mercoledì 27 novembre 2013

CALIGOLA DUE: MOSTRO PER AVERE TROPPO AMATO

Il Caligola di Tecneke è un "Caligola Scene" o "Scene da Caligola". Ho effettuato tagli notevoli. L'opera è lunga e complessa e una buona parte tratta dell'amore. Ho cercato una linea fluida che vertesse solo sulla visione di Camus del potere. Sia del potere politico sia del potere come volontà individuale, annientata dall'assurdità del mondo. Il nostro Caligola impersona l'assurdo in tutta la sua teatralità: dittatura e ingiustizia, morte capricciosa e terrore, poesia e solitudine, divinizzazione e suicidio... I tredici personaggi sono stati ridotti, gli interpreti sono solo cinque. Ogni agonista affronta più ruoli: attori, musicista, cantante, tecnico... Teatro fusion: voci, musiche, movimenti, costumi, oggetti, scenografia... tutto prende vita e concorre alla giocabilità dello spettacolo. Finora abbiamo sperimentato e ipotizzato. Ora ho finalmente un piano teorico di regia, frutto dell'osservazione. Limitato, per il momento, ai primi due atti (su quattro). Eccolo. Perché "mostro per avere troppo amato"? Perché chi vive tiepidamente e materialmente non scopre certo il mondo nel suo nonsenso, ma lo vede come un nido accogliente, al quale si adatta senza problemi. Chi invece conduce un'esistenza di passioni, chi cerca significati profondi, chi non si accontenta, chi infrange le regole per imporre regole più alte... costui corre il rischio di illudersi come ha fatto Caligola. Illudersi, per esempio, che amore e godimento estetico della vita possano durare. Illudersi sulla felicità. La disillusione può togliere i veli stesi sul mondo e mostrarlo nella sua casualità insensata. Caligola ora sa che mostro si nasconde dietro l'apparenza della società civile. Si trasforma egli stesso in mostro, per rivelare agli altri l'inferno che l'uomo si è costruito con le proprie mani. 

