giovedì 20 dicembre 2012

UNA LEZIONE AL TEATRO SOCIALE DI COMO

Stefano De Luca è a Buenos Aires con l'Arlecchino. Tiene un corso al Teatro Sociale di Como e mi chiede di sostituirlo all'incontro di mercoledì. Volentieri. Eccomi a Como. In onore alla crisi, un video mapping da togliere il fiato. Entro in teatro. Ci trovo sette allievi al sesto anno di corsi settimanali. Mi presento, presento il programma. Loro hanno le copie di "Peggio per chi resta", un mio piccolo atto unico che avevo scritto per i ragazzi da utilizzare per il saggio finale. Ma io ho portato i libretti di "Death watch". Si dividono in tre gruppi (tre, tre, uno). Hanno mezz'ora di tempo per leggere due pagine del monologo e prepararne la lettura. Poi si esibiscono. La materia è ardua, un racconto duro e drammatico. Non manca quindi un'interpretazione sanguigna. C'è poi un duo: voce sofferta e voce dura e neutra (una prigione che richiama il campo di concentramento). Il terzo gruppo presenta una voce maschile lenta e scandita, che crea suspence; a seguire, una voce femminile spiazzante, il registro dell'ironia; infine, una voce femminile drammatica. Mi complimento, in poco tempo sono emerse idee molto interessanti. Ogni gruppo ha elaborato anche, a grandi linee, un progetto di messa in scena, che si è rivelato uguale per tutti: luce bianca fredda, gli elementi di arredo citati nel testo, sbarre sullo sfondo.


Faccio notare come tutti si sono limitati a leggere da fermi. A nessuno è venuto in mente di legare la lettura al movimento. 

Mostro il video dei Passeri ed espongo le linee guida della regia: luci colorate, nessun arredo di scena, solo un tappeto di pvc con la griglia di tre celle, movimento incessante dei tre attori che interpretano l'unico personaggio, Zaccheo.
Invito a lavorare per altri dieci minuti sui movimenti. Ed eccoci alla parte più ostica. Ho l'impressione che abbiano approfondito la dizione, l'espressività della voce, l'immedesimazione del personaggio...  secondo un teatro che vede la scena come uno specchio della realtà. Il palcoscenico salotto. Sul quale si cammina, ci si siede, si corre, ci si accascia, ci si stende... come nella realtà. Non sanno bene che cosa fare, dato che inseguono la consolidata strategia di "dare corpo al personaggio". Ma un detenuto nella cella della morte... quali movimenti può fare? Hanno visto nel video che i Passeri percorrono la griglia, si agitano, lottano, fanno strani movimenti... Hanno visto che funziona, ma non ne colgono la logica. Non sono movimenti che corrispondono alle parole. Non sono onomatopeici.

L'attore non si muove nel realismo di un ambiente riconoscibile. Non recita una fotocopia della realtà. Dico loro che a me dell'immedesimazione non interessa granché. L'attore si muove non nel senso che si sposta, si siede, si rapporta, esce e entra... Si muove nella musica e nella luce, nella parola e nello spazio, nella relazione interpersonale e in quella oggettuale. E non parla come un ipotetico personaggio (non sarà mai lui, non potrà mai non essere se stesso, e quindi o recita se stesso o scimmiotta).

Ponetevi il problema del pubblico, dico per concludere. Non annoiatelo mai. Dategli un prodotto comprensibile, interessante, emozionante, spiazzante, divertente. Dategli ritmo, colore e movimento, suoni e musiche. Non dategli una fotocopia scialba della vivida realtà. Ma questo è un discorso troppo lungo, e ci salutiamo.


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