneke di Oleggio.

 Mi è stato chiesto, durante la prima riunione, di rispettare le norme dell’Islam sulle rappresentazioni teatrali delle donne: evitare musiche leggere, evitare il ballo, evitare l’esibizione del corpo e i movimenti scomposti. Mi ci sono attenuto senza difficoltà, avvalendomi di musiche free scelte per la ritmica e l’atmosfera. Le cinque ragazze Amel Aouachria, Imen Aouachria, Naoures Silini, Sirine Sirini, Maha Harmassi hanno dagli undici ai diciotto anni e hanno partecipato con entusiasmo.



L'INIZIO:

Dark tension
Entrano con espressione neutra, esprimono forza e orgoglio. Stop.
Ancient times
Sirine fa cadere le sedie. Sobbalzi.Camminata sul posto e camminata nello spazio.
Melodie for solo e piano
Prendono una sedia dal mucchio. Si dispongono ad arco. Sirine si scosta.  Squilla il cellulare. Dialogo tra lei e la madre.
Sveglia elettronica
NAOURES    Sirine, finalmente. Ma dove sei?
SIRINE          Sono qui.
NAOURES    Qui dove?
SIRINE          Eh, qui dove… Non lo so.
NAOURES    Come fai a non saperlo!
SIRINE          Mi hanno dato un indirizzo e ci sono arrivata in taxi, ma non ho idea…
NAOURES    Per quanto devi stare lì?
SIRINE          Non so quanto ci vuole. Non è ancora venuto nessuno a dirci…
NAOURES    Chiedi a qualcuno, no?
SIRINE          Sì, sì, ora vado vedere.
NAOURES    Ma in quante siete?
SIRINE          Una decina. Straniere, per lo più.
NAOURES    Straniere? E perché straniere?
SIRINE          Non lo so perché straniere!
Squilla anche il cellulare delle compagne e ripetono le stesse parole.
Sveglia elettronica
TUTTE            Sono qui. Eh, qui dove… Non lo so. Mi hanno dato un indirizzo e ci sono arrivata in taxi, ma non ho idea… Non so quanto ci vuole. Non è ancora venuto nessuno a dirci… Sì, sì, ora vado vedere. Una decina. Straniere, per lo più. Non lo so perché straniere!
Tornano al posto.
AMEL            Mi hanno detto di venire qua e io ci sono venuta.
SIRINE          Mi hanno detto che qui aiutano le giovani, ma non si vede nessuno.
IMEN             Mi hanno detto che avrei trovato una struttura con scuole, laboratori e impianti sportivi, ma per il momento vedo solo una stanza.
NAOURES    Forse bisogna oltrepassare quella porta, ma nessuno ci dice che cosa fare.
MAHA           C’è qualcuno, per favore? Non posso stare qui tutto il giorno.
Come prima, tutte in giro a ripetere: C’è qualcuno, per favore? Non posso stare qui tutto il giorno.
Arpa cinese
Una alla volta tornano sedute, meno Amel.
AMEL            Io provo a bussare alla porta.
TUTTE            Prova a bussare alla porta.
Bussare alla porta 16
Ruggito leone.
AMEL            Era un leone.
TUTTE            Era un leone.
AMEL            Che cosa ci fa un leone dietro la porta?
TUTTE            Che cosa ci fa?
AMEL            È uno scherzo?
TUTTE            È un leone.    
AMEL            Io me ne vado. Questi sono matti. Un leone! Addio!
TUTTE            Addio.
Ritorna.
TUTTE            Non dovevi andartene?
AMEL            La porta è chiusa. Ci hanno imprigionate qui dentro.
Tutte a vedere, gridano: aprite! Tornano.
Timpano 89

C’era una volta la porta
di questa favola corta.
Chiusa la porta, ancora cammina,
dove credi di andare, bambina?
Vado lontano mille futuri,
dove non vivi tra quattro muri.
Dietro la porta un mistero:
sarà falso ciò che è vero?
Attenta, bambina che vai lontano,
chiedi a qualcuno di darti la mano.
Apro la porta e vado da sola,
un passo, un altro e poi via si vola!
La porta s’è aperta e richiusa,
la storia qui sembra conclusa.
Ma un’altra bambina arriva gridando:
apriti, porta, son io che comando!
Acqua gocciolante