CALIGOLA

ATTO PRIMO, scene 2, 4, 6, 7, 11
Gli agonisti, mentre ancora il pubblico prende posto, portano in scena il telo bianco e lo stendono, fissandolo sotto i cubi laterali, su quello di destra si trova già la bambola Drusilla, sgonfia, con accanto la pompa. Al centro, contro il fondalino bianco, la sedia girevole di Caligola; a sinistra il porta abiti e il cesto con gli oggetti di scena; a destra il tavolino con i comandi per musiche e luci.
Caligola, nel frattempo, si sistema sulla sedia, le spalle al pubblico; gioca con il palloncino bianco. Cesonia va al tavolino, accende le luci su modalità sound.
Scena 2. Swing, dialoghi brillanti sotto il telo. Scandito e lento: Farne una malattia perché è morta comincia a essere eccessivo e bisogna essere spietati se poi questo danneggia lo stato. Tutti, meno Caligola, ripetono per conto proprio.
Scena 4. Stop musica. Caligola si gira a osservare i senatori che si muovono lenti sotto il telo. Va davanti a uno degli specchi e pronuncia la battuta.
Registrazione 1 del monologo di Caligola “ho corso tanto”. Uno dei senatori va al cubo e gonfia veloce la bambola. Gli altri senatori, lentissimi, vanno al porta abiti e si agghindano a piacimento. Si avvolgono infine nella toga e vanno a sedersi sui cubi con lo sguardo fisso sul pubblico.
Caligola e Cesonia dietro il fondale, in controluce, mimano il monologo: incontro, abbraccio, camminata, morte; “mostro, Caligola”: picchia pugni contro il fondale. In finale di monologo, Cesonia lo riporta al trono, ma lui si stacca e torna allo specchio per la battuta. Poi, mentre Cesonia torna alla sua postazione, va a prendere Drusilla e la appende al fondale; quindi sul trono.
Scena 6. L’intendente striscia sotto il telo ed emerge accanto a Caligola.
Caligola ha un atteggiamento tra l’irritato, lo sprezzante e il sarcastico. Tampina l’intendente che si sposta emergendo dal telo per le battute. Alla battuta “Non capisci niente” Caligola va a sedersi sul cubo di destra, il senatore raggiunge il collega sul cubo di sinistra. Caligola si esprime lento, come tormentato, finge un pensiero profondo. L’intendente gli si mette al fianco. “tutto fondamentale”: Caligola gli circonda le spalle con il braccio, confidenziale. La voce si abbassa, tono di complicità, di congiura. “sentite un po’”: cammina nervoso, dizione febbrile, seguito stretto dall’intendente. “appena i senatori”: scandito lento.
L’intendente manda via i senatori, poi va a sedersi con Cesonia sul cubo di destra, mentre Caligola sale in piedi sul cubo a sinistra.
Scena 7. Ora ha il tono di un predicatore bonario e ispirato, è un leader religioso, espone la volontà divina, è papale. Con sprazzi di ironia. “Sentitemi bene”: un urlo isterico.
Registrazione 2 “se il Tesoro”. I senatori sotto il telo danzano a ritmo. Caligola, ridendo, insieme a Cesonia lancia sul telo i palloncini colorati che se ne vanno da tutte le parti.
“Hai tre secondi per sparire. Sto contando: uno…”: urlo isterico.
Scena 11. Registrazione 3 “ecco cos’è”. Caligola si abbandona sul telo, sopra i corpi in movimento, mentre Cesonia sgonfia Drusilla. Allo stop, i senatori immobili distesi. Caligola si alza incerto, come ubriaco, recupera Drusilla, l’accartoccia, la esibisce (“gli mostrerò cose…”) e la butta via. “Fate entrare”: scandisce lento, trasognato. Intanto, i senatori strisciano fuori, si rintanano dietro il porta abiti.
Duetto recitato/cantato con Cesonia.
Caligola torna al trono, appoggia Drusilla sgonfia sopra il fondale.
“Venite”: i senatori strisciano e rotolano fino ai suoi piedi, sopra il telo. Ora Caligola ha un tono di profondo dolore, la voce rotta, quasi lacrimosa.
“Caligola”: un grido di sofferenza, poi il buio.
ATTO SECONDO, scene 1, 5, 9, 12, 14
Scena 1. Caligola sul trono di spalle, accasciato come una marionetta senza fili. Cesonia e Cherea tengono teso in verticale il telo, dietro il quale si alzano e si abbassano per dire le battute i due senatori, di volta in volta con indumenti diversi dai colori vivaci. Il porta abiti viene spostato dietro il telo, al centro. Recitazione buffa, da commedia. Solo alla battuta “ha ucciso mio padre” pausa e pathos; indossa toga.
Scena 2. I due senatori, con Cesonia, risistemano il telo sul pavimento con gesti convulsi, correndo da una parte all’altra. Cherea di fianco a Caligola, fa ruotare il trono.
“Sì, basta con le chiacchiere”: i senatori tornano sotto il telo. Cherea in piedi sul cubo-tribuna, stile da comizio.
“Attraverso Caligola”: Cherea al leggio, sulla sinistra (suona il basso?); i senatori spostano i cubi vicino a lui, si siedono. Caligola si sposta a destra dove c’è la pompa, sorretto da Cesonia, fatica a camminare e a stare eretto. Gonfia di nuovo Drusilla, con grande fatica. Cesonia canta: “Uccidere Caligola… della poesia” e “Se c’è un solo individuo puro… deve morire”. Le frasi vengono ripetute dai senatori, dapprima ognuno per conto proprio, poi in coro.
“io non ti capisco bene”: in piedi sul cubo, ancora come un comizio.
“cherea, tu hai parlato bene”: idem.
“sì, lasciamolo fare”: si spostano intorno a Caligola che finisce di gonfiare Drusilla.
Scena 5. Cesonia va a prendere il bambolo e i senatori lo gonfiano dopo avere sistemato i cubi. Caligola sistema Drusilla sul fondo, infilandola sul palo in modo che risulti in piedi; la saluta: “ciao, bella”.
“signori, un’esecuzione…”: alla mussolini; prende Cherea sottobraccio. “Soldati, sono fiero di voi”: tutti si schierano sull’attenti di fronte a lui che li passa in rassegna.
“Bene, divertiamoci” musichetta allegra, da festa. Caligola accenna a qualche passo di ballo con Cesonia.
“È anche vero…”: va accanto a Rufo che si sta gonfiando e ne mostra il volto. Stop musica.
“Mi sembri di pessimo umore…”: l’atmosfera cambia di nuovo. Pesante, funerea. Comportamento da sadico. Caligola torna sul trono. Gioca con Drusilla, la usa per il “contrario”, facendola ruotare. Cherea al basso, cupo.
“C’era una volta… dal cuore”: Caligola lascia Drusilla, mima con effetto tragicomico, prende la spada dal cesto e uccide il bambolo, mentre Cesonia canta le sue parole, Cherea al basso.
“… voglio vedervi ridere”: i senatori si mettono i nasi rossi da clown e si esibiscono fra grandi risate.
“Ma guardali”: i senatori si levano i nasi rossi, le espressioni diventano serie, cupe, spaventate; si rifugiano dietro il fondale. Muzio è un senatore che tiene il bambolo davanti a sé e gli dà voce e gesti.
Scena 9. Caligola dietro il fondale mima uno stupro con la bambola. Gli altri ansimano. Finito, rimette la bambola sul palo, poi va sul trono; i senatori sistemano il bambolo su un altro palo.
Registrazione 4 “dico che domani”: entrata forte della musica, recitazione tempestosa. I senatori sollevano il telo dagli angoli e lo fanno fluttuare in aria con violenza.
“Mangiamo, signori”: si mettono seduti in semicerchio, come su triclini, con i cubi al centro. Cesonia vi depone un vassoio con caramelle e cioccolatini che tutti degustano.
“L’esecuzione”: Elicone al leggio, Cherea al basso.
“Vorrei discutere”: Caligola in tondo, seguito dai senatori. Dialoghi svelti.
“…avere sonno”: Caligola si raggomitola sui cubi.
“È molto semplice”: Cesonia al microfono, cadenza cantilenante.
“Che cosa bevi, Mereia?”: cambia atmosfera, luce blu. Caligola di colpo violento. Butta a terra Mereia, gli pesa sul petto bloccandolo, ne fa il proprio sgabello…
Registrazione 5: “terzo delitto”, scansione dura, da campana a martello.
“Prendi. Bevi”: Mereia beve e muore. Caligola raccoglie il suo inalatore. Cherea e il senatore avvolgono Mereia in una toga e lo portano dietro il fondale.
Scena 12. Caligola accasciato sul trono. Cherea e senatore dietro il fondale con basso e percussione accompagnano il dialogo di Cesonia e Scipione. Cesonia recitar cantando.
Scena 14. Caligola in trono. Scipione interpretato da due senatori, seduti sui cubi a destra e a sinistra. A destra Scipione che si illude di poter stare ancora con Caligola; a sinistra Scipione che odia e disprezza il nuovo Caligola.
Registrazione 6: “la solitudine”, musica stridente, Caligola stacca la bambola e il bambolo, li maltratta, li butta sull’onda lenta e fantasmatica del telo sotto cui si sono rifugiati i senatori. In finale, ritorna sul trono.
“C’è sempre”: Scipione striscia fuori dal telo, si mette in piedi sulla destra. Si esprime con impaccio e imbarazzo.
“il disprezzo” Caligola lascia il trono e va lento dietro il fondale. Buio.



