Si chiamano Amanda, Andrea, Aurora,
Bruno, Chiara, Giada, Gianluca, Lorenzo, Luca, Maela. Sono i dieci Passerotti del corso di teatro organizzato dal
Comitato Genitori dell’I.C. “Verjus” di Oleggio. Hanno dieci anni, meno Andrea
che ne ha uno in più. Potremmo anche chiamarli Lupacchiotti, dato che mettiamo
in scena una rivisitazione intitolata “Cappuccetto Lupo”; ma fa piacere un ricordo
del Teatro dei Passeri, ora Tecneke.
Cappuccetto Lupo è Cappuccetto
Rosso da grande. Ha sviluppato un odio profondo per i lupi e ha accettato con entusiasmo
il ruolo di sterminatrice di lupi offertole dai progettisti di un gigantesco
centro commerciale che sorgerà al posto della foresta. Si avvale della
collaborazione di Scuoio e Diserbo, due individui spietati. Si scontrerà con il
lupo Licos e con i suoi cuccioli Dentino e Graffio. Ma dovrà fare i conti con
la figlia Maela che esplora la foresta insieme all’amica Aurora. Maela scopre
con orrore e dolore i piani criminosi della madre. Cercherà di fermarla con l’aiuto
di Anima e Vegeta, spiriti della natura.
Il lavoro dell’anno scorso, “Dietro
la porta”, è stato propedeutico. Quest’anno l’intenzione è di mettere in scena
un’opera articolata e profonda. Punto sulle suggestioni del testo (l’anima
degli animali e delle piante, l’anima mundi; il ciclo di vita e morte; il
coraggio nella difesa delle convinzioni; i rapporti affettivi…), ma ho
soprattutto l’ambizione di realizzare un teatro in stile Tecneke. Un teatro più
da vivere che da recitare. Un teatro che sia esperienza di relazioni non
artificiali e non artificiose. Siamo abituati al teatro come esibizione di
attori che mostrano le proprie abilità a un pubblico giudicante, la cui
presenza è sottolineata dal comportamento degli attori stessi (gesti e sguardi,
scansione recitativa generata dal rapporto con gli spettatori) e dalla
disposizione della macchina scenica (scenografia, luci, musiche, tutto
strutturato in funzione del pubblico). Non facciamo certo a meno del pubblico,
ma lo dimentichiamo. Gli attori si concentrano sul gioco di relazioni nello
spazio chiuso a loro dedicato che vivono il più possibile a livello
allucinatorio. Devono vedere la foresta e sentirne le voci, devono ascoltare le
proprie emozioni e trasmetterle. È possibile farlo con attori di dieci anni?
Non lo so e non voglio nemmeno angustiarmi in ordine ai risultati da
conseguire. Qualunque forma d’arte si pratichi, c’è bisogno di una linea guida,
di una semiotica personale, di una visione del mondo che dia significato e motivazione.
“Cappuccetto Lupo” non si prefigge di deliziare il pubblico con una compagnia
di decenni che racconta una storia ambientalista con il supporto di luci
colorate e musiche suggestive. Anche q uesto,
ma non solo. L’intenzione è di offrire a dieci bambini un viaggio dentro la
propria immaginazione, alla riscoperta di sé come anima/corpo/voce in relazione
espressiva con il mondo.
Incominciamo con la lettura della
favola tradizionale nelle due versioni di Perrault e di Grimm. Poi la controfiaba,
dal punto di vista del lupo, dello scrittore americano Lief Fearn. Leggo quindi
una scheda particolareggiata sul lupo. Infine, alcuni documentari con l’analisi
dell’ululato e dell’andatura. Tutto questo non come in un’aula universitaria. I
giovanissimi allievi manifestano curiosità coerenti con l’età e non capiscono
bene, a volte, le mie richieste. Vengono da otto ore di scuola, hanno voglia di
muoversi, farsi scherzi, ridere. Distribuisco le prime pagine con il compito di
memorizzare alcune battute. La prossima volta si comincia a “recitare”. Dieci
personaggi da tenere in scena giustificandone la presenza quando non hanno
battute (detesto il dentro fuori degli attori). Non so ancora come farò.
Sto strutturando mentalmente lo spazio. Tre pedane per il territorio dei lupi;
un fondale trasparente per Anima e Vegeta; due cubi… La soluzione sta nel
giocare. All’inizio è il caos, ma anche la vita strutturata è nata dal caos.
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