IMEN             Mi chiamo… 





giovedì 24 ottobre 2013

CAPPUCCETTO LUPO 2



Cominciamo con le interviste ai personaggi. Spiego ai ragazzi che possiamo mettere in scena l'opera solo mediante l'immaginazione. Si tratta di ricreare mentalmente l'ambiente e l'atmosfera del territorio selvaggio dei lupi. Non chiedo di approfondire i personaggi con osservazioni basate su psicologia e sociologia, non voglio appiccicare una visione adulta alla loro spontaneità infantile. Li lascio liberi di conoscere i personaggi con fantasia, rispondendo alle domande con piena libertà. Scuoio e Diserbo. Perché odi i lupi? Perché hanno mangiato una gamba di mia nonna. Qual è stato il tuo giocattolo preferito? Un piccolo bisturi con il quale ho scuoiato il mio criceto.
Passiamo alla recitazione. Quasi tutti hanno già memorizzato il testo. La lotta iniziale tra i due cuccioli di lupo, Graffio e Dentino. Non è facile, alla loro età, distinguere tra contatto fisico minaccioso (ed è rissa), ludico (ed è confusione), teatrale (e di colpo non si sa più come e dove mettere gli arti). Tutto, in scena, deve diventare armonia e balletto, tutto rientra in uno schema espressivo, tutto è controllato. Costruiamo la prima scena: Graffio mette spalle a terra Dentino, Dentino reagisce, Graffio lo spinge via... proprio un balletto. E cominciamo a cercare la voce. Non è più la voce di un bambino, ma non è nemmeno quella di un bambino che imita un lupo. Deve essere la voce di un bambino-lupo, tutto da inventare. 
Tocca a Scuoio e Diserbo. La prima battuta: "Senti come ululano". Faccio ascoltare le registrazioni di ululati singoli e di branco e poi ci mettiamo a ringhiare e ululare. Non più bambini lupi, ma bambini macchine. Di intuizione in intuizione, costruiamo due tipi fuori di testa, dagli entusiasmi improvvisi, esagitati, che ogni tanto si bloccano, vanno in tilt; in questo caso, il compare spara, l'altro si piega, si toglie il proiettile dalla carne e se lo mangia. Cose così, da cartoon macabro.
Ho scaricato decine di brani free di musiche d'atmosfera (foresta e natura), etniche (pellerossa), ritmiche (percussioni). 
Li fornisco di strumentini etnici e li invito a muoversi dietro il fondalino semitrasparente (telo agricolo antigrandine) con una lampada che taglia e fa controluce. Una danza tribale che rallento e rallento ancora, fino a rendere i movimenti un soffio d'aria leggero. Prima le ragazze, poi i ragazzi. 
E poi le due ore sono finite.
Le due scene citate:

Crepuscolo. Un lupo ulula. Un secondo lupo lo attacca. Breve lotta.
DENTINO      Basta, Graffio. Sono stanco.
GRAFFIO      Di’ la verità. Sono il più forte.
DENTINO      Se volevo, ti buttavo a terra in un attimo.
GRAFFIO      Perché non l’hai fatto, Dentino?
DENTINO      Dopo ti metti a piangere.
GRAFFIO      Bugiardo. Stavo per vincere e ti sei ritirato.
DENTINO      Non ho paura di te.
GRAFFIO      Allora fatti sotto.
DENTINO      Sono stanco.
GRAFFIO      Perdi sempre, fratellino.
DENTINO      Se non la smetti…
GRAFFIO      Che cosa fai? Ti metti a piangere?
DENTINO      Smettila. Sta’ zitto.
GRAFFIO      Io non frigno mai. Tu sempre.
DENTINO      Sono più piccolo e ne approfitti.
GRAFFIO      Sempre la stessa storia. I lupi sono tutti grandi.
DENTINO      Alcuni lupi grandi sono piccoli.
GRAFFIO      Ascolta.
DENTINO      È il padre. Sta tornando.
GRAFFIO      Sì, ma c’è qualcosa che non va. È un ululato d’allarme.
DENTINO      Forse ha trovato la madre.
GRAFFIO      Sarebbe un ululato di trionfo.
DENTINO      Ho paura.
GRAFFIO      I lupi non hanno paura di niente.
DENTINO      Alcuni lupi senza paura hanno un po’ di spavento.
GRAFFIO      Gli rispondo che stiamo bene.
DENTINO      E la madre? Da quando è scomparsa, non mi sento sicuro.
GRAFFIO      Sei malato di cucciolite acuta. La madre torna presto, capito? Di’ che torna presto, se no ti picchio.
DENTINO      Torna presto.
GRAFFIO      Andiamo incontro al padre.