lunedì 18 novembre 2013

CALIGOLA UNO

Un’impresa, questo Caligola. Sia perché Tecneke non è una compagnia di professionisti sia perché i tempi di Camus sono più letterari che teatrali. Come spesso succede. Elaboro un piano di regia non del tutto convincente, più che altro idee a tavolino, quelle provvisorie, scritte per combattere il senso di vuoto che si avverte all’inizio di una messa in scena. Purtroppo, e dico purtroppo perché le scelte registiche viaggerebbero su strade più praticate e più comode, non faccio teatro di estetismi, non m’interessa pensare a: bella scenografia, bella musica, belle luci, bella recitazione… Faccio teatro, non un salotto arredato dall’architetto d’interni. Ho bisogno di elementi concreti da accostare, attivare e contrapporre, sui quali costruire non una, ma le mille storie del testo. Ho bisogno di un palcoscenico rivitalizzato da persone alle quali si uniscono, in sinergia, teli e oggetti, fondali e luci, musiche e pantomime. Il teatro non ruota intorno all’attore recitante, ma all’interprete performante. Tutto ciò che viene relegato nella categoria della scenografia, dell’arredo e dell’oggettistica richiede di essere rivalutato e rivitalizzato. Un teatro animistico. Tutti i suoi elementi acquisiscono un’anima e queste anime di persone e di cose interagiscono… per quale scopo? Non per fare un investimento economico, non per vincere un premio, non per compiacere il narcisismo degli artisti, non per il piacere o l’edificazione del pubblico, non per cambiare la società, non per lanciare un messaggio. Si fa teatro per ritrovare il senso dell’esistenza come interazione di singole anime con l’anima mundi. Nel teatro si ritrovano e si riscoprono la verità, la bellezza, l’armonia della vita.

