mercoledì 25 dicembre 2013

IL TEATRO DELL'OPPRESSO E ARISTOTELE

IL TEATRO DELL’OPPRESSO E ARISTOTELE

“Il Teatro dell’Oppresso è un metodo teatrale elaborato da Augusto Boal a partire dagli anni ’60, prima in Brasile e poi in Europa, che usa il teatro come mezzo di conoscenza, come linguaggio e come mezzo di trasformazione della realtà interiore, relazionale e sociale. È un teatro che rende attivo il pubblico e serve ai gruppi di “spett-attori” per esplorare, mettere in scena, analizzare e trasformare la realtà che essi stessi vivono. Si basa sull’ipotesi che “tutto il corpo pensa”, in altre parole su una concezione “globale” dell’uomo visto come interazione reciproca di corpo, mente, emozioni.”
Le principali tecniche utilizzate sono:
Teatro Forum: performance che tende a realizzarsi in situazioni il più delle volte informali (teatro, strada, piazza, aula scolastica, centro sociale…), finalizzata al coinvolgimento attivo degli spettatori, ossia al loro intervento diretto sulla scena.
Teatro Immagine: insieme di attività basate sul linguaggio non verbale delle immagini corporee.
Flic dans la téte: tecnica sviluppata in Francia per un lavoro intrapsichico che mette in scena le oppressioni personali.
Teatro Invisibile: forma di teatro realizzata in contesti di vita quotidiana, che porta il teatro fuori dal teatro e coglie le reazioni del pubblico inconsapevole di trovarsi di fronte ad una performance teatrale.
Teatro Giornale: il TdO è in questo caso utilizzato come mezzo per l’elaborazione comunitaria degli avvenimenti politici e sociali.
Un’esposizione esauriente è contenuta nel testo di Augusto Boal “Il teatro degli oppressi. Teoria e tecnica del teatro”, ristampato da La Meridiana nel 2011 con l’aggiunta di un capitolo inedito per l’Italia, “Il sistema tragico coercitivo di Aristotele”.

Il Teatro dell’Oppresso…
“1. serve in campo politico, per ridare voce alla base, costruire percorsi di cittadinanza attiva, di controllo dal basso delle istituzioni politiche e delle amministrazioni (cfr. il Teatro-Legislativo);
2. serve in campo sociale: per rafforzare i processi di liberazione dei gruppi discriminati e oppressi, ma anche per indagare le nostre vite quotidiane e scoprire i cambiamenti necessari (lavoro, qualità della vita, ambiente, sviluppo economico sostenibile o decrescita felice, sicurezza e coesione sociale, immigrazione…) (cfr. Teatro-Immagine, Teatro-Forum, Teatro-Invisibile);
3. serve in campo educativo, per sviluppare nei giovani cittadini strumenti di analisi della realtà, di gestione dei conflitti, di comunicazione costruttiva, di autostima e fiducia… (giochesercizi – nel gergo di Boal – in primis, ma anche il Teatro-Forum);
4. serve in campo terapeutico, per non lasciare che la terapia operi il suo riduzionismo trasformando il malessere sociale in problema psicologico individuale, affinché si riescano a individuare i legami tra “sofferenza individuale” e “contraddizioni sociali” (le tecniche del Flic-dans-la-tête);
5. serve in campo teatrale, per ridare al teatro una funzione sociale forte e non ridurlo a mero commercio di prodotti o a semplice intrattenimento (tutte le tecniche e l’Estetica dell’Oppresso).”