SCUOIO        Senti come ululano.
DISERBO      Bestie selvagge, fate schifo!
SCUOIO        Gli insegniamo noi a stare zitti.
DISERBO      Sì, siamo forti! Muti per sempre.      
SCUOIO        Difficile ululare se ti tagliano la testa.
DISERBO      Uh, che impressione. Ma come sei crudele.
SCUOIO        Hai ragione. La testa gliela tagli tu. Io gli tolgo la pelliccia.
DISERBO      Per forza, ti chiami Scuoio.
SCUOIO        Tuttavia… tu sei impegnato a distruggere la foresta. Non per niente ti chiami…
DISERBO      Diserbo.
SCUOIO        Le teste le taglio io. Sono preciso. Un bisturi vivente. Poi le imbalsamiamo e le vendiamo ai turisti.
DISERBO      Tante teste, tanti soldi.
SCUOIO        Furbi, noi.
DISERBO      siamo forti! Non siamo mica stupidi come i lupi che si fanno massacrare.
SCUOIO        Sono brutti, puzzano, hanno le pulci, sbavano. Ammazziamoli tutti.
DISERBO      Pam pam pam pam pam! Tutti morti. Aspetta. Ne è avanzato uno. Pam! Addio, lupi.
SCUOIO        Che dici, ci fidiamo della padrona?
DISERBO      Ha una grande esperienza. Il suo primo lupo l’ha fatto fuori che era una ragazzina.
                        A quel tempo la chiamavano Cappuccetto Rosso.
SCUOIO        Ora invece si chiama Cappuccetto Lupo. 

GIOIA


Pubblicato con Narcissus.me, tra qualche giorno disponibile in tutte le librerie online di ebook.

Gioia è una bambina speciale. Attraverso una porticina sul pavimento scende nel mondo di sotto (dove i topi l’accolgono curiosi, i gatti sornioni); mentre quella sul soffitto la fa entrare nel mondo di sopra (dove gli ippopotami hanno ali di cigno). Gioia è furibonda perché la mamma vuole darle una sorellina. Recide un orecchio all’orsacchiotto Pelo causandone la fuga. Deve andare nel mondo di sotto e strapparlo dalle grinfie di Caneneroeblu. Ha bisogno dei Supereroi del mondo di sopra, dove fa la conoscenza di un bambino strano. Nel mondo di mezzo, nel frattempo, la madre viene ricoverata all’ospedale. Gioia sa che cosa deve fare per salvarla.
Un libro per bambini? Tutt’altro, anche se i bambini possono provare a leggerlo. Un libro per adulti intelligenti che sanno ancora sorridere e che sanno ancora pensare ai grandi temi: il mondo infero dell’anima nostra e della natura, il mondo della conoscenza in immagini e immaginazione, la morte come sogno, la solitudine e la diversità di ognuno di noi, l’energia vitale, l’originalità di pensiero e di comportamento di chi non è omologato e non si lascia condizionare dai falsi miti.
I veri miti, quelli antichi che ancora guidano la psiche, sono qui trasposti in disegni infantili, presentati da una voce che diverte e commuove.
Il tutto in una scrittura accattivante che trascina dentro e sopra.