Funziona? Non lo so. Cerco di farlo funzionare per gli interpreti, me compreso. Non c’è distinzione tra attore, regista, musicista, scenografo, tecnico... Tutti sono agonisti, tutti concorrono non alla “riuscita” dello spettacolo (intesa come catalizzatore di applausi), ma all’autenticità dell’esperienza nello spazio chiuso interdetto al pubblico. La messa in scena ricorda l’attivazione del dottor Frankenstein di materiale biologico morto mediante l’utilizzo dell’energia elettrica naturale, fornita dai fulmini.
Chi vediamo sul palcoscenico? Attori morti, nel senso che devono lasciare la forma di vita che li identifica come individui sociali per assumere una nuova identità immaginaria, tanto più intensa quanto più radicata nelle nuove relazioni linguistiche e cinetiche tra di loro e con l’apparato inorganico costituito da scenografia, musica, oggetti, luci. L’energia che li rivitalizza è l’espressività significativa che deriva dalle relazioni, che non sono scontate e immediate, ma vanno cercate con l’esplorazione e l’esperimento.
Facendo esperienza tra di loro e con l’apparato inorganico si colgono rapporti e attinenze, come anche rifiuti e contrasti. Ma qual è il modus operandi? L’ascolto degli agonisti nelle loro differenze strutturali ed espressive; l’osservazione delle cose e l’ascolto delle loro potenzialità, facilitati dall’attenzione a considerarli in forma dinamica e abbinati tra di loro; la trasposizione di stati d’animo in pantomime e visioni, fornita dai movimenti degli agonisti e dall’uso creativo delle cose; la costante attenzione alle relazioni tra episodio scenico e ritmo, favorendo un utilizzo della musica non di sfondo, ma come motore di movimento e visione.
Risulta chiaro che nel teatro di parola s’innesta senza traumi il teatro di figura e il teatro danza, al di là delle distinzioni gratuite e vincolanti.
In questa sinfonia di movimenti e ritmi, voci e rumori, forme e colori la partecipazione degli agonisti è sinestesia: dal suono al movimento, dalla parola alla musica, dalla visione al silenzio interiore e così via.
E l’effetto sul pubblico? Anzitutto, lo spettatore coglie l’invito a non indagare lo spettacolo applicando categorie razionali ed estetiche consolidate. Entra nel flusso continuo e si lascia trasportare, non ha il tempo di ponderare, non gli è consentito l’applauso, rimanda a dopo la comprensione, non è un pubblico-critico quello che si cerca, ma un pubblico-testimone. Assiste all’esperienza morbida degli agonisti, che non hanno intenzioni provocatorie o illuminanti. Essi non hanno niente da spiegare, non si aspettano riconoscimenti, non fanno né arte né politica né sensibilizzazione sociale. Essi giocano-lottano per creare nello spazio chiuso un mondo animato, dove l’uomo-interprete è solo uno degli elementi nell’ecologia universale dell’anima mundi.

Finora che cosa abbiamo? Il fondale bianco, la sedia-trono girevole bianca, l’ampio telo bianco che ricopre tutto il palcoscenico, un porta abiti straripante di teli e costumi strambi di tutti i colori, due cubi bianchi. Il fondale (agrivelo) consente di operare su due livelli orizzontali: la scena anteriore e quella posteriore in controluce. Il telo bianco su due livelli verticali: sopra e sotto il telo. La sedia consente di: ruotare, alzarsi e abbassarsi. Il portabiti è una tavolozza che viene spostata a piacimento sullo sfondo bianco. I due cubi consentono la seduta e fanno da basamento monumentale.
S’intuisce la geometria complessa che scaturisce da pochi elementi semplici ed economici.
Per completare, abbiamo anche le due bambole gonfiabili (Drusilla e Mereia) che possono diventare: l’amante, una suddita da stuprare, un senatore da uccidere, l’alter ego, l’uomo in generale nella sua assurdità… e una volta gonfiate si possono sgonfiare, in un ciclo di vita e morte.
I singoli elementi sono come stelle e pianeti di un planetario, oggetti inanimati. Ma non appena si mette in funzione il meccanismo, essi entrano in relazione gli uni con le altre e l’universo prende vita.
In parte, posso immaginare le potenzialità di ogni singolo oggetto. Mi serve per testare e tarare il meccanismo. L’anima di ogni elemento scenico viene comunque delineata durante le prove, quando un agonista e un cubo si trovano di fronte. Che cosa fa l’uno dell’altro o che cosa fa l’uno per l’altro? Un cubo di legno, abbiamo detto, fa da sedile o da basamento. Ma due fanno anche da colonna. In un cubo cavo si può infilare Drusilla accartocciata. Oppure tutto il telo bianco, che però non ci sta. Due cubi alle estremità del telo bianco fungono da fermi. Un cubo può essere spinto o fatto rotolare, come il masso di Sisifo.
Insomma, le proprietà di ogni singolo oggetto non contano quanto le relazioni con gli altri, che danno origine a utilizzi diversi e suggestioni inusuali.
Niente di più lontano, quindi, dal teatro di ambientazione realistica, dalla recitazione psicologica, dalla riproduzione del mondo fasullo in cui viviamo. Un teatro nostro che stiamo cercando senza avere la certezza di trovarlo, perché le grandi scoperte e le esplorazioni di mondi nuovi non hanno mai offerto un premio sicuro. Si va alla ventura, com’è giusto che sia.