Boal chiarisce il senso del libro in una breve introduzione alla parte prima.
“All’inizio teatro era il canto ditirambico: il popolo libero che cantava all’aperto. Il carnevale. La festa. Poi le classi dominanti si impadronirono del teatro e costruirono le loro muraglie. Dapprima divisero il popolo, separando attori da spettatori: persone che agiscono e persone che guardano: finì la festa. In seguito, tra gli attori stessi, si separarono i protagonisti dalla massa: ebbe inizio l’indottrinamento coercitivo. Questi saggi mostrano come il popolo riassume la sua funzione di protagonista nel teatro e nella società.”
E più avanti:
“Il dibattito sui rapporti fra teatro e politica è vecchio quanto il teatro… e la politica! Dai tempi di Aristotele, e anche molto prima, se ne discute con gli stessi argomenti, le stesse solfe di oggi. Da un lato si afferma che l’arte è pura contemplazione; dall’altro, al contrario, che l’arte offre sempre una visione del mondo in trasformazione. Essa è dunque politica, poiché mostra i modi di effettuare o di ritardare tale trasformazione.”
Il TdO agisce quindi nella scia dell’ottimismo progressista, che appartiene anche al vituperato Aristotele: l’uomo tende alla perfezione e addirittura, con l’arte e la scienza, migliora la natura che spesso compie errori. Boal crede nell’efficacia del teatro, in grado di far prendere coscienza e di rivoluzionare l’ordine sociale.
“Come spiega Arnold Hauser nella sua “Storia sociale dell’arte”, all’origine il teatro era il coro, la massa, il popolo. Era lui il vero protagonista. Quando Tespi inventò il protagonista, aristocratizzò, aristotelicizzò immediatamente il teatro, che esisteva fino a quel momento sotto la forma popolare di manifestazione di massa, di cortei, di feste, ecc. Il dialogo coro-protagonista è chiaramente il riflesso del dialogo popolo-aristocrazia. L’eroe tragico, che si mette in seguito a dialogare non più solo con il coro ma con i suoi simili (deuteragonista e trigonista) era sempre presentato come un esempio da seguire in alcuni aspetti e non in altri. L’eroe tragico appare quando lo Stato inizia a utilizzare il teatro a fini politici e di coercizione del popolo. Non bisogna dimenticare che era lo Stato a pagare, direttamente o tramite mecenati, le produzioni.”
Aristotele un repressore di istanze rivoluzionarie? In che modo? Attraverso la tragedia greca antica.

“– Prima tappa: si incoraggia l’hamartia (nota anche col nome di colpa tragica. È l’unica impurità che esiste nel personaggio. L’hamartia è la sola cosa che può e deve essere distrutta affinché l’interezza dell’ethos del personaggio sia conforme all’interezza dell’ethos della società. A causa di questo confronto di tendenze, l’hamartia provoca il conflitto: è la sola tendenza che non sia in armonia con la società, con ciò che è richiesto dalla società). Il personaggio segue un cammino che sale verso la felicità, accompagnato “empaticamente” dallo spettatore. Arriva il capovolgimento: il personaggio e lo spettatore intraprendono il percorso inverso, che va dalla fortuna alla sfortuna. Caduta dell’eroe.
– Seconda tappa: il personaggio riconosce il suo errore: agnorisis. Grazie al rapporto di empathia dianoia-ragione (dianoia è la conoscenza discorsiva), lo spettatore riconosce il proprio errore, la propria hamartia, la propria mancanza nei confronti della Costituzione.
–Terza tappa: catastrophe: il personaggio subisce le conseguenze del suo errore, conseguenze violente sotto forma della propria morte o di quella delle persone che ama.
Catarsi: lo spettatore, terrorizzato dallo spettacolo della catastrophe, si purifica della sua hamartia.”

Nel sistema tragico coercitivo di Aristotele è essenziale che:
“a) un conflitto abbia luogo fra l’ethos del personaggio e l’ethos della società nella quale vive. Ci sia qualcosa che non vada bene;
b) si stabilisca un legame, chiamato empathia, che consiste nel permettere al personaggio di condurre lo spettatore attraverso le proprie esperienze - lo spettatore prova le stesse cose come se stesse agendo lui stesso, gode i piaceri e soffre i dolori del personaggio, al punto di pensare i suoi pensieri;
c) lo spettatore subisce tre accadimenti di natura violenta: la peripezia, l’agnorisis e la catarsi: subisce un’inversione di marcia nel suo destino (l’azione della pièce), riconosce l’errore commesso per interposta persona e si purifica dell’elemento antisociale di cui riconosce di essere vittima.
Eccola l’essenza del sistema tragico coercitivo. Nel teatro greco, questo sistema funziona come è mostrato nello schema. Ma nella sua essenza il sistema ha continuato e continua a essere utilizzato ancora oggi, con le opportune modifiche dovute al cambiamento della società.”