domenica 20 ottobre 2013

CAPPUCCETTO LUPO 1

Si chiamano Amanda, Andrea, Aurora, Bruno, Chiara, Giada, Gianluca, Lorenzo, Luca, Maela. Sono i dieci  Passerotti del corso di teatro organizzato dal Comitato Genitori dell’I.C. “Verjus” di Oleggio. Hanno dieci anni, meno Andrea che ne ha uno in più. Potremmo anche chiamarli Lupacchiotti, dato che mettiamo in scena una rivisitazione intitolata “Cappuccetto Lupo”; ma fa piacere un ricordo del Teatro dei Passeri, ora Tecneke.
Cappuccetto Lupo è Cappuccetto Rosso da grande. Ha sviluppato un odio profondo per i lupi e ha accettato con entusiasmo il ruolo di sterminatrice di lupi offertole dai progettisti di un gigantesco centro commerciale che sorgerà al posto della foresta. Si avvale della collaborazione di Scuoio e Diserbo, due individui spietati. Si scontrerà con il lupo Licos e con i suoi cuccioli Dentino e Graffio. Ma dovrà fare i conti con la figlia Maela che esplora la foresta insieme all’amica Aurora. Maela scopre con orrore e dolore i piani criminosi della madre. Cercherà di fermarla con l’aiuto di Anima e Vegeta, spiriti  della natura.
Il lavoro dell’anno scorso, “Dietro la porta”, è stato propedeutico. Quest’anno l’intenzione è di mettere in scena un’opera articolata e profonda. Punto sulle suggestioni del testo (l’anima degli animali e delle piante, l’anima mundi; il ciclo di vita e morte; il coraggio nella difesa delle convinzioni; i rapporti affettivi…), ma ho soprattutto l’ambizione di realizzare un teatro in stile Tecneke. Un teatro più da vivere che da recitare. Un teatro che sia esperienza di relazioni non artificiali e non artificiose. Siamo abituati al teatro come esibizione di attori che mostrano le proprie abilità a un pubblico giudicante, la cui presenza è sottolineata dal comportamento degli attori stessi (gesti e sguardi, scansione recitativa generata dal rapporto con gli spettatori) e dalla disposizione della macchina scenica (scenografia, luci, musiche, tutto strutturato in funzione del pubblico). Non facciamo certo a meno del pubblico, ma lo dimentichiamo. Gli attori si concentrano sul gioco di relazioni nello spazio chiuso a loro dedicato che vivono il più possibile a livello allucinatorio. Devono vedere la foresta e sentirne le voci, devono ascoltare le proprie emozioni e trasmetterle. È possibile farlo con attori di dieci anni? Non lo so e non voglio nemmeno angustiarmi in ordine ai risultati da conseguire. Qualunque forma d’arte si pratichi, c’è bisogno di una linea guida, di una semiotica personale, di una visione del mondo che dia significato e motivazione. “Cappuccetto Lupo” non si prefigge di deliziare il pubblico con una compagnia di decenni che racconta una storia ambientalista con il supporto di luci colorate e musiche suggestive. Anche q          uesto, ma non solo. L’intenzione è di offrire a dieci bambini un viaggio dentro la propria immaginazione, alla riscoperta di sé come anima/corpo/voce in relazione espressiva con il mondo.
Incominciamo con la lettura della favola tradizionale nelle due versioni di Perrault e di Grimm. Poi la controfiaba, dal punto di vista del lupo, dello scrittore americano Lief Fearn. Leggo quindi una scheda particolareggiata sul lupo. Infine, alcuni documentari con l’analisi dell’ululato e dell’andatura. Tutto questo non come in un’aula universitaria. I giovanissimi allievi manifestano curiosità coerenti con l’età e non capiscono bene, a volte, le mie richieste. Vengono da otto ore di scuola, hanno voglia di muoversi, farsi scherzi, ridere. Distribuisco le prime pagine con il compito di memorizzare alcune battute. La prossima volta si comincia a “recitare”. Dieci personaggi da tenere in scena giustificandone la presenza quando non hanno battute (detesto il dentro fuori degli attori). Non so ancora come farò. Sto strutturando mentalmente lo spazio. Tre pedane per il territorio dei lupi; un fondale trasparente per Anima e Vegeta; due cubi… La soluzione sta nel giocare. All’inizio è il caos, ma anche la vita strutturata è nata dal caos.


mercoledì 9 ottobre 2013

POESIA A SCUOLA E IN BIBLIOTECA

Perché la poesia? Per intervenire sul grande a volte è meglio agire sul piccolo. I ragazzi leggono sempre meno, scrivono poco e il poco che scrivono spesso ha le caratteristiche di un’attività faticosa per la quale l’interesse e le competenze sono scarsi. Diventa sempre più improponibile lavorare sulla media e grande creazione, dall’elaborazione di un racconto breve a quella di un racconto lungo. Come indicano le abilità di scrittura online e di messaggistica, il ragazzo d’oggi ama la sintesi, la frase breve, il pensiero conciso. Questo può quindi essere un punto di contatto tra lui e la letteratura; in particolare, la poesia.