Oggi abbiamo provato quasi tutto l’atto primo, poche pagine dopo i tagli effettuati. Avevamo tutti gli elementi previsti per la messa in scena, anche la prima musica e le prime registrazioni di Caligola. La macchina si è messa in moto, ora dobbiamo catturare i fulmini (intuizioni e scoperte) che attivano il meccanismo per dare vita alla Creatura. Il nostro Caligola-Frankenstein dà già qualche segno di vita.

venerdì 15 novembre 2013

SIBISI' - CYBER BULLISMO CONDIVISIONE

Ho cominciato il laboratorio sul cyber bullismo con la classe Terza B della scuola media Verjus di Oleggio, in collaborazione con la prof.ssa Francesca Ferazza. Durante il primo incontro ho presentato una sintesi del questionario elaborato da "Save the children", invitando gli alunni a compilarlo. Oggi ho letto la brochure diffusa a cura di Cisas, Comune, Polizia municipale, I.C. Verjus, Direzione didattica, Carabinieri, Associazione Valentini e Comitato Genitori. E' stata distribuita ai genitori, ma gli alunni non l'hanno vista.
Ho fornito dieci tracce per produrre elaborati da utilizzare per una messa in scena teatrale sul bullismo cibernetico. Esse riguardano: l'analisi delle reazioni a un atto di bullismo; poesie e canzoni; il racconto in prima persona di un bullo; la diversità; l'angoscia della vittima; una storia a lieto fine; il dialogo tra vittima e persecutore; un'intervista.
Gli elaborati personali saranno integrati da fatti di cronaca.
Tre alunne portano un articolo sul caso di Carolina, la ragazza che si è suicidata. Prendo l'occasione per le prime istruzioni su una lettura espressiva e incisiva: l'uso della voce, il coro che fa eco su parole e frasi selezionate, uno strumento musicale. In classe c'è una ragazza che suona la chitarra. Ci sono anche cinque ragazze che sanno danzare. Gli alunni sono motivati e non vedono l'ora di cominciare a montare lo spettacolo. e io ripeto: prima dovete provvedere al materiale. L'attività si pone quindi due obiettivi: una riflessione personale su una realtà sempre più drammatica e la comunicazione teatrale del materiale trovato e prodotto.
Tra le richieste, anche quella di trovare un titolo.

LUPACCHIOTTI 2





Continua il lavoro su immaginazione e movimento. L’esercizio che deve svolgere un interprete viene proposto a tutti. Ciò serve ad ampliare la gamma delle abilità individuali e a sfruttare le buone idee interpretative di tutti che si sviluppano solo con la pratica diretta.
Il primo esercizio è semplice: movimento fluido, coerente con la musica, espressivo. Uno dopo l’altro i dieci lupacchiotti si esibiscono e di volta in volta si esprimono commenti e valutazioni. Chi fa da pubblico si allena a notare le ripetizioni, le invenzioni, l’efficacia espressiva ecc. Insomma, ognuno ruba agli altri quanto appare nuovo e interessante. C’è chi è più ricco di inventiva e chi meno, ma tutti danno il loro apporto. Solo Giada accompagna gesti e movimenti con una mimica facciale molto espressiva. Viene notata e a tutti rivolgo l’invito a fare altrettanto.
Come arrivare a quel risultato? Se la consegna si limita a seguire la musica con il corpo, si assiste a una performance anche fantasiosa, ma che sembra un involucro vuoto. Per dare corposità e significato, suggerisco di utilizzare l’immaginazione. Devono vedere se stessi in una foresta; ora scavalcano un ruscello, ora si abbassano a cogliere un fiore; ora si tendono per raggiungere il frutto sul ramo; ora fuggono da una minaccia… L’esibizione si riveste di suggestione e fascino. Ora non c’è solo un corpo che si muove sulla musica, ma un attore che traccia storie nello spazio.

