domenica 20 ottobre 2013

CAPPUCCETTO LUPO 1

Si chiamano Amanda, Andrea, Aurora, Bruno, Chiara, Giada, Gianluca, Lorenzo, Luca, Maela. Sono i dieci  Passerotti del corso di teatro organizzato dal Comitato Genitori dell’I.C. “Verjus” di Oleggio. Hanno dieci anni, meno Andrea che ne ha uno in più. Potremmo anche chiamarli Lupacchiotti, dato che mettiamo in scena una rivisitazione intitolata “Cappuccetto Lupo”; ma fa piacere un ricordo del Teatro dei Passeri, ora Tecneke.
Cappuccetto Lupo è Cappuccetto Rosso da grande. Ha sviluppato un odio profondo per i lupi e ha accettato con entusiasmo il ruolo di sterminatrice di lupi offertole dai progettisti di un gigantesco centro commerciale che sorgerà al posto della foresta. Si avvale della collaborazione di Scuoio e Diserbo, due individui spietati. Si scontrerà con il lupo Licos e con i suoi cuccioli Dentino e Graffio. Ma dovrà fare i conti con la figlia Maela che esplora la foresta insieme all’amica Aurora. Maela scopre con orrore e dolore i piani criminosi della madre. Cercherà di fermarla con l’aiuto di Anima e Vegeta, spiriti  della natura.
Il lavoro dell’anno scorso, “Dietro la porta”, è stato propedeutico. Quest’anno l’intenzione è di mettere in scena un’opera articolata e profonda. Punto sulle suggestioni del testo (l’anima degli animali e delle piante, l’anima mundi; il ciclo di vita e morte; il coraggio nella difesa delle convinzioni; i rapporti affettivi…), ma ho soprattutto l’ambizione di realizzare un teatro in stile Tecneke. Un teatro più da vivere che da recitare. Un teatro che sia esperienza di relazioni non artificiali e non artificiose. Siamo abituati al teatro come esibizione di attori che mostrano le proprie abilità a un pubblico giudicante, la cui presenza è sottolineata dal comportamento degli attori stessi (gesti e sguardi, scansione recitativa generata dal rapporto con gli spettatori) e dalla disposizione della macchina scenica (scenografia, luci, musiche, tutto strutturato in funzione del pubblico). Non facciamo certo a meno del pubblico, ma lo dimentichiamo. Gli attori si concentrano sul gioco di relazioni nello spazio chiuso a loro dedicato che vivono il più possibile a livello allucinatorio. Devono vedere la foresta e sentirne le voci, devono ascoltare le proprie emozioni e trasmetterle. È possibile farlo con attori di dieci anni? Non lo so e non voglio nemmeno angustiarmi in ordine ai risultati da conseguire. Qualunque forma d’arte si pratichi, c’è bisogno di una linea guida, di una semiotica personale, di una visione del mondo che dia significato e motivazione. “Cappuccetto Lupo” non si prefigge di deliziare il pubblico con una compagnia di decenni che racconta una storia ambientalista con il supporto di luci colorate e musiche suggestive. Anche q          uesto, ma non solo. L’intenzione è di offrire a dieci bambini un viaggio dentro la propria immaginazione, alla riscoperta di sé come anima/corpo/voce in relazione espressiva con il mondo.
Incominciamo con la lettura della favola tradizionale nelle due versioni di Perrault e di Grimm. Poi la controfiaba, dal punto di vista del lupo, dello scrittore americano Lief Fearn. Leggo quindi una scheda particolareggiata sul lupo. Infine, alcuni documentari con l’analisi dell’ululato e dell’andatura. Tutto questo non come in un’aula universitaria. I giovanissimi allievi manifestano curiosità coerenti con l’età e non capiscono bene, a volte, le mie richieste. Vengono da otto ore di scuola, hanno voglia di muoversi, farsi scherzi, ridere. Distribuisco le prime pagine con il compito di memorizzare alcune battute. La prossima volta si comincia a “recitare”. Dieci personaggi da tenere in scena giustificandone la presenza quando non hanno battute (detesto il dentro fuori degli attori). Non so ancora come farò. Sto strutturando mentalmente lo spazio. Tre pedane per il territorio dei lupi; un fondale trasparente per Anima e Vegeta; due cubi… La soluzione sta nel giocare. All’inizio è il caos, ma anche la vita strutturata è nata dal caos.


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