Uso quindi la poesia per un recupero della parola espressiva e poi del pensiero elaborato ed esposto con sapienza e cognizione. Uso la poesia per stimolare la curiosità verso il linguaggio e per tentare un nuovo innamoramento che riporti alla lettura. Uso la poesia per riproporre un uso libero, personale e profondo della mente, non su comando altrui e nemmeno per scopi utilitaristici, ma per il semplice piacere di relazionarsi al mondo con il proprio pensiero; parlo di un approfondimento di relazioni tra l’io, le cose, le altre forme di esistenza consapevole. Uso la poesia, infine, per sondare e rianimare emozioni e sentimenti non contaminati dalla realtà invadente dei mass media e quindi per riscoprire se stessi.
Proporre forme di produzione poetica nella scuola può quindi avere come obiettivi: migliorare l’uso espressivo della lingua; sviluppare passione per scrittura e lettura; stabilire relazioni nuove e straordinarie con il mondo; riavviare un percorso di conoscenza di sé.
Ma quale poesia proporre?
Filastrocche e rime vanno bene per un primo approccio, ma poi sorge la necessità di sviluppare la lingua nelle sue potenzialità massime e di affrontare contenuti che mettano in gioco la soggettività con l’alterità e la condivisione di vita in società e sul pianeta.
Una poesia adulta, che serva da ponte ai ragazzi per decodificare le opere letterarie.

Non si può avviare un lavoro in classe presentando un problema e affidando alla scarsa esperienza degli alunni il compito di risolverlo. Non si può dire: scrivete una poesia sull’autunno, descrittiva nella prima parte e metaforica nella seconda, dove sondate la malinconia di una giornata uggiosa.
Bisogna fornire stimoli, strumenti, esempi.
Ecco i tre progetti elaborati in collaborazione con la biblioteca civica “E. Julitta” e con alcuni insegnanti di Oleggio.

LE POESIE DEI MURI
Il primo esperimento è stato condotto con la classe Prima B della scuola media Verjus, in collaborazione con la prof/ssa Francesca Ferazza. Lo schema operativo si è poi ripetuto con i successivi progetti: due o quattro ore di training in aula e poi estemporanea di due ore o in biblioteca o nel museo.
In classe, ho dato l’esempio su che cosa fotografare e poi ho passato la macchina digitale agli alunni: dettagli architettonici, crepe e macchie, sagome e colori… All’improvviso le pareti dell’aula si sono rivelate uno scrigno di frattali e strutture, configurazioni e sagome che invitavano la fantasia a elaborare situazioni e storie, rivestendo la visione di emozioni.
Le foto sono state scaricate sul notebook e passate alla Lim. Le immagini sono state analizzate e interpretate. La strategia compositiva più comune consisteva nel fare elenchi di termini legati all’immagine e di espanderne alcuni a seconda delle suggestioni che trasmettevano. L’abbinamento di due o più parole portava a un’impressione definita, a una situazione circoscritta, a un percorso mentale controllato che assicurava la sintesi e la significanza.
Ciò che appariva più straordinario era che dall’insignificanza di un oggetto si potesse trarre un particolare ricco di potenzialità espressive, suscitatore di parole che poi si combinavano in una poesia. I ragazzi hanno imparato a valorizzare l’intuizione e il caso, sempre ricco di sfaccettature nuove e di contenuti che di solito sfuggono al controllo razionale.

I ragazzi imparavano: a osservare con occhi nuovi e diversi le forme e i colori; a fare ricorso a tutte le proprie conoscenze per scovare e combinare parole in modo non ovvio; a dare significato e profondità a insiemi di parole che all’apparenza ne erano privi. 



In una stanza chiusa lingotti d’oro,
il riflesso ha la forza di un toro,
in quella stanza ho visto qualcuno,
il sommo dio dei mari Nettuno.

Un sole viola
tondo e grande
entra ed esce,
spacca linee colorate
come l’erba del prato tagliato.

L’onda nel mare grigio
triste ruvida
si perde nel nulla
tagliandosi sugli scogli.


LE POESIE DEI VOLTI
Il secondo progetto si è concretizzato con la classe Quarta sez. B della scuola Maraschi, con l’insegnante Tiziana Melone. Il passaggio dalle forme astratte scovate sui muri alle forme vive di un volto umano ha rappresentato un secondo gradino verso un’espressione linguistica che combinasse il processo alchemico delle parole con una ricerca di profondità umana. Analizzare i volti fotografati su uno sfondo ricco di dettagli suggestivi ha stimolato i ragazzi a sondare stati d’animo e situazioni, avviando in piccolo un processo di umanizzazione della parola.