Quando Maela e Aurora entrano nella foresta, sono scortate da Anima e Vegeta che poi si renderanno invisibili. Sono gli spiriti della natura e per accentuare la loro essenza le fornisco di due teli leggeri da far volteggiare. Come fare volteggiare un telo? Tutti affrontano l’esercizio e in breve le idee da sfruttare sono molte. Telo fatto ondeggiare come un’onda, telo sopra la testa fluttuante, telo tipo strascico gonfio, telo lanciato, telo rasoterra… Ora Anima e Vegeta hanno a disposizione un database di “telo fluttuante” a cui attingere per la loro performance.

mercoledì 13 novembre 2013

L'ULTIMA FERMATA a Mezzomerico


Tecneke presenta : L’ultima fermata 
di Aquilino
con Michela Criscuolo, Monica Ergotti, Alba Galbusera; regia di Benedetta Bonacina

Mara e Olga. Due donne, due mondi opposti. Unico elemento di contatto è la percezione di essere cadute entrambe in una dimensione irreale, isolata nel tempo e nello spazio. Mara reagisce con un alternarsi concitato di emozioni; percorre uno spazio sconosciuto, incapace di individuare la geometria di riferimenti necessari per ricostruire i confini di un’esistenza accettabile. Olga ha congelato le proprie emozioni per non esserne travolta; accetta la situazione come ha dovuto accettare il proprio destino, creando il vuoto di una vita non percepita. Il terzo personaggio, un’ombra, si muove come alter ego di Olga, incarnando attraverso il codice dell’espressività corporea il mondo affettivo che la donna ha soffocato.
Mentre il resto del mondo scorre via dietro uno schermo che non si può attraversare, ciascuna scopre la propria identità in un doppio percorso a spirale: dentro di sé e verso le altre. Fino a trovare uno spazio interiore comune da cui partire per incamminarsi insieme oltre l’ultima fermata, e ancora oltre.
I TEMI
Siamo a una fermata d’autobus, ma l’autobus non si ferma; l’ultima fermata dovrebbe essere il capolinea, ma qui è una tappa da cui ripartire; alla fermata si incontrano due donne, Mara e Olga, ma i personaggi in scena sono tre. I piani prospettici si intersecano in un percorso fluido ma non lineare, sulla traccia di molteplici temi.
La solitudine. Per Olga è l’ultimo rifugio in cui tentare di dimenticare sé stessa; per Mara è un brutto sogno che disorienta e trascina verso l’inesplorato. Entrambe donne, sono vittime di un mondo che non ha dato scampo: l’identità è mutilata.
La violenza della guerra. È l’annientamento fisico, affettivo, psicologico cui sono soggette le popolazioni civili, soprattutto le donne, spesso vittime di ulteriori violenze quando sopravvivono nella condizione di profughe.
La sofferenza femminile. Non solo quella che grida dai titoli dei giornali e gronda sangue, ma una sofferenza più mimetica e sfuggente che si nasconde nelle pieghe di vite apparentemente tranquille. Mara recita nella vita un ruolo stereotipato, Olga per non recitare più, preferisce non vivere. Il confine tra realtà e sogno, tra vita e ricordi si confonde in una dimensione in cui svanisce anche la percezione di sé. Ma in questo luogo di penombra, le due donne si guardano: ciascuna sposta lo sguardo da sé e si volge verso l’altra. Questa capacità di uscire dai confini del proprio vissuto, di gettare un ponte verso l’esterno cambia la prospettiva, apre alla visuale di un altrove verso cui avviarsi con serenità e con coraggio.
Non c’è una meta che illumini la strada, la meta è il viaggio: il viaggio come metafora di una vita che non cerca significati o logiche superiori, ma trova in sé la propria giustificazione.


