Delimito lo spazio
utilizzabile: quattro metri per tre. Lo chiamiamo palcoscenico. Se uno
oltrepassa la linea, facile che un compagno dica: sei caduto giù dal
palcoscenico. Tracciare sul pavimento il rettangolo è come dare una casa agli
attori. Dà sicurezza. Non più confini indefiniti. Ora se uno deve spostarsi in
avanti sa che può farlo fino a un certo punto, e lo stesso sui lati. Camminiamo
lungo il perimetro, attenti agli angoli e alla diagonale quando si passa
davanti alla porta: strusciamento di punta e via, si cambia direzione. Qualche
prima osservazione sulla postura e sulla deambulazione: c’è chi è sempre
scomposto, chi strascica i piedi, chi s’irrigidisce, chi vive braccia gambe
corpo come elementi estranei, fuori controllo.
Ora ci si sposta lungo un perimetro o una diagonale
o tagliando per il largo o per il lungo. Strade invisibili, che danno un senso
all’andare in giro per il palcoscenico. Può apparire rigido, ma serve per
impedire che il bambino si muova in modo insensato, ora avanti ora indietro,
senza mai sapere quanto andare e dove fermarsi. D’altronde, la zona di
recitazione è spiazzante, un’area con pochi punti di riferimento, con l’impiccio
del pubblico di fronte al quale non devo girare le spalle, e gli altri impicci
dei compagni sparsi qua e là. Una griglia dà senso allo spazio vuoto.
Anche le sedie devono
essere disposte secondo un a geometria sensata: a semicerchio, in modo che
tutti siano visibili, con un corridoio dietro per uscire o prendere i compagni
alle spalle.
Ecco, lo spazio è
strutturato.
Ora qualche esercizio di
vocalizzazione. Scansione e massimo utilizzo dell’aria inspirata. L’attenzione
va ai movimenti di inspirazione ed espirazione. Le voci dei bambini sono di
tonalità alta, perfino stridula; di intensità insufficiente, a volte solo un
soffio; di velocità incontrollata, per cui le parole vengono sparate senza
pausa e senza intonazione. Esercizi per ascoltarsi per ascoltare.
Esercizi per guardarsi in
faccia. La tentazione è forte, di dire le battute al vuoto; non al pubblico o
al compagno, perché sia il pubblico sia il compagno sono fonti di emozioni.
Consapevolezza dello spazio, dello sguardo, della relazione instaurata.
Proviamo la prima parte
dello spettacolo, più volte. Ogni prova ha due obiettivi: consolidare quanto
acquisito e perfezionare con piccole aggiunte e approfondimenti. Di volta in
volta, aumentano le competenze. Per fortuna, il bambino ama la ripetizione.
Purché, naturalmente, la situazione sia coinvolgente. Procediamo con buon
ritmo. Qualche rimprovero perché, nei momenti di attesa fuori dell’aula, scatta
il gioco. Difficile, per loro, comprendere il significato e l’importanza di “concentrazione”.
L’intendono come silenzio e disciplina, più che come preparazione mentale e
fisica alla performance. E, per fortuna, questo teatro li diverte e li
appassiona. Quando toccano la porta e si sentono i versi spaventosi del
tirannosauro… l’emozione si rinnova, il gioco è sempre bello. Arrivano i
genitori: tutti a casa. Raccomandazione: studiare tutto a memoria!
Nessun commento:
Posta un commento