Dopo il training in aula, i ragazzi si sono adoperati in un laboratorio-performance durante l’open day “Bibliomuseando”, una domenica dedicata a mostre, visite, incontri, laboratori. I ragazzi hanno fotografato alcuni visitatori, sia conosciuti sia no, e nella Sala delle Religioni, con la mia assistenza, hanno commentato le immagini scaricate nel computer, provvedendo subito alla loro rielaborazione poetica. Un’attività più disturbata e frenetica di quella in aula, ma anche più coinvolgente. Cercare il soggetto e lo sfondo, visionare la fotografia, cercarne la trasposizione in parole… il tutto è diventato un gioco d’avventura. Le parole sono state legate a una persona reale in una situazione straordinaria. Hanno fatto da ponte tra la vita quotidiana e l’immaginazione.



Un ragazzo in mezzo all’autunno
l’autunno in mezzo a Simone
ragazzo che ama l’autunno
negli occhi colori autunnali
Simone vestito di foglie rosse gialle verdi arancione
un ragazzo tra foglie e funghi
autunnale infogliato
insegue gli scoiattoli
il ragazzo dai mille colori in mezzo al bosco.

Ragazza dentro il chiostro
tra fiori rossi bianchi
tra sassi bianchi e grigi
con un pozzo profondo
l’eco potente giù in fondo
chi sei?
non ti capisco
potente eco.

Un sorriso di parole sui quaderni
capelli disordinati in una scatola e un sorriso
fogli scritti spettinati sorridenti
bambina in una scatola sorride emozionata
sorriso spettinato in una scatola chiusa
bambina intelligente in una scatola
Giulia sorride contenta
chiusa aperta la scatola della vita
Giulia sorrisi scritti e fogli scompigliati.


LE POESIE DEGLI OGGETTI
Per esaudire il desiderio dell’altra classe della maestra Tiziana Melone, la Quinta C Maraschi, mi sono recato due volte a scuola per la produzione di nuove poesie, legate in una prima fase a oggetti portati da me e poi a un oggetto scelto dal ragazzo per il suo valore affettivo (dal peluche al tablet, dall’automobilina Lego al volume enciclopedico). L’idea era di fare una sintesi tra le poesie oggettuali (dei muri) e quelle umane (dei volti), cercando in sé emozioni e sentimenti accesi da un oggetto.
Come negli altri casi ho portato una sintesi di “figure retoriche” (Accumulazione Allitterazione Anacoluto Anafora Asindeto Ellissi Enjambement Epiteto Iperbole Litote Onomatopea Ossimoro Paratassi Perifrasi o circonlocuzione Personificazione Similitudine e metafora Sinestesia) che hanno avuto un utilizzo pratico ridotto (poco il tempo, bassa l’età), ma sono servite a introdurre l’idea che dietro le parole si nasconde una sapienza ampia e profonda, mai del tutto esplorata, che non serve solo a comporre frasi efficaci, ma soprattutto a guidare la mente e a renderla più libera e creativa.

In conclusione, il primo obiettivo dell’attività è proprio questo: allargare la mente/mentalità, tuffarsi nel mare della creatività, non temere la parola e il ragionamento, l’emozione e la comunicazione, il sentimento e la transcodifica, cercare in sé l’eco del mondo, sentirsi liberi di esprimersi.


Tartaruga lenta
cammina
va
non un passo fa
le riesce a metà.
Tartaruga rapida
cammina
va
non un passo fa
ma del percorso è già a metà.

Un uccello sfavillante
incendiò un bosco brillante:
è la fenice uccello gigante
dal cuore praticamente infiammante.
Vola con i suoi colori
eccola! accende i motori
la seguiamo fino altrove
ma la perdiamo, che dolore!
Da quel giorno in poi
la fenice gigante
è una leggenda divampante.

Orologio orologino
senza lancette e arrugginito
con disegnato un fiorellino
ma dove sei finito?
Qualche volta si sente un tic
un tac un tuc tiac tic non
smettere di tictacare
taaac tac!
un ticco e un tacco
taccatic troc
una molla si è rotta
ticchetta ticchetta
e poi silenzio
tichi tichi toc
l’esercito dei tic
ha perso la battaglia.  

Drago di Deltora,
seduto su una roccia,
saccente ascolti le dicerie del mondo,
impassibile osservi
i bimbi giocare.

Le poesie, con le relative immagini, sono in mostra presso la Biblioteca Civica “E. Julitta” di Oleggio.