Note biografiche
Aquilino - Scrittore e drammaturgo, direttore artistico di Tecneke.
Michela Criscuolo - Dopo avere frequentato l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico di Roma,  ha preso ha parte a vari spettacoli teatrali con la Compagnia Silvio d'Amico, la Compagnia Giulio Bosetti, la Compagnia Teatro Ileana Ghione. Dal 1986 vive ad Oleggio dove continua a fare teatro per passione.
Monica Marianna Erotti - Esperta di danza funky, jazz, contemporanea, insegnante di danza hip hop, diplomata MC hip hop Instructor presso la Cruisin MC School, ha fatto parte della crew “Le Clan Banlieue” di Paola Brighenti. Ha recitato in spettacoli per ragazzi con la Compagnia “L’altra Eva”.
Alba Galbusera - Diplomata presso il Liceo Teatro Nuovo di Torino, ha attivamente partecipato a progetti nell'ambito di Torino Spettacoli. È tra i promotori dell'associazione teatrale Tecneke, di cui è presidente.
Benedetta Bonacina - Ha esperienza pluriennale di laboratori teatrali nelle scuole; ha pubblicato numerosi testi di teatro per ragazzi, sia originali sia riduzioni di classici della letteratura.
TECNEKE - Via Repubblica 50, 28047 Oleggio (NO)
TEL 0321992140 (Aquilino) – 3402399942 (Michela)


lunedì 11 novembre 2013

IL MANGIALIBRI 2014

Terzo anno di "Mangialibri"

"La Biblioteca “E. Julitta” di Oleggio, in collaborazione con la D.D. “Maraschi” e ICS “Verjus” di Oleggio, propone la terza edizione del Progetto “Il Mangialibri”.
Il Progetto prevede:
- per le classi quarte della Scuola primaria la proposta, nel periodo novembre-febbraio, di un percorso di approfondimento sul tema della lettura e della scrittura, che si articola in tre fasi:
1.    In classe con l’insegnante di riferimento (durata: a scelta dell’insegnante):
§  Il mestiere dello scrittore e il prodotto libro: che cosa conoscono i ragazzi del mondo dei libri? Come si immaginano uno scrittore? Che cos’è una casa editrice?
§  Intervistiamo uno scrittore: preparazione delle domande.

2.    In Biblioteca (1 incontro per classe, durata: 1 h):
§  Lo scrittore Aquilino risponderà alle domande dei ragazzi e inviterà gli alunni a realizzare una storia, guidandoli in un percorso di ideazione e di scrittura che potrà essere completato in classe.

3.    In Biblioteca (1 incontro per classe, durata: 1 h):
§  Presentazione e visita della Biblioteca a cura del personale.
§  Scelta di un libro da leggere (previa iscrizione alla Biblioteca da parte di un genitore con modulo consegnato in classe o compilato in Biblioteca).
- per gli alunni delle classi quarte e quinte della Scuola primaria la partecipazione al concorso di scrittura.
ecc. ecc."

Questa mattina l'incontro con la classe Quarta B dell'I.C. Maraschi, pilotata dall'insegnante Katia Buschini. Un incontro straordinario. Gli alunni hanno letto i primi due volumi degli "Orrendi per sempre". Parliamo della mia infanzia, di case editrici, del mestiere di scrittore, dell'immaginazione e della creatività, e anche del teatro. Faccio la conoscenza di aspiranti scrittori capaci di scrivere al computer libri di cento pagine e di leggere cinquanta libri all'anno. Conosco anche cantautori e parolieri. Una classe di artisti. Incontri come questo mi regalano una nuova fiducia nelle nuove generazioni. Non tutto è perduto, quindi. Non ci sono solo ragazzi e giovani egoisti, opportunisti, apatici, privi di passioni e di forza di volontà. Forza, bambini, dovete salvare il mondo! 
Leggo alcune pagine del terzo volume e ci diamo appuntamento per il concorso.

Gli alunni torneranno per un secondo incontro con la bibliotecaria Tiziana che presenterà dotazione e attività della biblioteca e il regolamento de "Il Mangialibri", il concorso di scrittura per gli alunni delle classi Quarte e Quinte elementari e Prime medie che verranno in biblioteca da marzo a maggio 2014 per produrre gli elaborati.

La visita, l'incontro con un autore e il concorso sono validi strumenti per sostenere i ragazzi nei loro rapporti con la lettura e la scrittura, con l'immaginazione e la visione personale del mondo.

