sabato 27 ottobre 2012

UN LIBRO, UN AUTORE: scrittura scritta e letta



Quando capita un’occasione come questa, si è costretti a rivedere la scrittura per adattarla al nuovo utilizzo. La scrittura su pagina risulta diversa da quella su leggio. Il suono della voce rimarca dissonanze e cacofonie che la forma grafica, più visiva che uditiva, mascherava. I tempi dell’occhio sono diversi da quelli dell’orecchio. Una pausa grafica può diventare un abisso di silenzio, una monotonia descrittiva la palude in cui s’impantana l’attenzione del pubblico. Se poi a leggere non sono attori con voce e tecnica raffinate dall’esercizio… Allo scrittore il proprio libro sembra un disastro, soprattutto se lo scrittore in questione ha competenze di teatro. Prima di pubblicare un libro, si fanno diverse riscritture. Se si è accorti, lo si fa leggere anche da una persona amica e preparata. Poi interviene l’editor con le sue verifiche e le sue osservazioni. Insomma, momenti di correzione e di affinamento non mancano.
A libro pubblicato, si provi però a metterlo in scena o solo a leggerlo a voce alta. Ecco che quanto pareva fluido e scorrevole si fa più ciottoloso, e il ritmo di una pagina assume cadenze sonnacchiose o zoppicanti.
Anche in questa occasione, mi sono detto: ahi ahi ahi, il libro non era finito. E mi si forma in mente la bella galleria delle citazioni da cioccolatino, dei brani antologici scelti e confezionati con cura, delle strutture tirate con il compasso e il righello, di architettura rinascimentale, tanto sono calibrate. Mi prende lo sconforto? Sì, ma è il solito. Lo sconforto di non poter raggiungere la perfezione nella consapevolezza che non esiste e che se esiste è taroccata. Sconforto che, alla fin dei conti, è solo fatica di fare imparando, e di perfezionarsi senza mete da raggiungere.
In conclusione, mi dico, io non scrivo per incartare un cioccolatino. Scrivo per fare quella cosa misteriosa che si chiama letteratura, che non è suddita del best-sellerismo o del cinema, e nemmeno dei salotti o degli editori miliardari, e tantomeno dei critici mercenari e dei lettori saccenti.
La letteratura è libera.
Libera di costruirsi nella fatica quotidiana, per prove ed errori, attraverso sogni incompleti e utopie esaltanti, lungimirante sul mondo e cieca su sé stessa, umile nella propria animosità, orgogliosa della propria autenticità.
Perdonate, perciò, tutto quanto vi è di imperfetto in una scrittura: non fa che rispecchiare la vita.

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