 Molto interessante questa visione storica del teatro come strumento di controllo sociale. Funzione che oggi condivide con il cinema e soprattutto con la televisione. I film della “Walt Disney”, i polpettoni hollywoodiani, i cinepanettoni italiani, i programmi televisivi di intrattenimento, le serie poliziesche e comiche… L’attività dello spettacolo si muove per la maggior parte entro i binari della rassicurazione sociale, dell’illusione, della condanna di ogni velleità antisociale, della difesa dello status quo, della disuguaglianza tra gli uomini e tra i popoli, della chiusura mentale, dell’egoismo individuale, della schizofrenia religiosa, del fanatismo politico… e della mediocrità.
Mi ritrovo nel pensiero di Boal? Non in senso politico. Sono scettico riguardo alla possibilità di “educare” il popolo. Oggi non si può più parlare di ignoranza. Chiunque è in grado di attingere informazioni di ogni tipo dai massmedia. Chiunque può farsi un’idea personale della realtà in cui vive. Lo si può aiutare, certo. Ma è innegabile che i politici corrotti e conservatori hanno ricevuto il loro mandato dal popolo, che spesso glielo rinnova negando l’evidenza. Non credo ai grandi movimenti, ma ai piccoli. Penso che la rivoluzione si debba fare nell’individualità, non nella massa. D’altronde, ogni movimento rivoluzionario si è sempre trasformato in repressione e oscurantismo.
Spesso le idee sorgono sulla scia di un’utopia che si segue senza alcuna conoscenza dell’itinerario e del punto di arrivo. La ricerca di idee non sempre è una mela che cade dall’albero. A volte si vaga sull’oceano dietro la scia di… un pesciolino? uno squalo? una balena?... nella speranza di avere scelto una guida che non ci farà naufragare per sempre. Si può avvistare un’isoletta o un continente, ma anche uno scoglio; un punto fermo è pur sempre un inizio.
La mia utopia è di andare al di là della tragedia classica, oltre Aristotele e oltre Tespi, tra le persone che danzavano e cantavano; al di là anche di loro, verso il mito. In questo territorio d’acqua, di terra e d’aria, in questa regione idealmente posta nella Grecia olimpica, vista però come scoglio da cui partire per l’esplorazione dell’universo, non trovo un palcoscenico, ma un luogo deputato, un luogo circoscritto (strada, piazza, campo, bosco, tempio, Olimpo…) nel quale e con il quale vivere un’esperienza mitico-mistica che non ha come scopo il cambiamento del mondo, e nemmeno la sua conoscenza, ma la sua condivisione.
Il teatro è di solito identificato con l’attore. L’attore è corpo, mente, emozioni; corpo pensante, come dice Boal. L’attore è messo in relazione con il pubblico. Il pubblico è passivo (assiste) o attivo (partecipa). Il pubblico manipolato dal potere è passivo; quello auspicato da Artaud, Beck e Malina, Boal… si fonde con l’attore: lo spett-attore. Da questo attivismo sono sempre rimasti esclusi gli altri elementi che formano il teatro: la musica, lo spazio, la scenografia, gli oggetti di scena… Ossia tutti gli elementi inorganici, ai quali è stato assegnato un ruolo solo estetico o strumentale.
Da qui vorrei ripartire.
Da un senso panico della performance teatrale, un senso antico al quale ci stanno per fortuna riportando tanti antropologi, psicologi e ambientalisti contemporanei (James Hillman, per esempio). Dalla mitologia al pianeta verde al teatro. Dall’uso subalterno  della cosa (oggetto, fondale, colore, melodia) al suo co-protagonismo con un gruppo recitante senza protagonisti. Dalla disintegrazione del testo alla sua visualizzazione ritmica. Dal personaggio-individuo all’attore-persona; persona che è tale perché con-vive con gli elementi naturali. Una scena panteistica. Nella quale tutto ciò che ne fa parte è vivo e relazionato.

