martedì 8 novembre 2016

IL DIARIO DI MEDEA (sei)

Otto novembre. Ascolto i commenti positivi sull’incontro con Agnese sulle emozioni. Oggi nessun esercizio particolare, spiego solo che cosa si intende per training autogeno, che cos’è il rilassamento, come avviene la respirazione. Un breve input per testare la personale disponibilità a gestire la tensione muscolare. Da seduti, le mani poggiate sulle cosce, induco la pesantezza del braccio destro. Ascoltiamo poi alcuni commenti. L’intenzione è solo di introdurre la questione del rilassamento, non c’è tempo per approfondimenti. Parliamo brevemente dell’emozione che precede lo spettacolo, provocata per alcuni più dal rapporto con il pubblico che dalle insicurezze personali; ma c’è chi, come Raffaele, ama questo rapporto, dato che sente forte il piacere di esibirsi.


La sessione è tutta finalizzata a una prova di spazi e scenografia. Devo rendermi conto se visivamente la scena regge. Stendiamo l’ampio telo bianco che disegna lo spazio riservato agli interpreti della Medea. Costituisce una bolla nella quale non vi sono direzioni privilegiate. La quarta parete scompare insieme alle altre, dato che il palcoscenico perde la sua funzione di porre gli attori in un rapporto frontale con il pubblico. Gli spettatori potrebbero, come succedeva nel ‘700, salire sul palco e sistemarsi intorno all’isola bianca. Non c’è quindi un fondale completo, ma solo un fondalino bianco adottato per consentire momentanee scomparse e riapparizioni: gli attori non lasciano mai la scena-isola. I quattro “mediatori”, invece, sono libero di spostarsi ovunque purché non calpestino il telo bianco: possono girarci intorno e lasciare il palco per scendere tra il pubblico, facendosi spettatori essi stessi quando si accomodano sullo sgabello che si portano sempre dietro. Durante i loro interventi, la scena si cristallizza. Sono consapevole del rischio enorme che corro chiedendo agli interpreti di immobilizzarsi in lunghi stop. I ragazzi faticano a tenere la scena in modo significativo durante i silenzi e le staticità; si distraggono, cercano con lo sguardo, si lasciano sfuggire movimenti di ogni tipo. Non è un problema da affrontare subito. Prima voglio la memoria e un’imbastitura di tempi. Sistemiamo gli oggetti (scala, sedia-trono, seggiolina, specchio, due cubi) e cominciamo la lettura.

Ho trovato le musiche su Youtube, cercando brani etnici tradizionali del Medio Oriente. Il primo brano è una melodia assira molto suggestiva. Come già scritto, la messa in scena presenta l’opera al contrario: si comincia con la morte dei figli e si va all’indietro per ricostruire la vicenda. Medea emette un gemito infantile continuo, la nutrice apre l’opera con un breve monologo sui bambini uccisi, che si intravedono dietro il fondalino. Faccio vedere a Lucia come deve muoversi. Suoi interlocutori, nonostante le diano le spalle, sono il gruppo reale (re, principessa e Giasone) e il popolo-coro di Corinto; mai il pubblico e i mediatori. Eccoli in azione. La partecipazione emotiva è ancora superficiale e sfocata, ma è solo la prima lettura. Sono ragazzini che si trovano a confrontarsi con un mondo adulto che per di più è legato al mito. Battuta dopo battuta, emergono le ricche sfaccettature del dialogo: diffidenza, pietà, sconcerto, condanna, dubbio, empatia… cento emozioni diverse da esprimere con una declamazione che suoni il più possibile sincera e convincente. Un’ora e mezzo alla settimana fino ad Aprile è poco per un lavoro tanto impegnativo, ma… le nostre ambizioni sono sempre commisurate all’età dei ragazzi.

Dopo l’intervento di Medea (Giorgia sembra avere qualche problema a stare in piedi sulla scaletta, ma mi sembra di notare tutta una serie di tentativi per svuotare di intensità le battute difficili e troppo “tragiche”; dovrà rassegnarsi: Medea è Medea), entra in azione Giasone. Voglio un grido, un balzo, lo ottengo. Faccio abbassare il tono a Giulio (“Maledetta…”) che per dare forza alla sua rabbia rende stridula la voce. Non è facile identificare il quadro emotivo di Giasone: odio per chi gli ha ucciso i figli e desiderio di vendetta, ma anche dolore e forse senso di colpa, il tutto unito all’agitazione e alla paura per l’assalto dei popolani alla casa, decisi a uccidere la strega e i suoi figli.

Con i mediatori che commentano e spiegano (“Ascoltate. Sentite come gridano? Arrivano gli abitanti di Corinto”) termina in modo convulso l’Esodo. I popolani danno l’assalto alla casa, ma Giasone riesce a fermarli. Si mettono a litigare tra di loro e la zuffa si fa feroce. Imposto la scena che è ancora tutta da calibrare tra le battute concitate dei mediatori e l’azione fisica dei quattro coristi-popolani che sconvolgono l’ordine glaciale della scena. Eccoci al Quinto Stasimo. Avevamo già provato il primo intervento del Coro. Le battute sono affidate ora a tre singoli ora al coro, con Francesco che canta tutto il testo senza alcuna sincronia con i compagni, partecipando però anche lui alla declamazione corale. I mediatori sono ora impegnati ai tamburi. Ognuno di loro accompagna una voce singola, oppure (Nicolò) l’intero coro. La partitura prevede quindi: voce solista che offre pause al tamburo, canto improvvisato, coro con sottofondo di percussioni. Ecco il testo, con a fianco i riferimenti ai quattro coristi (1 Ariel, 2 Alice, 3 Francesco, 4 Valentin):

CORO Sei di pietra? Sei di ferro? 1
            Il letto di una donna 1
            è un letto di dolore: 1
            solo sciagure per gli uomini. 1
Guarda i nostri morti, 2
venuti per fare giustizia, 2
            vittime della tua magia. 2
Guarda i morti della peste 4
che hai scatenato su Corinto 4
per distruggerci tutti. 4
            O Terra, o Sole, 1234
            fermate la donna sciagurata. 1234
I delitti dei consanguinei 1
            sono i peggiori, 2
            sono imperdonabili. 4
            Al rogo la strega! 1234
            Ha ucciso i figli! 1234
Ha diffuso la peste! 1234

E tra una cosa e l’altra abbiamo fatto le 17.45. Alcuni ripongono i materiali, altri passano l’aspirapolvere, poi giocano. Alla spicciolata arrivano i genitori. Chiedo al nonno di Giulio se mi può fare due lavoretti: tagliare una barra di ferro e aggiungere la punta all’elmo tipo longobardo o celtico di Creonte. Io ho provveduto a pitturare di bianco la seggiolina di Giulio e…  nonostante due giorni di asciugatura, quando si è alzato si è ritrovato i calzoni macchiati. Meglio che mi dedichi ad altre cose.


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