Da dove ha inizio il teatro di Tecneke? Da una
visione non antropocentrica del mondo. Non è questo il contesto per una riflessione filosofica, il discorso vuole
limitarsi a una delle attività primarie dell’uomo, come appare in campo artistico,
politico, religioso e relazionale: il teatro. L’uomo fa teatro fuori scena, nel
salotto, nella piazza, sul pulpito e sul palco, sulla tribuna e in cattedra,
perfino in famiglia con la moglie e i figli. L’uomo recita, e recita a volte
con maggiore efficacia dell’attore che ha fatto della finzione una professione.
Il teatro mette in scena una realtà illusoria, ma la stessa cosa (con meno
preparazione specifica in quanto a dizione e mimica) fa l’uomo comune nella
vita di tutti i giorni, sempre per scopi personali che maschera poi per
spacciarli come affetto familiare, realismo politico, missione spirituale e
altro.
L’uomo parla all’uomo, l’uomo
si limita all’uomo, l’uomo non vede al di là della propria umanità.
La sua vita si fa storia, ma
non Storia in quanto memoria oggettiva e onesta del passato, utopia difesa con
convinzione fanatica, tanto da insegnarla alle nuove generazioni (cambiando di
volta in volta punto di vista, contenuti e conclusioni). Si fa storia
spicciola, di cronache quotidiane, elevate a eroismo ed emblema, santificate e
decorate, portate a esempio e tradotte in monumenti e agiografie in gran parte
bugiarde.
L’uomo gira intorno a se
stesso, scandaglia se stesso, ripropone se stesso in modo ossessivo e
maniacale, esalta se stesso, divinizza se stesso manifestando tutta la propria
schizofrenia.
L’universo non è umano, è di
più.
Per fortuna.
Ecco, Tecneke parte da qui. Da
un’idea di realtà più ampia della fama umana, legata a premi, successi,
mercati, vendite… La sopravvivenza culturale di qualsiasi genio umano, da Omero
a Beethoven, fa sorridere in confronto alla STORIA tutta maiuscola, della quale
non conosciamo che briciole sparse sulle orme dei dinosauri e prima ancora
delle esplosioni stellari e prima ancora di chissà che cosa.
Mi riferisco a una storia di
misteri, nella quale l’essere umano convive con animali, vegetali, cose, alieni, spettri, perfino divinità. Una storia
che ci è preclusa, scritta in libri illeggibili, conservati in biblioteche impenetrabili,
dentro città inesistenti. Tecneke parte da un riflesso, da un riverbero di luce lontana, quella che modella l’architettura
greca, il suo pensiero, i suoi miti. Parte dal mito per recuperare un rapporto con
il mondo che non sia così banale come vogliono farci credere le agenzie
mondiali della cultura, tutte in doppiopetto e cravatta di seta. Parte da Pan,
il dio che è anche uomo, il mortale che è pure dio. Parte da una relazione con
la natura e l’ambiente che sia sentita in profondità, non come investimento e
abuso; ma come sintonia e convivenza.
Ma… a livello di teatro? Un
rapporto con lo spazio e gli oggetti di scena tutto da riscoprire; con i
costumi e i suoni; con le parole e la musica; con i movimenti e le relazioni.
Il teatro diventa ambiente chiuso, microclima, ecosistema. E l’attore deve
farci i conti. E il regista pure. In un ecosistema non c’è
prevalenza-prepotenza, ognuno è predatore-preda, ognuno è consumatore-consumato,
ognuno è partecipe, è simbiotico.
Il grande attore? Il regista artifex?
il drammaturgo geniale? Ah, niente a che vedere con Tecneke.
In Tecneke tutto concorre all’idea:
dall’interazione tra gli attori a quelle con gli oggetti, dalle suggestioni
della scenografia a quelle del testo, dagli errori ai casi, dalle coincidenze
alle ispirazioni immotivate, dal desiderio di mettersi in gioco alla ricerca in
internet, dalla battuta a sproposito all’impulso, dal pensiero ossessivo all’intuizione,
dal riconoscimento dei propri limiti al desiderio di superarli.
Forse l’universo è nato così.
Nessun commento:
Posta un commento