Un teatro di figura? No, di più. Un teatro che assegna uguale dignità all’attore e al suo costume, alla voce e al rumore, alla mimica facciale e al fondale, alla gestualità e all’espressività di un telo. Parlo dello stupore di osservare una sedia con occhi nuovi, legati non solo a un suo uso estetico e nemmeno funzionale alla performance attoriale o all’economia dello spettacolo; occhi di un teatrante nuovo, che nella sedia vede l’equivalente inorganico dell’attore. Parlo di un eco-teatro nel quale ogni elemento è vivo e in relazione circolare. Un teatro che non affida se stesso all’istrionismo del primo attore o all’estetica del regista di moda; nemmeno al testo di successo o all’apparato scenico faraonico; e neanche al pollice verso del pubblico o all’illuminazione del critico. Un teatro che si chiude in se stesso per trasformare in vita le parole. Un teatro Frankenstein che trasmette energia biologica a tutto ciò che contiene il luogo chiuso della rappresentazione, dall’attore all’oggetto che manipola. 
Fare teatro come passeggiare in un bosco o tuffarsi in mare, consapevoli di non esseri protagonisti dell’ambiente naturale, ma compagni di vita.

venerdì 13 dicembre 2013

DA CHE COSA NASCE TECNEKE



Da dove ha inizio il teatro di Tecneke? Da una visione non antropocentrica del mondo. Non è questo il contesto per una riflessione filosofica, il discorso vuole limitarsi a una delle attività primarie dell’uomo, come appare in campo artistico, politico, religioso e relazionale: il teatro. L’uomo fa teatro fuori scena, nel salotto, nella piazza, sul pulpito e sul palco, sulla tribuna e in cattedra, perfino in famiglia con la moglie e i figli. L’uomo recita, e recita a volte con maggiore efficacia dell’attore che ha fatto della finzione una professione. Il teatro mette in scena una realtà illusoria, ma la stessa cosa (con meno preparazione specifica in quanto a dizione e mimica) fa l’uomo comune nella vita di tutti i giorni, sempre per scopi personali che maschera poi per spacciarli come affetto familiare, realismo politico, missione spirituale e altro.
L’uomo parla all’uomo, l’uomo si limita all’uomo, l’uomo non vede al di là della propria umanità.
La sua vita si fa storia, ma non Storia in quanto memoria oggettiva e onesta del passato, utopia difesa con convinzione fanatica, tanto da insegnarla alle nuove generazioni (cambiando di volta in volta punto di vista, contenuti e conclusioni). Si fa storia spicciola, di cronache quotidiane, elevate a eroismo ed emblema, santificate e decorate, portate a esempio e tradotte in monumenti e agiografie in gran parte bugiarde.
L’uomo gira intorno a se stesso, scandaglia se stesso, ripropone se stesso in modo ossessivo e maniacale, esalta se stesso, divinizza se stesso manifestando tutta la propria schizofrenia.
L’universo non è umano, è di più.
Per fortuna.
Ecco, Tecneke parte da qui. Da un’idea di realtà più ampia della fama umana, legata a premi, successi, mercati, vendite… La sopravvivenza culturale di qualsiasi genio umano, da Omero a Beethoven, fa sorridere in confronto alla STORIA tutta maiuscola, della quale non conosciamo che briciole sparse sulle orme dei dinosauri e prima ancora delle esplosioni stellari e prima ancora di chissà che cosa.
Mi riferisco a una storia di misteri, nella quale l’essere umano convive con animali, vegetali, cose,  alieni, spettri, perfino divinità. Una storia che ci è preclusa, scritta in libri illeggibili, conservati in biblioteche impenetrabili, dentro città inesistenti. Tecneke parte da un riflesso, da un riverbero  di luce lontana, quella che modella l’architettura greca, il suo pensiero, i suoi miti. Parte dal mito per recuperare un rapporto con il mondo che non sia così banale come vogliono farci credere le agenzie mondiali della cultura, tutte in doppiopetto e cravatta di seta. Parte da Pan, il dio che è anche uomo, il mortale che è pure dio. Parte da una relazione con la natura e l’ambiente che sia sentita in profondità, non come investimento e abuso; ma come sintonia e convivenza.
Ma… a livello di teatro? Un rapporto con lo spazio e gli oggetti di scena tutto da riscoprire; con i costumi e i suoni; con le parole e la musica; con i movimenti e le relazioni. Il teatro diventa ambiente chiuso, microclima, ecosistema. E l’attore deve farci i conti. E il regista pure. In un ecosistema non c’è prevalenza-prepotenza, ognuno è predatore-preda, ognuno è consumatore-consumato, ognuno è partecipe, è simbiotico.
Il grande attore? Il regista artifex? il drammaturgo geniale? Ah, niente a che vedere con Tecneke.
In Tecneke tutto concorre all’idea: dall’interazione tra gli attori a quelle con gli oggetti, dalle suggestioni della scenografia a quelle del testo, dagli errori ai casi, dalle coincidenze alle ispirazioni immotivate, dal desiderio di mettersi in gioco alla ricerca in internet, dalla battuta a sproposito all’impulso, dal pensiero ossessivo all’intuizione, dal riconoscimento dei propri limiti al desiderio di superarli.

