venerdì 13 dicembre 2013

DA CHE COSA NASCE TECNEKE



Da dove ha inizio il teatro di Tecneke? Da una visione non antropocentrica del mondo. Non è questo il contesto per una riflessione filosofica, il discorso vuole limitarsi a una delle attività primarie dell’uomo, come appare in campo artistico, politico, religioso e relazionale: il teatro. L’uomo fa teatro fuori scena, nel salotto, nella piazza, sul pulpito e sul palco, sulla tribuna e in cattedra, perfino in famiglia con la moglie e i figli. L’uomo recita, e recita a volte con maggiore efficacia dell’attore che ha fatto della finzione una professione. Il teatro mette in scena una realtà illusoria, ma la stessa cosa (con meno preparazione specifica in quanto a dizione e mimica) fa l’uomo comune nella vita di tutti i giorni, sempre per scopi personali che maschera poi per spacciarli come affetto familiare, realismo politico, missione spirituale e altro.
L’uomo parla all’uomo, l’uomo si limita all’uomo, l’uomo non vede al di là della propria umanità.
La sua vita si fa storia, ma non Storia in quanto memoria oggettiva e onesta del passato, utopia difesa con convinzione fanatica, tanto da insegnarla alle nuove generazioni (cambiando di volta in volta punto di vista, contenuti e conclusioni). Si fa storia spicciola, di cronache quotidiane, elevate a eroismo ed emblema, santificate e decorate, portate a esempio e tradotte in monumenti e agiografie in gran parte bugiarde.
L’uomo gira intorno a se stesso, scandaglia se stesso, ripropone se stesso in modo ossessivo e maniacale, esalta se stesso, divinizza se stesso manifestando tutta la propria schizofrenia.
L’universo non è umano, è di più.
Per fortuna.
Ecco, Tecneke parte da qui. Da un’idea di realtà più ampia della fama umana, legata a premi, successi, mercati, vendite… La sopravvivenza culturale di qualsiasi genio umano, da Omero a Beethoven, fa sorridere in confronto alla STORIA tutta maiuscola, della quale non conosciamo che briciole sparse sulle orme dei dinosauri e prima ancora delle esplosioni stellari e prima ancora di chissà che cosa.
Mi riferisco a una storia di misteri, nella quale l’essere umano convive con animali, vegetali, cose,  alieni, spettri, perfino divinità. Una storia che ci è preclusa, scritta in libri illeggibili, conservati in biblioteche impenetrabili, dentro città inesistenti. Tecneke parte da un riflesso, da un riverbero  di luce lontana, quella che modella l’architettura greca, il suo pensiero, i suoi miti. Parte dal mito per recuperare un rapporto con il mondo che non sia così banale come vogliono farci credere le agenzie mondiali della cultura, tutte in doppiopetto e cravatta di seta. Parte da Pan, il dio che è anche uomo, il mortale che è pure dio. Parte da una relazione con la natura e l’ambiente che sia sentita in profondità, non come investimento e abuso; ma come sintonia e convivenza.
Ma… a livello di teatro? Un rapporto con lo spazio e gli oggetti di scena tutto da riscoprire; con i costumi e i suoni; con le parole e la musica; con i movimenti e le relazioni. Il teatro diventa ambiente chiuso, microclima, ecosistema. E l’attore deve farci i conti. E il regista pure. In un ecosistema non c’è prevalenza-prepotenza, ognuno è predatore-preda, ognuno è consumatore-consumato, ognuno è partecipe, è simbiotico.
Il grande attore? Il regista artifex? il drammaturgo geniale? Ah, niente a che vedere con Tecneke.
In Tecneke tutto concorre all’idea: dall’interazione tra gli attori a quelle con gli oggetti, dalle suggestioni della scenografia a quelle del testo, dagli errori ai casi, dalle coincidenze alle ispirazioni immotivate, dal desiderio di mettersi in gioco alla ricerca in internet, dalla battuta a sproposito all’impulso, dal pensiero ossessivo all’intuizione, dal riconoscimento dei propri limiti al desiderio di superarli.

Forse l’universo è nato così.

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