Otto novembre. Ascolto i commenti
positivi sull’incontro con Agnese sulle emozioni. Oggi nessun esercizio
particolare, spiego solo che cosa si intende per training autogeno, che
cos’è il rilassamento, come avviene la respirazione. Un breve input per testare
la personale disponibilità a gestire la tensione muscolare. Da seduti, le mani
poggiate sulle cosce, induco la pesantezza del braccio destro. Ascoltiamo poi
alcuni commenti. L’intenzione è solo di introdurre la questione del rilassamento,
non c’è tempo per approfondimenti. Parliamo brevemente dell’emozione che
precede lo spettacolo, provocata per alcuni più dal rapporto con il pubblico che
dalle insicurezze personali; ma c’è chi, come Raffaele, ama questo rapporto,
dato che sente forte il piacere di esibirsi.
La sessione è tutta finalizzata a
una prova di spazi e scenografia. Devo rendermi conto se visivamente la scena
regge. Stendiamo l’ampio telo bianco che disegna lo spazio riservato agli interpreti
della Medea. Costituisce una bolla nella quale non vi sono direzioni privilegiate.
La quarta parete scompare insieme alle altre, dato che il palcoscenico perde la
sua funzione di porre gli attori in un rapporto frontale con il pubblico. Gli
spettatori potrebbero, come succedeva nel ‘700, salire sul palco e sistemarsi
intorno all’isola bianca. Non c’è quindi un fondale completo, ma solo un
fondalino bianco adottato per consentire momentanee scomparse e riapparizioni:
gli attori non lasciano mai la scena-isola. I quattro “mediatori”, invece, sono
libero di spostarsi ovunque purché non calpestino il telo bianco: possono
girarci intorno e lasciare il palco per scendere tra il pubblico, facendosi
spettatori essi stessi quando si accomodano sullo sgabello che si portano
sempre dietro. Durante i loro interventi, la scena si cristallizza. Sono
consapevole del rischio enorme che corro chiedendo agli interpreti di
immobilizzarsi in lunghi stop. I ragazzi faticano a tenere la scena in
modo significativo durante i silenzi e le staticità; si distraggono, cercano
con lo sguardo, si lasciano sfuggire movimenti di ogni tipo. Non è un problema
da affrontare subito. Prima voglio la memoria e un’imbastitura di tempi.
Sistemiamo gli oggetti (scala, sedia-trono, seggiolina, specchio, due cubi) e
cominciamo la lettura.
Ho trovato le musiche su Youtube,
cercando brani etnici tradizionali del Medio Oriente. Il primo brano è una
melodia assira molto suggestiva. Come già scritto, la messa in scena presenta l’opera
al contrario: si comincia con la morte dei figli e si va all’indietro per
ricostruire la vicenda. Medea emette un gemito infantile continuo, la nutrice
apre l’opera con un breve monologo sui bambini uccisi, che si intravedono
dietro il fondalino. Faccio vedere a Lucia come deve muoversi. Suoi
interlocutori, nonostante le diano le spalle, sono il gruppo reale (re,
principessa e Giasone) e il popolo-coro di Corinto; mai il pubblico e i
mediatori. Eccoli in azione. La partecipazione emotiva è ancora superficiale e
sfocata, ma è solo la prima lettura. Sono ragazzini che si trovano a
confrontarsi con un mondo adulto che per di più è legato al mito. Battuta dopo
battuta, emergono le ricche sfaccettature del dialogo: diffidenza, pietà,
sconcerto, condanna, dubbio, empatia… cento emozioni diverse da esprimere con
una declamazione che suoni il più possibile sincera e convincente. Un’ora e
mezzo alla settimana fino ad Aprile è poco per un lavoro tanto impegnativo, ma…
le nostre ambizioni sono sempre commisurate all’età dei ragazzi.
Dopo l’intervento di Medea (Giorgia
sembra avere qualche problema a stare in piedi sulla scaletta, ma mi sembra di
notare tutta una serie di tentativi per svuotare di intensità le battute
difficili e troppo “tragiche”; dovrà rassegnarsi: Medea è Medea), entra in
azione Giasone. Voglio un grido, un balzo, lo ottengo. Faccio abbassare il tono
a Giulio (“Maledetta…”) che per dare forza alla sua rabbia rende stridula la
voce. Non è facile identificare il quadro emotivo di Giasone: odio per chi gli
ha ucciso i figli e desiderio di vendetta, ma anche dolore e forse senso di
colpa, il tutto unito all’agitazione e alla paura per l’assalto dei popolani
alla casa, decisi a uccidere la strega e i suoi figli.
Con i mediatori che commentano e
spiegano (“Ascoltate. Sentite come gridano? Arrivano gli abitanti di Corinto”)
termina in modo convulso l’Esodo. I popolani danno l’assalto alla casa, ma
Giasone riesce a fermarli. Si mettono a litigare tra di loro e la zuffa si fa
feroce. Imposto la scena che è ancora tutta da calibrare tra le battute
concitate dei mediatori e l’azione fisica dei quattro coristi-popolani che
sconvolgono l’ordine glaciale della scena. Eccoci al Quinto Stasimo. Avevamo
già provato il primo intervento del Coro. Le battute sono affidate ora a tre
singoli ora al coro, con Francesco che canta tutto il testo senza alcuna
sincronia con i compagni, partecipando però anche lui alla declamazione corale.
I mediatori sono ora impegnati ai tamburi. Ognuno di loro accompagna una voce
singola, oppure (Nicolò) l’intero coro. La partitura prevede quindi: voce
solista che offre pause al tamburo, canto improvvisato, coro con sottofondo di
percussioni. Ecco il testo, con a fianco i riferimenti ai quattro coristi (1
Ariel, 2 Alice, 3 Francesco, 4 Valentin):
CORO Sei di pietra? Sei di ferro?
1
Il letto di una donna
1
è un letto di dolore:
1
solo sciagure per gli
uomini. 1
Guarda i nostri morti, 2
venuti per fare giustizia, 2
vittime della tua
magia. 2
Guarda i morti della peste 4
che hai scatenato su Corinto 4
per distruggerci tutti. 4
O Terra, o Sole, 1234
fermate la donna
sciagurata. 1234
I delitti dei consanguinei 1
sono i peggiori, 2
sono imperdonabili. 4
Al rogo la strega!
1234
Ha ucciso i figli!
1234
Ha diffuso la peste! 1234
E tra una cosa e l’altra abbiamo fatto le 17.45. Alcuni ripongono i
materiali, altri passano l’aspirapolvere, poi giocano. Alla spicciolata
arrivano i genitori. Chiedo al nonno di Giulio se mi può fare due lavoretti:
tagliare una barra di ferro e aggiungere la punta all’elmo tipo longobardo o
celtico di Creonte. Io ho provveduto a pitturare di bianco la seggiolina di Giulio
e… nonostante due giorni di asciugatura,
quando si è alzato si è ritrovato i calzoni macchiati. Meglio che mi dedichi ad
altre cose.
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