Forse l’universo è nato così.

TEATRO IN VIDEO

Il primo video "I lupacchiotti e la cosa" mostra un esercizio. A sorpresa, depongo un oggetto su un cubo. L'attore deve avvicinarsi e stabilire una relazione come se l'oggetto fosse una realtà viva, come se avesse una personalità sua, come se l'interazione con esso non fosse solo di uso e abuso, ma di rapporto tra pari. Questo è solo il primo esercizio per abituare ai ragazzi a osservare, a gestire uno spazio-tempo, a fare spettacolo con niente, a sfruttare in modo estemporaneo e inusuale l'immaginazione. Penso che lo riproporrò per approfondire la mimica e le possibilità che da un incontro banale esca comunque una "storia".



Il secondo video riguarda le prime prove strutturate di Caligola. Abbiamo più o meno definito la scenografia e gli oggetti di scena (ci mancano le maschere). Ora è il momento dell'interazione, delle musiche originali di Lorenzo, dell'inserimento della voce jazz di Lia... Insomma, abbiamo acceso il motore, ora vediamo dove ci porta la macchina. 


lunedì 9 dicembre 2013

I MIEI EBOOK NON VENDONO

Un'altra recensione di "Bambini d'ombra" su Amazon Kindle ebook. Sto ultimando "Bimbo Boy" e a breve lo pubblico. Un altro ebook senza lettori. Non ho né tempo né voglia di promuovermi, speravo nel supporto di amici e conoscenti (i libri costano 0,99 centesimi), ma i casi sono due: o la gente non usa i lettori e-reader o amici e conoscenti non hanno tempo e voglia di dedicarmi qualche attenzione. Ma forse c'è una terza possibilità: che i miei libri siano brutti e inutili. Sono confuso. Molto confuso. Non voglio piegarmi alle richieste delle case editrici, non voglio nemmeno scrivere quello che piace a tanti lettori, non voglio seguire le mode. Sono confuso e deluso. 

4.0 su 5 stelle Ombra o Torcia? 5 settembre 2013
Di Gianna
Formato:Formato Kindle|
Bambini d'ombra è un racconto intimo e prezioso. Un viaggio, un ritorno, una luce. Tutte cose di cui ha bisogno un'ombra. Perché a un'ombra, non importa sapere come ha fatto a diventare così. Preferisce sapere come evitare di spegnersi, dove trovare la forza e la speranza. Trovo un Aquilino molto diverso dalla saga "Orrendi per Sempre". Più cupo, serio, perché serio è il tema di bambini che smarriscono la strada e, per questa volta, la ritrovano

FARE TEATRO A SCUOLA


Grazie all’intesa tra Comitato Genitori, associazione Tecneke, Dirigenza e Organi Collegiali, l’istituto comprensivo “Verjus” di Oleggio annovera tra le sue risorse un’aula teatro attrezzata con fondale, luci, amplificazione, elementi di scenografia… Tre sono i progetti in corso.