Mercoledì un'altra classe, e poi le altre. Sorsate di energia.

giovedì 7 novembre 2013

LUPACCHIOTTI UNO


Cominciamo con una verifica della memorizzazione. Bene, quasi tutti sanno la parte completa. Riscaldamento. Una musica in crescendo. Parte con una percussione, poi uno dopo l’altro cinque strumenti diversi. I lupacchiotti devono identificare ogni nuova entrata e abbinare a ogni strumento una parte del corpo. Per esempio, posso battete i piedi per il primo strumento a percussione, muovere braccio e mano per lo xilofono, il bacino per gli archi e così via. Difficile, lo so. Ma li costringe a segmentare il corpo e a fondere il corpo, differenziato, con il ritmo. Il lavoro dell’anno scorso mostra i suoi frutti: i nuovi allievi faticano a capire ciò che lega suono, ritmo e corpo; si dibattono come farebbero su una pista da ballo, dedicando scarsa attenzione all’ascolto senza sforzarsi di operare un maggiore controllo sul corpo.
La voce. Analizziamo alcune battute di ogni personaggio. Dapprima il sottotesto. Che cosa intende comunicare il personaggio? Le appoggiature. Scegliamo le parole e variamo l’enfasi della voce. Voce e corpo. Supporto l’espressività vocale con gesti e posture. Voce e movimento. Segmentazione una battuta di Aurora: “Qui è tutto… tutto così vero, così profumato e vivo”.
Qui è tutto: va a sedersi sul cubo e ci fa una rotazione completa veloce
Tutto così vero: si sposta dove ci sono gli alberi e osserva le chiome
Così profumato: tende il braccio per indicare un uccello che vola via e si sposta dalla parte opposta
E vivo: ritorna nella posizione di partenza, al centro del proscenio, e appoggia la parola vivo a braccia spalancate.

Apprendere e memorizzare schemi di abbinamento voce-corpo-movimento non è facile. Lo si vede nella scena successiva con Scuoio e Diserbo. Le loro battute vengono ricostruite tenendo conto di:
-          appoggiature, pause, intensità, tonalità e velocità della voce
-          gesti abbinati a parole
-          movimenti che creano le relazioni con lo spazio, il partner e il pubblico
Non si tratta solo di memorizzare sequenze, ma di farlo con consapevolezza. I lupacchiotti non devono solo scimmiottare quello che faccio io, ma scovare in se stessi una versione personale e originale, e capire o perlomeno intuire il significato delle parole sia a livello letterale sia di motivazioni psicologiche, atteggiamenti, sottintesi.


Applausi per tutti.

sabato 2 novembre 2013

I FRUTTI DI NOVEMBRE








In attesa dei trapianti (i mirtilli, l'agnus castus, una lavanda, i ribes), mi dedico alla raccolta delle foglie e alle potature leggere di mantenimento. Novembre ha ancora frutti da offrire. Si è magari giù di morale (i motivi ci sono sempre e sono tanti) e un giro in giardino (non occorre un parco) è l'occasione per ricollegarsi con l'anima mundi. Come inserire la spina nelle prese d'energia della natura e sentirsi ricaricati. Ci fanno compagnia i colori, le forme e i precisi voli degli uccelli che gradiscono la ciotola con semi e focaccia.
Le nespole mi hanno fatto uno scherzo: sono maturate tutte insieme da un giorno all'altro. Ho rimandato la raccolta appurando che in casa stentavano ad ammezzarsi e ora ne ho quiattro e più ciotole colme nel frigo: settimana nespolosa.
L'aronia dà ancora bacche nere gustose, per cui ne ho raccolto un'altra ciotola che tengo in frigo (il congelatore ne è pieno). Il goji mi tende le piccole bacche rosse per un aperitivo asprigno (sono più gradevoli essiccate, ma con il nostro clima non è possibile). La piantina di cachi che ha sostituito quella morta di freddo si sta dando da fare e porta una dozzina di grossi frutti dolci. Le piccole pere Martin Secco si lasciano cogliere a rate, per fortuna. Quest'anno sono di pezzatura piccola, ma la polpa è succosa.
Le meline rosse del Malus Perpetu Evereste restano sulla pianta sia a scopo decorativo sia per costituire una dispensa a uso dei merli durante i mesi più freddi dell'anno (fino a marzo). Anche gli ultimi fichi Brogiotti sono riservati ai ricci.