CYBER BULLISMO

L’attività è rivolta agli alunni della classe Terza sez. B, in compresenza con l’insegnante Francesca Ferazza. Durante la prima fase, ai ragazzi è stato sottoposto un questionario ricavato da quello di “Save the children” del gennaio 2013, invitando anche alunni di altre classi a compilarlo. Inoltre, è stato assegnato lo sviluppo di tre argomenti dal seguente elenco:
POESIA o CANZONE su: solitudine, timidezza, paura degli altri, sentimento di diversità, emarginazione.
PERCHÉ L’HO FATTO: un cyber bullo si racconta.
MI SENTO DIVERSO/A 1: gli altri sono sempre più belli, più sicuri di sé, più bravi, più felici.
MI SENTO DIVERSO/A 2: gli altri non valgono niente, sono brutti, sono stupidi, sono falliti.
ANGOSCIA 1: un attimo di debolezza, mi scatto una foto seminuda e per scherzo la mando a uno che credevo amico; lui la posta.
ANGOSCIA 2: mi prendono in giro perché sono diverso (effeminato, grasso, disabile…), non riesco più ad andare in internet, tempo di ritrovarmi su ogni pagina, comincio ad avere paura di uscire di casa.
UNA BRUTTA STORIA A LIETO FINE: dal cyber bullismo all’utilizzo di risorse: amici, genitori, insegnanti; sconfiggere la solitudine e la paura, confidarsi, imparare a chiedere aiuto.
DIALOGO tra una vittima e il suo persecutore.
Gli alunni hanno proposto:di cantare una canzone da loro tradotta dall’inglese e di realizzare un balletto su una musica da loro scelta. Il materiale così raccolto viene riordinato e scandito da sonorizzazioni che danno lo spunto per pantomime. In conclusione, lo schema dello spettacolo finale è questo:
a)      coreografia: la vittima, il gruppo dei bulli, il gruppo dei passivi.
b)      canzone.
c)      lettura dei dati del questionario.
d)     interpretazioni dei monologhi e dei dialoghi scritti dai ragazzi, inframmezzate da brevi coreografie.
e)      conclusione della coreografia iniziale e balletto finale.
Abbiamo cominciato con facili esercizi di postura e di rapporti spaziali. Poi affronteremo il movimento scandito e la voce.

GRUPPO EMME

Sei alunni con problemi di affezione alla scuola o di relazione o di autostima. Problemi, in generale, di motivazione. Ragazzi con interessi scarsi che non seguono o seguono male le attività scolastiche, che non stabiliscono rapporti positivi con gli insegnanti e con i compagni, che oppongono un netto rifiuto alla formazione culturale, spesso apatici e distaccati, a volte malamente reattivi, in genere poco collaborativi.
L’attività si svolge con la compresenza dell’insegnante Sabina Bovio.
L’idea è di agganciare gli alunni a un argomento di loro gradimento: gli zombi. Mi ispiro al libro “World war Z” di Max Brooks. Ne leggo alcuni passi. Per la messa in scena, seguo la struttura del romanzo: gli zombi da una parte e le interviste, i documentari, i report dall’altra. Programmo quattro zombi e due intervistatori/testimoni. Il cammino appare subito irto di ostacoli. Nessuno dei ragazzi ha intenzione di fare teatro. Li faccio parlare il più possibile. Mostro le dotazioni dell’aula, li invito a manovrare le luci led. Fanno tutto su comando, senza mostrare interesse. Al secondo incontro c’è qualche apertura. I primi tre arrivano ridendo, non con le espressioni scettiche e diffidenti della prima volta. L’atmosfera è più distesa, tutti sono disposti a conversare e a sorridere. Dopo qualche ritrosia, accettano di mettersi in gioco, ma non tutti; costoro osservano incuriositi e danno piccoli apporti. Non hanno idea di che cosa sia muoversi a tempo. I gesti sono legnosi, elementari, lesinati. Tutto ciò che esce dalla conduzione usuale del corpo li sconcerta e li allarma, come se ne andasse di mezzo la propria immagine. Dalla diffidenza alla conversazione senza barriere. Dalla conversazione al gioco. Dal gioco alla parola recitata e alla gestione espressiva del corpo. Un itinerario comunque percorribile, passo dopo passo. Al terzo incontro facciamo partecipare un quintetto di ragazze con anni di esperienza di hip hop o danza moderna che improvvisano la nascita degli zombi. Sul loro esempio, alcuni ragazzi si prestano a movimenti timidi, celati però dal fondale semitrasparente. Non si lanciano nemmeno nel ballo libero. Tutte le manifestazioni di spontaneità fisica sono risicate e conflittuali. Ritengo opportuno non forzare più di tanto per non creare fratture.
Ridisegno il progetto, meditando di arrivare al teatro per vie traverse e in una seconda fase.
Propongo loro la realizzazione di brevi filmati su improvvisazioni semplici. Il ricorso alla tecnologia fa da filtro ai timori legati al corpo e alla manifestazione di emozioni, alla finzione scenica che li stacca dalla realtà concreta e alla dinamica relazionale. Ora si esplicitano interessi specifici: chi vuole occuparsi delle riprese, chi delle luci, chi dell’interpretazione. I primi video sono banali, eppure risultano significativi: un compagno seduto immobile e la videocamere che gira intorno a lui per esplorarlo; la lettura di dialoghi a tavolino; una ministoria: una coppia al ristorante viene assalita da uno zombi. Alcuni elementi prima rifiutati con decisione ora sono accettati: esprimere una narrazione con la voce e i movimenti, travestirsi.
Parte quindi il nuovo progetto: adattare la fiaba di Cappuccetto Rosso (ribattezzata Cappuccetto Boss) alla loro inventiva. Si abbozza una mamma isterica, una bambina armata che spara ai lupi, un lupo molestatore… La scaletta comprende: apprendimento di programmi di video editing (parto da “Movie maker”), realizzazione di maschere (il video combinerà scene burattinesche ad altre in interni e in esterni), produzione di elaborati curricolari. I ragazzi accettano. Ripetono: quando tornano le ragazze? E noi: quando avrete accettato di mettere in scena “Zom”, la breve recita sugli zombi. E si procede con un coinvolgimento (finora) in crescita.

CAPPUCCETTO LUPO

Attività teatrale in orario extrascolastico organizzata dal Comitato Genitori. Dieci alunni di Quinta Elementare e Prima Media. La storia. Cappuccetto Rosso odia talmente i lupi che si è cambiata il nome in Cappuccetto Lupo. Lavora per una multinazionale allo scopo di liberare il territorio dai lupi per sostituire alla foresta un centro commerciale. Il suo esercito è costituito da Scuoio e Diserbo. I lupacchiotti Graffio e Dentino le rapiscono il figlio Nicolò, mentre il loro padre Licos l’affronta per tentare di fermarla. Ci riuscirà la figlia Maela, con l’appoggio degli spiriti della natura Anima e Vegeta.
In collaborazione con il WWF, il Museo Civico e la Biblioteca di Oleggio, alla messa in scena sarà affiancata una mostra sul lupo in Piemonte.

Tre modi diversi di intervento con il laboratorio di teatro, efficace sia per obiettivi culturali-artistici sia per obiettivi sociali. Il teatro è in grado di incuriosire, attrarre, stimolare. Esso veicola esperienze preziose per una consapevolezza più profonda e libera di sé, degli altri e del mondo.


mercoledì 4 dicembre 2013

LUPACCHIOTTI 3

Il gruppo è completo. Entra a farne parte Nicolò, il fratellino di Amanda, nella parte del fratellino di Maela: un tipo peperino e spiritoso. Il testo è scritto, manca solo l'ultima scena corale che completo dopo una verifica dei tempi.



La regia ricalca l'impianto di Caligola. Non per mancanza di idee, ma per approfondire le potenzialità di una scenografia così concepita: spazio anteriore e posteriore, spazio inferiore e superiore. Il fondale è verde invece che bianco (telo ombreggiante invece di agrivelo), il telo sul pavimento idem (ombreggiante invece di lenzuola cucite insieme). In scena c'è anche il trono di Caligola, ora nella funzione di sedia girevole da ufficio come metafora del potere della multinazionale che intende distruggere la foresta; sistemata sul tappeto in pvc di "Death watch" accanto ai cubi bianchi. Altri cubi marroni con tre "alberi" segnalano il luogo della tana dei lupi nella foresta. 

Le regole di messa in scena sono ancora quelle: gli attori in scena dall'inizio alla fine (il retro del fondale e il sotto del telo sono luoghi di parcheggio); niente di esclusivamente estetico, ma tutto funzionale e correlativo di luci, musiche, voci e movimenti; copione sequenziale in cui le scene sono suddivise dalle musiche; uso di cori e filastrocche; valorizzazione di momenti emotivi significativi...

Il Comitato Genitori conferma la collaborazione con il WWF: presentazione della serata e mostra sul lupo in Piemonte presso Museo-Biblioteca.